27
Lug
2009

Dare un prezzo ai reni?

Oggi sul Wall Street Journal trovate l’ennesimo editoriale di Sally Satel sulla possibilità di stimolare schemi di compensazione per i donatori d’organi. Satel ne scrive da anni, vox clamantis in deserto. Per ora il massimo cui si è arrivati (in Paesi diversi come Singapore e la Repubblica Ceca) è una compensazione delle spese in cui il donatore dovesse incorrere per compiere il suo gesto generoso: giornate di lavoro perse, spese di viaggio, eventuali spese perché altri si occupino dei suoi figli, eccetera.
Capisco bene che il tema non sia dei più gradevoli da affrontare, e mi sono trovato un po’ spiazzato dal doverne parlare intervenendo a Radio Anch’io, alcuni giorni fa.
Tuttavia, per una riflessione non banale sul tema bisogna considerare alcuni argomenti. Il primo, e il più forte, è l’autoproprietà. Se un individuo è proprietario del suo corpo (e almeno qui, credo che su questo siamo tutti d’accordo), allora lo è anche delle singole parti che lo compongono. Impedirgli di alienarle secondo il suo desiderio è una violazione del principio dell’autoproprietà.
Ma questo non è un argomento convincente per coloro che si oppongono alla possibilità di vendere un rene perché contribuirebbe alla “mercificazione” della salute. Vi sono allora altre questioni da tenere presente. Le cito in modo inevitabilmente superficiale, ma credo possano essere oggetto di un dibattito fra noi tutti su Chicago:
– il mercato nero. Si stima che un 5% dello “scambio” di organi che avviene nel mondo avvenga in piena illegalità: cioè c’è qualcuno che vende, perché qualcun altro vuole comprare. La legalizzazione della vendita di organi farebbe “emergere” questo mercato, con un vantaggio reale di chi vi si sottopone perché in regime di estremo bisogno, dal punto di vista degli standard di sicurezza;
– la necessità di dare un prezzo alle cose, per “regolare” la scarsità. Con migliaia di persone in attesa di un trapianto, “prezzare” alcuni organi incentiverebbe sia i donatori “viventi”, sia le famiglie che si trovano a dover decidere che fare del corpo di una persona cara venuta a mancare. Beninteso: prendere decisioni di questo tipo è sempre drammatico, e la possibilità di una compensazione monetaria non ne diminuirebbe certo l’impatto emotivo (e comunque sia, la volontà del defunto dovrebbe sempre vincere sulla eventuale “avidità” dei vivi).
– il fatto che l’acquisto sarebbe comunque “intermediato” e mai diretto. Questo per Satel è un punto chiave: non sarebbe uno scambio donatore-beneficiato, ma avverebbe con l’intermediazione di strutture ospedaliere, assicurazioni, sistemi sanitari pubblici. Questo dovrebbe servire a rendere meno emotivamente complesso lo scambio.
Nessuno di questi argomenti è semplice ed accettabile a scatola chiusa, quando si tratta di questioni così delicate. Ma non sono sicuro sia meglio mettere la testa sotto la sabbia, anziché farci i conti.

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5 Responses

  1. gabriele

    Visto che si parla di fare i conti, lascio da parte le questioni morali e mi chiedo quali sarebbero i vantaggi economici, soprattutto se si includono donatori “viventi”. Innanzitutto aumenterebbero i costi di acquisizione degli organi e anche se aumentasse la disponibilità rimarrebbero due o più persone in condizioni di salute non ottimali e che magari dovrebbero assumere farmaci anti-rigetto tutta la vita. In secondo luogo, di quanto aumenterebbero le donazioni e soprattutto di quanto le richieste ? Esiste infatti un ben documentato fenomeno di compensazione del rischio, se diventa più facile avere un organo ci saranno più persone che rischieranno la vita (basti pensare alla questione del profilattico, più viene usato più aumentano i contagiati di AIDS). Mi chiedo, infine, quale sarebbe l’efficacia del provvedimento, secondo questa fonte (http://www.house.gov/mcdermott/kidneycaucus/25facts.html) 80.000 americani hanno bisogno di un trapianto mentre muoiono 10.000-14.000 possibili donatori, a me sembra che ci sarebbe comunque una cronica mancanza di organi.

    Ultimo punto. Questa filosofia del “il corpo è mio e me lo gestisco io” mi sembra inesatta, da un punto di vista scientifico uno non possiede il corpo, uno è il corpo. Il nostro stato d’animo, le nostre emozioni sono influenzate dal corpo, non siamo indipendenti da esso. Quali sarebbero le implicazioni libero di un commercio del proprio corpo ?

