6
Set
2009

Elezioni truccate, scontri in strada, monete e boulevard parigini

Siamo proprio sicuri che i disordini di questi giorni che stanno riguardano il Gabon, dove dopo elezioni altamente inquinate Ali Ben Bongo è stato fatto presidente, poche settimane dopo la morte del padre (El Hadji Omar Bongo Ondimba) non abbiano nulla a che fare con noi europei? Siamo davvero certi che si tratti di una questione tutta africana, tribale, legata alle difficoltà di società “arretrate” che faticano a costruire “buoni regimi democratici all’europea”?

Come ha rilevato Noël Kodia, scrittore e critico letterario congolese in un articolo intitolato “Présidentielle gabonaise: une élection à hauts risques”, molti problemi sono radicati nei tratti specifici di questa parte del mondo e affondano nel tribalismo: in sostanza in un voto identitario su base etnica, che finisce per vanificare ogni logica rappresentativa. È così.

Al tempo stesso c’è molto altro. In un articolo apparso sul Corriere della Sera (“Il Gabon nella rete dei Bongo. Petrolio, lusso e povertà”) Massimo A. Alberizzi ha ricordato ad esempio come l’ex dittatore gabonese sia stato “amico di tutti i presidenti francesi, da De Gaulle a Chirac”: e in occasione dei recenti funerali la delegazione francese comprendeva più di cento persone, includendo pure Chirac e Sarkozy. Semplice diplomazia? Buoni rapporti tra realtà nazionali con un importante passato in comune? C’è da sospettare che non ci sia solo questo.

Il 18 giugno, su “Le Monde”, il presidente francese aveva dichiarato di non voler intromettersi nelle elezioni gabonesi (« La France restera neutre lors de l’élection présidentielle au Gabon, assure M. Sarkozy »). Ma già questa affermazione è in qualche modo sorprendente. Forse che qualcuno sospettasse un’intromissione? Senza dubbio: anche perché questo è parte di una solida tradizione. La “Françafrique”, va detto, è una realtà incontestabile (per un’analisi tanto partigiana quanto interessante sul neocolonialismo francese in Africa e soprattutto su tutti i rapporti corrotti che per decenni hanno legato le leadership francesi e quelle delle ex-colonie, un testo da tenere presente è La Françafrique, le plus long scandale de la République, scritto da François-Xavier Verschave e pubblicato da Stock nel 1998).

La Francia, in fondo, dall’Africa non se n’è mai andata. Basta guardare alla questione della moneta. Che valuta si usa ad esempio in Gabon? Il franco CFA, emesso dalla Banque des Etats de l’Afrique Centrale, a cui fanno capo sei paesi (oltre al Gabon, anche il Camerun, la Repubblica dell’Africa Centrale, il Ciad, la Guinea Equatoriale e la repubblica del Congo). Questa banca, che attualmente è presieduta proprio da un gabonese, Philibert Andzembe, conosce una sua gemella, la Banque Centrale des États de l’Afrique de l’Ouest, la quale a sua volta serve Benin, Burkina Faso, Costa d’Avorio, Guinea Bissau, Mali, Niger, Senegal e Togo. E tutti questi paesi utilizzano sostanzialmente la medesima moneta, il franco CFA (in realtà, i due franchi CFA – quello dell’Africa Centrale e quello dell’Africa Occidentale – hanno identico valore, ma non possono circolare nelle due distinte aree).

Stati africani, unioni monetarie, collegamenti tra unioni monetarie… ma a ben guardare in tutti questi Paesi, e quindi anche in Gabon, la moneta è il franco: proprio il franco francese (o qualcosa che ci assomiglia molto)! Se a Parigi ormai si usa l’euro, gestito a Francoforte, a Libreville si continua ad usare un franco che – in larga misura – resta sotto il controllo del Tesoro parigino. Il franco CFA si scambia nelle stradine di Lomé e nei mercati di Douala, ma è nei boulevard parigini che incontriamo coloro che di fatto l’amministrano.

Tutto questo si chiama “Zona Franco” e per comprendere meglio di che si tratta basta entrare nel sito della Banca di Francia e leggere qui (in francese), oppure qui (in inglese). Il tutto viene presentato come un sistema di garanzie e in qualche modo di sostegno, certo, con la grande Francia che pretende di giocare a tutela delle prospettive dei piccoli paesi africani. Ma resta un sistema in cui, “in nome della cooperazione”, l’ex potenza coloniale continua a svolgere un ruolo dominante.

