5
Ott
2009

Dietro la tragedia messinese, il declino della proprietà e quindi lo sfascio del territorio

A destra come a sinistra, la tragedia messinese viene letta sostanzialmente nello stesso modo: come effetto di una carenza di intervento pubblico. L’idea è che ci sia bisogno di “più Stato” per la cura del territorio, “più Stato” per impedire abusivismi, “più Stato” per delineare una politica ambientale che sia poi tradotta in realtà e, alla fine, eviti altri smottamenti tanto disastrosi. L’idea che sia possibile leggere le cose diversamente neppure è presa in considerazione.

Così, Barbara Spinelli su “La Stampa”, in un articolo intitolato Il sacco d’Italia, per spiegare i morti sotto il fango evoca Gomorra, le costruzioni abusive e le speculazioni edilizie, il venir meno del senso dello Stato e l’indebolirsi della politica.

Sull’altro fronte la musica non è troppo diversa. Giunto a Messina anche Silvio Berlusconi chiama in causa l’abusivismo e ribadisce che “lo Stato non lascerà soli i messinesi”. Anche qui si ha la sensazione che tutte le colpe siano dei singoli (brutti, egoisti, imprevidenti), mentre ogni soluzione può venire unicamente dal Grande Fratello che ci aiuta e ci sorregge.

Non è così.

Il dissesto dell’Italia e il suo frequente smottamento ha certo molte origini: talune indipendenti dalle azioni umane (fattori naturali), ma altre invece che obbligano a riflettere sul quadro legale. È però discutibile l’idea che la sola maniera per avere un Paese meglio protetto consista nel ridurre ancor di più la libertà d’azione degli individui e nel moltiplicare il numero dei controllori. Cerchiamo di spiegarci.

Se il nostro fosse un Paese più liberale, se la proprietà pubblica fosse meno presente (meno aree demaniali, per intenderci) e quella privata meglio rispettata, vi sarebbe un maggiore interesse a “prendersi cura” della realtà. Purtroppo, però, il più delle volte ci troviamo espropriati dei nostri diritti e della nostra autonomia d’azione. Due anni fa nei territori interessati dall’alluvione ci erano già state evidenti avvisaglie, ma in un quadro statizzato quale è quello in cui viviamo gli abitanti non hanno potuto fare nulla. Hanno atteso che politici e burocrati decidessero e agissero, ma nulla è accaduto. E ora constatiamo il fallimento.

Certamente si può sempre ipotizzare che le regole siano più snelle e i politici più sensibili e solerti, ma non bisognerebbe dipendere dalla speranza che si verifichino simili incroci astrali. Meglio sarebbe, allora, che da una gestione pubblica (e quindi fallimentare) del territorio si passasse ad una privata.

Immagino l’obiezione. Ma non sono forse i privati all’origine di tante “cattive” costruzioni che oggi ci obbligano a scavare nella melma rappresa, quasi senza la più speranza di trovare in vita gli ultimi dispersi? Certamente gli uomini possono essere opportunisti (e disonesti, senza guardare in faccia nessuno), e talora effettivamente lo sono: sia quando hanno incarichi pubblici, sia quando agiscono come imprenditori e professionisti. Ma la tesi liberale è che i soggetti malintenzionati siano ben felici di operare nell’universo dei piani regolatori e della gestione pubblica del territorio: sia perché possono manipolare a loro favore le regole, sia perché il rispetto delle stesse è spesso carente.

Per questo motivo bisognerebbe rivalutare il diritto privato e la proprietà, permettendo ad ogni titolare di difendere con i denti ciò che è suo. A chi costruisce in maniera oscena, e quindi mette a rischio la vita altrui, non dovrebbe essere permesso di poter nascondersi dietro a un’autorizzazione o una variante del piano regolatore, perché ogni proprietario dovrebbe poter facilmente agire in giudizio contro di lui per vedere garantiti i propri diritti.

La cultura statalista che abbraccia l’intero arco parlamentare ed extraparlamentare fatica a capire come la soluzione, pure in questi casi, sia la riscoperta della proprietà privata: contro gli arbitri di un diritto che ormai è solo una serie di editti di piccoli e grandi politici. Ma in questo modo lo stesso territorio appare sguarnito.