  2. Grazie per il suo commento e le interessanti questioni che richiama. L’autoproprieta’ e’ il presupposto logico della liberta’ individuale, piu’ o meno da Locke in poi (uno puo’ essere “proprietario” di cose perche’ prima e’ “proprietario” del suo lavoro, perche’ uno e’ proprietario del suo lavoro? Perche’ e’ proprietario di se stesso). Questo assunto e’ condiviso non solo da autori che guardano con favore al libero mercato, ma anche da importanti pensatori “left libertarian”, che pensano che dall’autoproprieta’ la liberta’ delle cose non discenda direttamente, ma sono, per esempio, comunque favorevoli al commercio di parti del corpo.
    Certamente la possibilita’ di alienare parti in modo cosi’ drastico come attraverso l’espianto comporta seri problemi: i nostri stati d’animo, le nostre emozioni, ne sarebbero grandemente influenzate e grandemente influenzerebbero tali scelte. Ma di scelte si tratta, e la compensazione economica sarebbe solo uno dei molti fattori che le influenzerebbero, assieme ad altre considerazioni. La legalizzazione del commercio di organi dovrebbe essere accompagnata da forme di affiancamento psicologico, per essere sicuri che la libera volonta’ del donatore (o non-donatore) prevalga su qualsiasi pressione.
    Non conosco il genere di realta’ cui fa riferimento quando parla di preservativi, ma se andiamo a guardare in altri ambiti, e’ stato sostenuto che l’obbligo di mettere la cintura fa si’ che le persone guidino piu’ veloce, sentendosi piu’ protette. Di obbligo, pero’, si tratta.
    Ora, se e’ vero, come dice prima, che l’aumento della disponibilita’ di organi comunque non riuscirebbe a soddisfare la domanda, e’ improbabile che cio’ si verifichi. Inoltre, dubito che la possibilita’ di avere piu’ facilmente un “pezzo di ricambio” incentivi comportamenti che portano ad averne bisogno. Se l’esperienza del donatore e’ emotivamente molto stressante, in generale tutti cerchiamo (e per ottime ragioni!) di stare il piu’ lontano possibile dagli ospedali. Non parliamo, insomma, di un raffreddore, ma di problemi molto piu’ seri, in cui nessuno vorrebbe incorrere (e anche la tesi che una maggiore disponibilita’ di organi “incentiverebbe” cose come la dipendenza da alcool mi pare difficile da sostenere).
    Riguardo ai costi dell’acquisizione di organi, si’, aumenterebbero, ma (a) non ci vedo nulla di male (perche’ un rene deve essere gratis?), (b) probabilmente una diversa organizzazione dell’offerta porterebbe ad una migliore organizzazione degli oneri burocratici, (c) dal punto di vista della societa’ nel suo complesso, se cio’ contribuisce a consentire a piu’ persone di vivere ed essere produttive, i costi nel lungo perodo possono essere abbondantemente bilanciati.
    Circa il fatto che “se aumentasse la disponibilita’ rimarrebbero due o piu’ persone in condizioni di salute non ottimali”, mi sembra, per banalizzare, sia comunque meglio che “rimangano” in vita delle persone anziche’ no. Grazie ancora per le sue considerazioni, su un tema cosi’ complicato.

  3. gabriele

    “Inoltre, dubito che la possibilita’ di avere piu’ facilmente un “pezzo di ricambio” incentivi comportamenti che portano ad averne bisogno.”

    Per quanto sembri strano in realtà è un fenomeno ben documentato in diversi ambiti che maggiore sicurezza porti a maggiori rischi (risk compensation), anche se si tratta di andare contro un auto (1) o si rischia di prendere l’AIDS (2), entrambe cose che non sono uno scherzo e sono più gravi di un raffreddore. É difficile sapere se nel caso avrebbe un impatto significativo, ma potrebbe accadere. Come in (2) non è una volta in più che aumenta il rischio, ma le molte volte in più, ognuna di esse percepita come innocua, che si tratti di bicchieri o rapporti sessuali.

    1) Scientific American – Strano ma vero, gli elmetti attraggono i ciclisti verso le macchine:
    http://www.scientificamerican.com/article.cfm?id=strange-but-true-helmets-attract-cars-to-cyclists
    2) Washington Post – Il papa potrebbe aver ragione:
    http://www.washingtonpost.com/wp-dyn/content/article/2009/03/27/AR2009032702825.html.

    Ovviamente non si può verificare sia una mancanza di organi che un fenomeno di compensazione del rischio dovuto all’abbondanza di disponibilità, volevo solo analizzare tutti i possibili scenari; una pratica necessaria quanto si affrontano proposte radicali.

    Per inciso, non sono né contrario né favorevole all’iniziativa, almeno finché non saranno disponibili degli studi più approfonditi.

  4. Alberto Mingardi

    Scusate il ritardo nelle risposte. Capisco che i suoi argomenti su aids e caschi, ma teniamo anche presente che vi sono fior d’economisti che sostengono che “more sex is safer sex” (Landsburg ci ha scritto un libro, qui un piu’ veloce articolo per Slate: http://slate.msn.com/id/2033/). Altra cosa e’ riflettere, rispetto ai caschi etc, sull’ “effetto Peltzman” (http://en.wikipedia.org/wiki/Peltzman_effect), che pero’ e’ una risposta ad una regolamentazione, non ad una “possibilita’”.
    Credo inoltre che vada molto contestualizzato il problema, rispetto all’espianto. Non siamo sempre “responsabili” delle nostre malattie, anzi e’ piu’ vero il contrario. I casi in cui la necessita’ di avere un “pezzo di ricambio” incontri un comportamento consapevole che l’ha causata, mi sembrano molto limitati, anche nel caso in cui la maggiore disponibilita’ di pezzi di ricambio possa effettivamente influenzare le nostre preferenze. Detto questo, lei ha sicuramente ragione: in casi come questi, e’ bene “speculare” su tutti gli scenari possibili.

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