I francesi parlano chiaro: « La cooperazione monetaria tra la Francia e i paesi africani della Zona franco è retta da quattro principi fondamentali: garanzia di convertibilità illimitata da parte del Tesoro francese, parità fisse, libera trasferibilità, centralizzazione delle riserve di cambio (in contropartita di questa garanzia, le tre banche centrali [oltre ad Africa Centrale e Africa Occidentale, anche le isole Comore sono parte di questo meccanismo, ndr] sono tenute a depositare una parte delle loro riserve di cambio nei confronti del Tesoro francese sui loro conti operativi”.

I due morti di Port Gentil di queste ore avranno certamente un’origine tutta locale: saranno da addebitare alle turbolenze di una società che non riesce ad affrancarsi da una famiglia di despoti e parassiti. Sarà sicuramente così. Ma è comunque giunto il momento che il tempo di questa “carità pelosa” degli europei venga meno e che s’inizi davvero a girare pagina: lasciando l’Africa agli africani e aprendo i nostri mercati alle loro merci.

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6 Responses

  1. Laur Bocci

    Senta Lottieri, io posso anche teoricamente capire la sua avversione per lo Stato malandrino, ma c’è un’inconfutabile verità che non può essere taciuta: il libero mercato da lei tanto amato si è sviluppato a partire dai secoli in cui lo Stato è diventato più forte. I contratti vengono rispettati, perché a farli osservare c’è lo Stato, altrimenti andrebbe tutto a carte e quarantotto. Quindi ben venga il controllo della Francia, se finalizzato a mantenere l’ordine che gli africani nell’immediato non potrebbero affatto darsi.

  2. Mi spiace, ma non sono d’accordo. Ormai ci sono – sul piano storico – alcune certezze: e tra queste che lo Stato moderno europeo è successivo allo sviluppo del capitalismo (l’Europa era già capitalista – a Firenze come Venezia, a Genova come a Milano, ma si potrebbe fare riferimento pure alle Fiandre e ad altre aree – ben prima che la statualità si imponesse). Il capitalismo europeo si sviluppa nonostante lo Stato moderno, che tutto vorrebbe controllare e dominare, e non grazie ad esso. E si sviluppa meglio e con maggiore rapidità dove l’insediarsi della statualità è più tardivo e contrastato: nelle Province Unite, in Inghilterra, in America settentrionale.
    Per quanto riguarda il diritto, poi, ogni identificazione con lo Stato è difficilmente accettabile. Già in età medievale – e quindi ancor prima che lo Stato vedesse la luce – si faceva una netta distinzione tra iurisdictio e gubernalucum, tra l’ordine giuridico e il potere esecutivo. Ormai è dottrina condivisa quella che evita ogni identificazione tra il diritto (che può essere anche diritto canonico, lex mercatoria, consuetudine, diritto sportivo, common law, diritto dei contratti ecc.) e il potere statale. L’identificazione diritto-Stato è una costruzione della dogmatica ottocentesca, soprattutto tedesca, ma ormai non è più difendibile.
    Per giunta, l’espansione dello Stato ha progressivamente ridotto lo spazio del capitalismo: fino a cancellarlo del tutto nei regimi totalitari socialisti del XX secolo.
    Infine… il ruolo della Francia – culla della statualità nella sua forma più rigorosa – in Africa. Ebbene, è chiaro che tale ruolo è stato nei secoli scorsi ed è ancora oggi quasi esclusivamente all’origine di guerre, rapine, disordini, corruzione. Moltissimi Paesi africani sono “a carte quarantotto”, per usare la sua espressione, proprio a causa di queste intromissioni (interessate) dei politicanti francesi. I cittadini non c’entrano, naturalmente: pagano e basta. Ma i governanti trattano i paesi africani come occasioni straordinarie per avere potere e soldi (non diversamente si sono mossi anche tanti partiti italiani, con il pretesto dei piani di aiuto allo sviluppo).
    Basta osservare ìl ruolo nefasto che Sarkozy sta giocando in Costa d’Avorio, dove si dovrebbe votare tra un paio di mesi (sul tema ad esempio: http://news.abidjan.net/h/341851.html).