In fondo, rifondare su basi più solide la proprietà privata vorrebbe dire veder sorgere ovunque sentinelle in grado di schierarsi – con le armi del diritto – contro chi mette a rischio la vita e i beni altrui. Se la distruzione dell’ambiente nei paesi comunisti è stata ben peggiore che da noi, si deve soprattutto al fatto che là la proprietà non esisteva proprio. Ma anche da noi il declino che tale istituto ha conosciuto è evidente, e questo spiega in larga misura lo sbriciolarsi del Paese.

Non c’è allora bisogno di “più Stato”, ma semmai vi è la necessità che l’apparato pubblico ridia maggiore autonomia e libertà d’azione (e quindi anche più responsabilità) ai proprietari. È l’unica strada che è ragionevole percorrere, anche se ben pochi se ne avvedono.

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17 Responses

  1. Rino P.

    Sulla proposta di Brunetta direi che è il modo migliore per procurare introiti extra agli assicuratori. Vedrei meglio al limite una campagna di sensibilizzazione sul tema autoassicurazione. Oppure una campagna di azzittimento del solito Berlusconi “ghe pensi mi”.

  2. Fabio

    Caro Lottieri, Lei ha ragione. Non si può proprio dire che in sicilia non ci sia abbastanza Stato. Il sistema da lei proposto per contenere gli abusi edilizi (permettiamo ai privati di agire facilmente a difesa delle loro proprietà contro le costruzioni illegali, brutte e pericolose costruite dai vicini) finziona solo a condizioni che: a) esista uno Stato (o altra autorità pubblica) che sappia fare il suo mestiere, cioè, tra l’altro, quello di far funzionare il sistema giudiziario e tutelare i cittadini da evintuali vendette private generate dal ricorso alla giustizia; b) esista una diffusa coscienza civica, che induca normalmente le persone a guardare al di là del proprio immediato interesse e, quindi, a considerare soprattutto i propri interessi di lungo periodo. Nessuna di queste due condizioni sussite in Sicilia da molti secoli. Forse si potrebbe cominciare con il dire che in casi come questi lo Stato assiste i feriti, dà asilo per qualche tempo agli sfollati, ma non risarcisce un centisimo a chi ha perduto, ad esempio, una casa abusiva. Sarebbe un modo per responsabilizzare le persone. Purtroppo nessuno avrà il coraggio di seguire questa linea.

  3. Stefano

    @Fabio
    Sarebbe giusto non restituire i soldi agli abusivi. Tuttavia va notato che, come alla libertà si accompagna la responsabilità, così, se lo Stato si rifiutasse di risarcire i proprietari, allo stesso tempo dovrebbe far diminuire il proprio “peso” nella gestione del territorio. E’ chiaro che il proprietario è responsabile del reato di abuso edilizio, ma è anche vero che è la mancata difesa della proprietà da parte del sistema politico ad aver permesso che tale abuso non venisse abbattuto.

  4. Un punto non segnalato a favore della privatizzazione e quindi della responsabilizzazione è che un privato che possedesse dei terreni che possono franare e coinvolgere le proprietà di altre persone ha varie possibilità:
    1) Pagare i danni causati
    2) Assicurarsi
    3) Sistemare il problema
    4) Rinunciare alla proprietà

    1) Diciamo che pagare i danni causati è quasi sempre più costoso alla lunga che evitare di pagarli;
    2) Se si assicura, paga l’assicurazione; certo le assicurazioni non regalano nulla, quindi dovrà pagare un premio proporzionale al rischio
    3) In questo modo può evitare di pagare i danni e di pagare troppo l’assicurazione
    4) Se rinuncia alla proprietà, chi potrebbe ricevere un danno può appropriarsene facendo i lavori necessari a metterla in sicurezza.

    Nel caso siciliano, i politici non sono proprietari del terreno che è franato, quindi non saranno tenuti a pagare per il danno arrecato. Al massimo pagherà lo stato, cioè tutti. Ovvio che questi problemi si ripetano.

    In un sistema privatistico, gli abitanti del paesino avrebbero potuto citare in giudizio il proprietario del terreno che poi è franato, per imporgli di mettere in sicurezza il suo territorio, oppure avere l’autorizzazione da un giudice a metterlo loro stessi in sicurezza e poi far pagare il proprietario.

