6
Giu
2018

Riforma sanitaria in Lombardia: Lavori in corso

Il nuovo modello adottato dalla Regione, quello della presa in carico del paziente cronico non limitata ai servizi offerti all’interno delle strutture sanitarie, fatica a convincere i diretti interessati, e pochi di loro hanno aderito; ma inizialmente questo potrebbe avere anche un lato positivo.

L’assessore regionale al Welfare, Giulio Gallera, ha recentemente presentato un primo bilancio della riforma sanitaria lombarda voluta da Maroni nell’agosto del 2015.

La riforma, ricordiamolo, prese le mosse da una sostanziale conferma dei principi che definiscono la peculiarità del sistema sanitario lombardo: la libertà di scelta del paziente, la separazione delle competenze di controllo, acquisto ed erogazione tra ATS (le vecchie ASL) ed erogatori, ovvero ASST (le vecchie aziende ospedaliere) e privati, e, non ultimo, un pari trattamento a erogatori pubblici e privati, a garanzia di una sana competizione nell’offerta delle prestazioni sanitarie.

A questi principi, la riforma aggiungeva quello della presa in carico del paziente cronico. Semplificando non poco, l’idea è che la gestione dei cronici debba essere continua e completa, non limitata ai servizi offerti all’interno delle strutture sanitarie. Le intenzioni parrebbero buone e l’obiettivo ragionevole, considerato soprattutto l’invecchiamento della popolazione e il continuo aumento dei malati cronici: secondo i dati della Regione sarebbero presenti in Lombardia 3,5 milioni di cronici (4 milioni secondo ISTAT).

Per i cronici aderenti alla riforma, un ente gestore (il medico di famiglia oppure ospedali valutati come idonei dalla Regione) dovrebbe ora occuparsi di erogare direttamente, o procurarsi tramite accordi con altri erogatori, le prestazioni necessarie per la propria o le proprie malattie croniche. Il paziente è libero di scegliere il proprio gestore, con il quale firmerà un accordo (il patto di cura) della durata di un anno.

Data la situazione, a prima vista i numeri presentati dall’assessore Gallera farebbero pensare a un flop. Su 3,1 milioni di lettere di invito inviate a pazienti cronici, dopo 5 mesi solo 140 mila hanno aderito alla riforma, sottoscrivendo il PAI (Piano Assistenziale Individualizzato, in cui sono previste le prestazioni che andranno eseguite durante l’anno). In parte, ciò è probabilmente dovuto all’ostilità da parte dei medici di famiglia, dei quali solo il 48% ha aderito alla riforma come gestori.

Tuttavia, se da un lato può sembrare un buco nell’acqua, questo timido inizio potrebbe offrire a Regione Lombardia una buona occasione per sperimentare il nuovo modello, di cui cominciano a delinearsi i dettagli, con relativi rischi e opportunità. In generale, quando si prova a sviluppare una politica pubblica innovativa, non è male poter fare un esperimento controllato per scopo e dimensioni.

Per esempio, si discute già in abbondanza del ruolo dei medici di famiglia, su cui la Regione dovrà riflettere. Dario Beretta, presidente AIOP Lombardia, ha poi ricordato che si dovrà fare attenzione a preservare la libertà di scelta del paziente, in modo che la sottoscrizione del patto di cura non vincoli i pazienti nella scelta degli erogatori per le prestazioni di specialistica ambulatoriale, soprattutto quelle al di fuori del PAI. Inoltre, come sempre, il tema delle risorse è particolarmente sensibile. Cosa accadrà se i PAI dovessero prevedere prestazioni aggiuntive rispetto al consumo storico di questi pazienti? Pare inevitabile che le risorse aggiuntive necessarie verranno tolte ai non cronici.

Nell’incertezza, emerge però anche un aspetto molto positivo di una delibera regionale del 14 maggio scorso in tema di negoziazioni e contratti per l’anno 2018. L’ammontare del budget per la presa in carico “non prevede ripartizioni a priori tra gli erogatori pubblici e privati accreditati ed è destinata alla remunerazione delle prestazioni effettuate dal momento dell’arruolamento”. Si tratta di un passaggio fondamentale, grazie al quale per la prima volta gli erogatori potrebbero finalmente competere sulle quote di mercato del SSN, oggi decise a inizio anno a tavolino dalla Regione. I pazienti cronici sarebbero liberi di scegliere i migliori erogatori a discapito dei peggiori, senza tetti alle prestazioni stabiliti ex-ante.

Per i cronici, data la frequenza con cui si può aver bisogno di rivolgersi al medico, gioca notoriamente un ruolo importante anche la distanza dell’erogatore da casa, per cui non dovrebbero verificarsi cambiamenti sconvolgimenti nelle quote di mercato. Peraltro, considerato il bassissimo numero di cronici aderenti, ciò diventa pressoché impossibile. Tuttavia, per la prima volta, in questo inaspettato piccolo esperimento di policy, viene rimosso un limite importante alla concorrenza tra erogatori sanitari. A beneficiare della maggior concorrenza, come spesso accade in questi casi, saranno soprattutto i consumatori, ovvero i pazienti cronici.

@paolobelardinel

You may also like

Maratona concorrenza: pubblico, privato e competizione nella sanità
COVID-19 e il laboratorio Italia
Il Tar Toscana mette ordine al sistema sanitario, tra tutela della salute e vincoli di budget
Il riconoscimento del caregiver familiare tra buone intenzioni e discriminazione

Leave a Reply