  3. damiano

    possiamo prendere a confronto , in afirca ,un paese in cui lo stato non esiste ,e confrontarne lo sviluppo economico: la somalia .
    li, alcuni settori , come le telecomunicazioni e le linee aeree , si sono grandemente sviluppate rispetto al tempo di quando ancora c’era uno stato . altri settori , come la sanità e l’istruzione ,arrancano ,ma non sono scomparsi .
    altri settori , come la creazione e gestione di infrastrutture distribuite su vasti territori (strade ,acquedotti ) sono invece completamente scomparsi .
    la moneta regge abbastanaza bene ….
    cio ‘ che ha sofferto pesantemente , in assenza dello stato , sono la sicurezza individuale e l’ambiente (chiunque puo’ uccidere e inquinare se riesce ad evitarne le conseguenze ). le tasse ovviamente non esistono , ma piu’ si e’ ricchi e piu’ si e’ a rischio di furti e rapimenti .
    per citare un imprenditore somalo,

    Sometimes it’s difficult without a government and sometimes it’s a plus,” but “Corruption is not a problem, because there is no government”

    li governo non e’ corrotto o e’ completamente corrotto , a seconda che si consideri o meno la somalia uno stato o meno . dal punto di vissta demografico , la popolazione sembra aumentare ….
    Secondo la banca mondiale , la somalia _non e’_ la nazione in cui vi sono ,in percentuale , piu’ persone che vivono con meno di un dollaro al giorno .
    io mi baso su wikipedia, visto che statistiche ufficiali non ci sono ..
    http://en.wikipedia.org/wiki/Economy_of_Somalia
    http://en.wikipedia.org/wiki/Demography_of_Somalia

  4. massimo

    E per rimanere nell’ambio della nostra più diretta esperienza, il capitalismo si è sviluppato meglio nel nord Italia, unificato soltanto tardivamente dai Savoia, che nel sud, dove un forte aparato statale si era gà radicao da alcuni secoli.

  5. Martin

    Un articolo di quelli che si dovrebbe divulgare in Italia, dove sembra che il solito pensiero stereotipato dominante sia che in Africa non c’è aspirazione dei popoli a vivere nei paesi liberi democratici, che lavorino per lo sviluppo e il loro benessere. Dove si pensa che i popoli siano talmente arretrati rimasti nella loro mentalità retro e tribale senza leader sufficentemente maturi a guidare i loro popoli (dimenticando, P. Lumumba, Thomas sankara, Nkuame Nkrumah, Enest Ouajdié…e altri), e che ogni processo democratico sia impossibile da governare pacificamente dai africani senza bagno di sangue (dimenticando en passant un paese modello di democrazia come il Ghana…).

    E’ così che per esempio il voto in Iran e le irregolarità (presunte o vere) che lo hanno accompagnato ha fatto più notizia in Italia e nel mondo Occidentale che un’ anonima elezione truccata in qualche paese sperduto in Africa centrale anche se pure ricchissimo di petrolio e potenzialmente ricco di uranium ed altre materie prime che la Francia non intende mollare …
    Non c’è ancora un Aldo Forbice di turno che esorterà le persone in qualche programma comme “zapping”a mettere una bandiera verde( rossa in questo caso per la opposizione Gabon…) in segno di solidarietà con il popolo gabonnese.

    Spero che mi smentisca e che faccia anche una delle sue campagne per la democrazia per il Gabon, perché anche i “gabonnese” come gli iranniani hanno bisogno di democrazia, anzi, posso dire che, in proporzione, i gabonnesi erano più contrari a Bongo “figlio” di quanto gli iranniani non volevano amadinehajad alla guida dei loro paesi rispettivi.
    In quanto dopo 41 anni di regno di Bongo padre, l’uomo che i presidenti francesi, tutti! Chiamavano il “saggio”, cioè, non che si tratta di uno che ha fatto della sua vita un esempio di integrita, di coerenza, di ispirazione per il mondo intero come Gandhi per intenderci…ma di un uomo che ha spogliato il suo popolo delle sue richezze per offrirle ai vari gruppi petroliferi o commerciali francesi, che ha accumulato miliardi e miliardi di soldi del suo paese e li ha riempito nelle banche in svizzera (molti che non verrano mai recuperatri adesso che è morto!), beni immobiliari in Francia ed altrove, parliamo di un uomo che ha osato dire qualcosa del tipo: (cito a memoria…) ” L’Africa senza la Francia è come una macchina senza volante, e la Francia senza l’Africa è come una machina senza motore”…
    di quale “sagezza” i presidenti francesi parlano?