  5. Alessio

    “Non c’è allora bisogno di “più Stato”, ma semmai vi è la necessità che l’apparato pubblico ridia maggiore autonomia e libertà d’azione (e quindi anche più responsabilità) ai proprietari”….in pratica? è solo una bella frase che apre a troppe soluzioni

  6. manT

    @ Marco O. : Brunetta non ha tutti i torti. Anzi…

    “Una campagna di sensibilizzazione sul tema autoassicurazione” proposta da Rino P. mi sembra un’utopia di qualche specie.

  7. Fausto

    @Marco O.

    E’ la prima idea intelligente che sento da Brunetta, ne sono quasi basito. Una proposta sensata, forse troppo pericolosa per il malaffare edilizio per fare strada.

  8. L’assicurazione sulla casa dovrebbe esserci per tutte le case di nuova costruzione. Diciamo che dovrebbe assicurare la casa per almeno 20 anni e a carico del costruttore. No assicurazione, no casa vendibile.
    Poi vorrei vedere come fanno a costruire nei posti più assurdi.

  9. Brunetta ormai ci ha abituato: dichiarazioni ottime seguite da azioni inconsistenzi.

    Se si dovesse dare un voto alle dichiarazioni di Renato Brunetta da quando e’ ministro, un bel 9 non glielo toglierebbe nessuno.
    Se pero’ si dovesse valutare anche le iniziative intraprese nelle direzioni indicate (decreti, proposte di legge, iniziative parlamentari, ecc), il veneziano si beccherebbe un 2–

    La politica di Brunetta: tanto (bel) fumo, poco arrosto.

  10. Michele Antonelli

    Mi permetto sottoporre alcune considerazioni. In molti, soprattutto i danneggiati dall’alluvione, dal terremoto e da altre calamità invoca l’intervento dello Stato solo dopo il disastro. In precedenza molti di costoro costruiscono abusivamente denunciando spregio e rispetto per le regole comuni. Poi ci sono quelli che sostengono l’ingombrante presenza dello Stato, che a causa della sua elefantiaca struttura diventa l’intoppo alle risoluzioni del problema.
    In realtà tutte e due le soluzioni sono solo sfoghi. In realtà chi chiede l’intervento dello Stato lo fa solo ed esclusivamente per sfruttare una situazione e riversare sulla collettività le proprie nefandezze (escludo naturalmente coloro che hanno costruito nel rispetto delle regole). Dall’altro fronte, poi, le cose non vanno meglio. I costruttori liberi in un mercato libero, se ne infischiano delle regole e per migliorare i propri profitti lesinano sui materiali e sulla stabilità dei terreni adoperati nella costruzione.
    Di questo passo ci vorranno piu’ controllori, poliziotti che controllano il mercato che i partecipanti stesi al mercato.
    Io credo che l’unica strada percorribile è una sana moralizzazione del paese, che mi appare stanco, appesantito e compromesso a tutto. I giudici abusano del loro potere e i giudici non possono piu’ giudicare perché gli inquisiti si sentono perseguitati. In questo clima tutto è possibile e nulla si muove.
    Per moralizzazione intendo un rinnovamento che parte dalla base, dall’individuo che non deve piu’ accettare compromessi al solo fine di ottenere un beneficio, sapendo di poter ledere in qualsiasi modo un diritto altrui. Ecco, quello che manca è il rispetto per gli altri e quindi per noi stessi. Se tutti i cittadini applicassero questo principio a se stessi, e si occupassero direttamente della politica, non subirebbe questo clima malsano. In conclusione auspico l’entrata in campo di spazzini sociali con lo scopo di rieducare la nostra società.

  11. GT

    Certo che parlare di Stato in un territorio in cui le imprese edili non si presentano alle gare per le demolizioni non è facile.

    Aggiungiamo che si tratta di un popolo che probabilmente non ha mai perso la mentalità medioevale del dipendere dal “Signore” (in senso religioso e in senso temporale, che poi quest’ultimo sia l’amministratore locale, il politico nazionale, lo Stato tutto, o, perché no, la mafia, poco importa).

