8
Giu
2020

Dopo il Covid, l’ingerenza dello Stato riguarda anche i marchi storici

Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Leonardo Maria Seri.

Cambia il “Fondo per la tutela dei marchi storici di interesse nazionale”: ora c’è il “Fondo per la salvaguardia dei livelli occupazionali e la prosecuzione dell’attività d’impresa” 

Il Decreto Rilancio (art. 43, d.l. 34/2020) interviene ancora sui marchi storici di interesse nazionale abrogando l’art. 185-ter del c.p.i, a circa un anno dalla sua introduzione con d.l. 34/2019 convertito con modif. in legge 58/2019. 

Il precedente “Fondo per la tutela dei marchi storici di interesse nazionale” viene dunque sostituito con il “Fondo per la salvaguardia dei livelli occupazionali e la prosecuzione dell’attività d’impresa”, con una dotazione di 100 milioni di euro per il 2020 nel quale sono confluiti anche i 30 milioni in dotazione al primo. 

Cosa prevede la nuova disposizione 

Il nuovo Fondo istituito presso il MISE potrà operare sia attraverso interventi nel capitale di rischio delle imprese sia attraverso misure di sostegno al mantenimento dei livelli occupazionali in coordinamento con gli strumenti vigenti sulle politiche attive e passive del lavoro. 

La sua finalità dichiarata è quella di intervenire per il salvataggio e la ristrutturazione di imprese titolari di marchi storici di interesse nazionale e di società di capitali con almeno 250 dipendenti, che si trovino in uno stato di difficoltà economico-finanziaria da individuarsi con decreto del Ministro dello sviluppo economico, sentito il Ministro del lavoro e delle politiche sociali. 

Tale decreto dovrà stabilire i criteri e le modalità di gestione e di funzionamento del Fondo e le procedure per l’accesso ai relativi interventi, dando priorità alle domande che impattano maggiormente sui profili occupazionali e sullo sviluppo del sistema produttivo. 

Si ampliano dunque finalità, strumenti di intervento e platea di potenziali “beneficiari” del Fondo, quest’ultima non più limitata alle imprese titolari di marchi storici di interesse nazionale ma estesa anche alle società di capitali con almeno 250 dipendenti. 

Permane dunque un potere di ingerenza dello Stato nel capitale di rischio dell’impresa. La nota positiva è che l’attivazione di tale potere è stata resa facoltativa, in quanto l’intervento del fondo sarà ora fruibile a richiesta dell’impresa interessata. 

Del pari sembra positiva l’intervenuta eliminazione dell’obbligo informativo in precedenza previsto dall’art. 185-ter c.p.i. in capo ai beneficiari del fondo, della relativa sanzione amministrativa pecuniaria per l’inosservanza dell’obbligo informativo (che poteva variare da 5.000 a 50.000 euro), e del riferimento a coloro che, pur non risultando titolari o licenziatari di marchi storici iscritti al registro speciale, erano comunque soggetti a detti obblighi e sanzioni per il solo fatto di possedere i requisiti di legge per l’ottenimento del marchio storico. 

Sembra invece ridursi l’appetibilità del fondo rispetto alla scelta dell’impresa di richiedere l’iscrizione del proprio marchio nel registro speciale dei marchi storici di interesse nazionale, in quanto detto fondo, inizialmente ad essi specificamente dedicato, è ora destinato ad una platea più ampia di potenziali fruitori. 

Per poter accedere agli interventi del fondo, resta ferma comunque la necessità di fornire una serie di informazioni al Ministero dello sviluppo economico, nello specifico: 

a) le azioni che la società interessata intende porre in essere per ridurre gli impatti occupazionali, ad esempio attraverso incentivi all’uscita, prepensionamenti, riallocazione di addetti all’interno dell’impresa o del gruppo di appartenenza dell’impresa; 

b) le imprese che abbiano già manifestato interesse all’acquisizione della societa’ o alla prosecuzione dell’attività d’impresa ovvero le azioni che intendono porre in essere per trovare un possibile acquirente, anche mediante attrazione di investitori stranieri; 

c) le opportunità per i dipendenti di presentare una proposta di acquisto ed ogni altra possibilità di recupero degli asset da parte degli stessi. 

Non è più richiesto invece di comunicare i motivi economici, finanziari o tecnici del progetto di chiusura o delocalizzazione, circostanze queste ultime che non sembrano essere più tra i requisiti per l’accesso al Fondo. 

Resta comunque ancora qualche perplessità sull’onere di comunicare informazioni che per loro natura sono riservate ed estremamente delicate, esponendo il fianco a fughe di notizie la cui circolazione può addirittura alterare le dinamiche di mercato, sotto più profili, ancor più in situazioni di crisi d’impresa. 

Quanto sopra vale almeno per il momento, salvo modifiche in sede di conversione del decreto; il modus operandi del legislatore moderno infatti non manca quasi mai di intervenire a più riprese, anche ravvicinate nel tempo, sui provvedimenti emanati con precisazioni, correzioni, chiarimenti e cambi di direzione, che disorientano e non rendono la vita facile agli operatori del diritto. 

Di certo si tratta di scelte che hanno natura squisitamente politica, su cui si può discutere e dibattere, ma che sembrano confermare l’intenzione di aumentare la presenza (se non ingerenza) dello Stato nelle dinamiche del libero mercato, col pretesto di sostenere l’attività di impresa in vista della crisi economica che si va profilando.

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