    E poi il Gabon ben che essendo un piccolo paese di circa 1.500 000 abitanti con circa 700 000 votanti, dispone comunque di una decina di etnie, 2 che contano circa 65-70% di votanti da cui provengono i due maggiori candidati dell’opposizione sui 23 candidati ( circa 5 hanno fatto una coalizione…), l’etnia di bongo conta solo 10-15 % di votanti circa. Il voto in Africa essendo ancora molto influenzato dalle origine tribali, Bongo figlio al massimo avrebbe raggiunto 27 % dei voti circa, aggiungendo al fatto che i gabonnesi non volevano più di un Bongo alla guida del paese, si capisce benissimo che nelle condizioni normali senza imbrogli, Bongo non avvrebbe mai potuto vincere. Cioè totalizzare i famosi 41 % tanto annunciati ( alcuni con incauta disinvoltura o addiritura entusiasmo quando non è ilarità) nei media di tutto il modo.

    Adesso la situazione peggiora sempre di più soprattutto a Port-Gentil la capitale economica, l’opposizione non intende accetare la “vittoria” di Bongo, una vittoria che la Francia ha già detto che accettava (secondo l’Eliseo l’elezione si è svolta normalmente nonostante qualche “irregolarità”). Il che rinforza sempre di più la tesi secondo laquale la Francia non intende mollare la sua “mucca a latte”: l’Africa subsahariana, e ha rimpiazzato il suo buratino per 41 anni con suo figlio per continuare a proteggere i suoi interessi. Sicché oggi in Gabon i francesi sono costretti a rintanarsi nelle loro case sperando che la rabbia dei gabonnesi passa, qualcuno sta addiritura lasciando il territorio.
    Finché queste ingiustizie, questi imbrogli, questo sfruttamento soprattutto della Francia continuerà in Africa, con l’Europa, gli Usa (anche come società civile…) che continuano a far finta di niente, si ritroverano sempre di più con davanti alla porta gente affamata, sempre più numerosa, che neanche la più severa delle “Bossi-Fini” potrà impedire ad attraversare l’Oceano in un modo nell’ altro, via mare, via terra, aerea, con o senza visto.

    Gli abitanti del Mali, hanno un detto : “anche se metterano una barriera fino al cielo noi riusciremo sempre ad arrivare, da loro, visto che è lì che vanno ad accumulare tutta la ricchezza che ci rubano qui” così ci sono più “Maliani” a Parigi che a Bamako stesso, la capitale del Mali.

  6. Martin

    Ancora in Italia, sembra che il solito pensiero stereotipato dominante sia che in Africa non c’è aspirazione dei popoli a vivere nei paesi liberi e democratici, che lavorino per lo sviluppo e il loro benessere. Dove si pensa che i popoli siano talmente arretrati rimasti nella loro mentalità retro e tribale senza leader sufficentemente maturi (anche se ci sono stati Patrice Lumumba, Thomas sankara, Nkuame Nkrumah, Enest Ouanjié…e altri uccisi da chi non voleva il cambiamento in Africa), e che ogni processo democratico sia impossibile da governare pacificamente dagli africani senza bagno di sangue (nonostante l’esempio del Ghana…).

    E’ così che per esempio il voto in Iran e le irregolarità (presunte o vere) che lo hanno accompagnato ha fatto più notizia in Italia e nel mondo Occidentale che un’ anonima elezione truccata in qualche paesino sperduto in Africa centrale anche se pure ricchissimo di petrolio e potenzialmente ricco di uranium ed altre materie prime che la Francia non intende mollare …
    Non c’è ancora un Dr. Aldo Forbice di turno che esorterà le persone in qualche programma comme “zapping”a mettere una bandiera verde ( rossa in questo caso per la opposizione in Gabon…) in segno di solidarietà con il popolo gabonnese.