    Insomma, finché i singoli non comprenderanno che devono dare il loro contributo alla comunità per il loro stesso bene, difficilmente andremo lontano…

  12. marianusc

    Credo che un posto per delle regole fissate dallo Stato sui criteri da rispettare da parte delle costruzioni ci dovrà sempre essere, altrimenti su quali basi giudicare a posteriori sbagliato quanto fatto da un privato senza delle regole?

    E se ci sono delle regole, nel caso dell’edilizia è sempre meglio farle rispettare prima che venga messa in atto la costruzione, perchè la demolizione postuma è sempre molto più costosa e spesso è a spese dello Stato, il che vuol dire che raramente avviene.
    Mettiamoci poi che spesso l’edilizia non è “reversibile”, cioè non si riesce a tornare indietro a prima della costruzione da un punto vista geologico-paesaggistico-urbanistico, e il tutto lo vedo molto problematico.

  13. marianusc

    mettiamoci pure che siamo in italia, dove i palazzianari imperano anche nelle compagnie aeree e la camorra gestisce una grossa fetta delle imprese edilizie, dove i processi durano un enormità e i reati vanno in prescrizione di regola e non come eccezione, e il tutto diventa sempre più problematico

  14. Marcello Mazzilli

    PROPOSTA BRUNETTA – Io penso che una assicurazione privata sugli immobili non sarebbe male MA con alcune condizioni…
    1) Non deve essere obbligatoria
    2) Deve essere detraibile dalle tasse
    Insomma… se lo Stato vuole tirarsi indietro in un settore (la protezione dalle calamità) ben venga. Sia chiaro però che a fronte di MENO SERVIZI deve far pagare MENO TASSE. Una assicurazione del genere costa qualche centinaio di euro l’anno (dipende da zona, immobile, etc..) e l’intera somma deve essere detraibile

  15. Sarebbe un ragionamento corretto, se il potere che in uno stato di diritto è chiamato a dirimere le controversie, e ad evitare i soprusi, cioè la magistratura, funzionasse e fosse efficiente.
    Nel nostro paese le persone in genere rinunciano a far valere i propri diritti (pubblici o individuali) davanti a un giudice perché in meno di dieci anni non se ne viene a capo, e in questo clima è difficile evitare la prevaricazione, l’abuso, il prevalere di interessi che poco hanno a che fare con la tuela del territorio e della proprietà.

  16. Carlo Lottieri

    Questa considerazione di Giordano Masini è molto sensata, perché non avremo davvero un ritorno della proprietà se continueremo a pensare al diritto come alla decisione del sovrano (oggi, parlamento) e se non avremo forme competitive anche nel sistema giuridiziario. In un passo della “Ricchezza delle nazioni” non a caso più volte citato da Gustave de Molinari, Adam Smith spiega che la qualità del sistema giudiziario britannico derivava dal fatto che allora ci si poteva rivolgere a questo o quel tribunale (entro una logica concorrenziale) e per giunta i tribunali retribuivano giudici e altri dipendenti grazie alle spese processuali. Non avevano finanziamenti statali. In questo modo, i giudici erano “costretti” ad essere equi (altrimenti nessuno sarebbe andato da loro) e soprattutto rapidi. Ancora oggi e perfino in Italia questo incentivo ad essere veloci pare valga per le commissioni tributarie, dato che i loro membri sono retribuiti in proporzione alle sentenze emesse.
    Per giunta, perfino nel mondo altamente imperfetto in cui viviamo una riduzione degli spazi demaniali a favore di spazi privati sarebbe comunque destinata a produrre effetti positivi. Anche semplicemente perché un privato è più pronto a portare in giudizio, quando è necessario, e più facilmente obbligato a sopportare le conseguenze delle sue azioni, quando si comporta male.
    Non c’è dubbio che una società libera non può funzionare bene con una magistratura di burocrati: funzionari “di ruolo” che, salvo poche eccezioni, lavorano poco e male, dato che mancano del tutto i giusti incentivi ad agire diversamente.
    Però anche in questa triste condizione un ampliamento degli spazi di mercato e una riduzione della presenza pubblica, insieme a una riscoperta del diritto di proprietà contro le logiche del diritto amministrativo, possono solo giovare.

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