    Spero che mi smentisca e che faccia anche una delle sue campagne per la democrazia per il Gabon, perché anche i “gabonnese” come gli iraniani hanno bisogno di democrazia, anzi, posso dire che, in proporzione, i gabonnesi erano più contrari a Bongo “figlio” di quanto gli iraniani non volevano amadinehajad alla guida dei loro paesi rispettivi.
    In quanto dopo 41 anni di regno di Bongo padre, l’uomo che i presidenti francesi, tutti! Chiamavano il “saggio”, cioè, non che si tratta di uno che ha fatto della sua vita un esempio di integrità, di coerenza, di ispirazione per il mondo intero come Gandhi per intenderci…ma di un uomo che ha spogliato il suo popolo delle sue ricchezze per offrirle ai vari gruppi petroliferi o commerciali francesi, che ha accumulato miliardi e miliardi di soldi del suo paese e li ha riempito nelle banche in Svizzera (molti che non verrano mai recuperatri adesso che è morto!), beni immobiliari in Francia ed altrove, parliamo di un uomo che ha osato dire qualcosa del tipo: (citto a memoria…) ” L’Africa senza la Francia è come una macchina senza volante, e la Francia senza l’Africa è come una macchina senza motore”…
    di quale “sagezza” i presidenti francesi parlano?

    E poi il Gabon ben che essendo un piccolo paese di circa 1.500.000 abitanti con circa 700.000 votanti, dispone comunque di una decina di etnie, 2 che contano circa 65-70% di votanti da cui provengono i due maggiori candidati dell’opposizione sui 23 candidati ( circa 5 hanno fatto una coalizione…), l’etnia di Bongo conta solo 10-15 % di votanti circa. Il voto in Africa essendo ancora molto influenzato dalle origine tribali, Bongo figlio al massimo avrebbe raggiunto 27 % dei voti circa, aggiungendo al fatto che i gabonnesi non volevano più di un Bongo alla guida del paese, si capisce benissimo che nelle condizioni normali senza imbrogli, Bongo non avrebbe mai potuto vincere. Cioè totalizzare i famosi 41 % tanto annunciati nei media di tutto il mondo ( alcuni con incauta disinvoltura o addirittura entusiasmo, quando non è ilarità) .

    Adesso la situazione peggiora sempre di più, soprattutto a Port-Gentil, la capitale economica, l’opposizione non intende accettare la “vittoria” di Bongo, una vittoria che la Francia ha già detto che accettava (secondo l’Eliseo, l’elezione si è svolta normalmente nonostante qualche “irregolarità” che non pregiudica la sua validità). Il che rinforza sempre di più la tesi secondo la quale, la Francia non intende mollare la sua “mucca a latte”: l’Africa subsahariana, e ha rimpiazzato il suo buratino in Gabon per 41 anni con suo figlio per continuare a proteggere i suoi interessi. Sicché oggi in Gabon i francesi sono costretti a rintanarsi nelle loro case sperando (forse in vano…) che la rabbia dei gabonnesi si asaurisca, qualcuno sta addirittura lasciando il territorio.
    Finché queste ingiustizie, questi imbrogli, questo sfruttamento soprattutto della Francia continuerà in Africa, con l’Europa, gli Usa (anche come società civile…) che fanno finta di niente, si ritroverano sempre di più con davanti alla porta gente affamata, sempre più numerosa, alcuni anche aggressivi, che neanche la più severa delle “Bossi-Fini” potrà impedire ad attraversare l’Oceano in un modo o nell’ altro, via mare, via terra, aerea, con o senza visto.

    Gli abitanti del Mali, hanno un detto : “anche se metterano una barriera fino al cielo noi riusciremo sempre ad arrivare da loro, visto che è lì che vanno ad accumulare tutta la ricchezza che ci rubano qui” così il risultato è che ci sono più “maliani” a Parigi che a Bamako stesso, la capitale del Mali.
    Qualcuno dirà che lasciando l’Africa, la si indebolirà sempre di più, non è la soluzione e così via… ma non coglie il fatto che senza democrazia vera come lo dimostra il caso del Gabon, anche il più cristallino dei talenti, il più genio dei cervelli fa fatica ad emergere. Vive una vita senza prospettive rispetto alle sue capacità reali, con il rischio, prima o poi, di beccare una pallottola vagante, in qualche normale marcia di protesta per la rivendicazione della libertà e la democrazia o da qualche cattivo virus, e , soccombere per difetto di cure mediche carenti…allora tanto vale tentare la propria fortuna, “attraversare”, andare dove sono accumulate le “nostre” ricchezze.

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