23
Dic
2021

Consigli di lettura per il 2022 (terza parte)

La terza e ultima puntata dei consigli di lettura per le feste natalizie e per i prossimi dodici mesi da parte di membri del team IBL e collaboratori dell’Istituto


S. Mullainathan e E. Shafir, Scarcity. Perché avere poco significa tanto (il Saggiatore, 2014 [2013])

Scarcity è un libro che è piovuto nel mercato librario un po’ come un oggetto alieno, anche a causa della bizzarra veste grafica. Per rendersi conto di come è stata accolta la copertina di questo libro, basta guardare le recensioni su Amazon. Peccato, perché il libro svolge alcune idee originali – o porta idee non nuove a conclusioni sorprendenti – sulla vita degli individui e delle comunità in condizioni di stress, testandole sperimentalmente con i metodi della psicologia comportamentale (Sendhil Mullainathan è un economista comportamentale, Eldar Shafir insegna psicologia e affari pubblici). L’idea di partenza è che varie forme di scarsità (di tempo, di risorse economiche…) “prelevano una tassa” sulle capacità cognitive degli individui. La grande preoccupazione per le necessità immediate, in mancanza di risorse cognitive inutilizzate, porta a una caduta di attenzione per le questioni più ampie e per le conseguenze a più lungo termine. La “trappola della scarsità” spiega perché negli USA i poveri hanno un’alta probabilità di essere obesi, perché le famiglie a basso reddito rinunciano a mandare i figli all’università anche quando esistono forme di sostegno economico che lo consentirebbero, perché nei villaggi rurali dell’India i più poveri sono meno attenti all’igiene delle mani o al trattamento dell’acqua che bevono, e così via. La povertà, insomma, provoca il sacrificio di preziose capacità cognitive, essenziali per decidere liberamente. A distorsioni analoghe porta la mancanza di tempo. A conclusione del libro gli autori allargano la prospettiva. Se la “larghezza di banda” (ossia la misura delle capacità cognitive) varia per gli individui, è probabile che possa variare anche per l’intera società. Una recessione come quella del 2008-2012, focalizzando l’attenzione sull’aumento della disoccupazione, ha forse peggiorato anche la qualità delle decisioni a livello di sistema? Esiste ed è misurabile una “recessione cognitiva”? Forse oggi si potrebbe provare ad applicare alcune idee di Scarcity agli effetti della pandemia di Covid19 nonché delle azioni intraprese per combatterla.

Giuseppe Barile, traduttore di Lasciare in pace gli altri, Liberi di scegliere e La razionalità nell’economia


G. Corbellini e A. Mingardi, La società chiusa in casa. La libertà dei moderni dopo la pandemia (Marsilio, 2021)

Il lettore che si sia attentamente protetto dal contagio degli instant book sulla pandemia trova in La società chiusa in casa gli strumenti e lo spazio che cercava per riflettere su ciò che ci sta accadendo. Non sorprende che il merito sia di Gilberto Corbellini e Alberto Mingardi: due cultori della storia e della storia del pensiero in un’epoca in cui i dati e le notizie proposti dal circo mediatico diventano obsoleti molto in fretta e che, negli articoli scritti a quattro mani negli scorsi mesi, sono riusciti a far collaborare (per davvero) il punto di vista dell’epidemiologia e quello delle scienze sociali. Questo saggio procede in modo molto diverso dagli interventi sui quotidiani, per permettere agli autori di allontanare definitivamente il rischio di provare a “fare la storia in presa diretta”. La convivenza tra SARS-CoV-2 e noi viene analizzata con le premesse della psicologia sociale, della storia delle epidemie, delle idee che hanno permesso alla libertà di lavorare nonostante i lockdown e di farci convivere col virus sopportando costi sempre inferiori. Se è stato presto evidente che né i virologi, né le élite politiche possono trovare da soli soluzioni adeguate per superare questa crisi, gli autori discutono alcune maledizioni con cui ancora facciamo i conti. Sono quelle che ci spingono a ignorare o addirittura disconoscere le risorse della società aperta, di cui pure avremmo un bisogno ancora maggiore. Nel suo percorso, il lettore conosce SARS-CoV-2 prima come patogeno e poi come causa di fenomeni nei media e nella politica. Impara ad osservare la pandemia come un processo evolutivo di quelli teorizzati da Charles Darwin, quanto come un banco di prova per la nostra capacità di accettare l’individuo (e la sua responsabilità) come motore delle società aperte. Qualche ragione in più per acquistare il libro di Corbellini e Mingardi è nella diagnosi sulla malattia che ha colpito gli esperti in TV, nei pensieri sul vaccino come ingrediente della libertà, negli appunti sugli appetiti che le crisi risvegliano nella pancia dello Stato. E non potevano mancare commenti alle posizioni totalitarie quanto bislacche di Zero Covid o di One Health. Strappano qualche risata in un libro che prova a riportare nel dibattito sulla pandemia una merce ormai abbastanza rara: la razionalità.

Enzo Cartaregia, responsabile comunicazione IBL


A. Frassineti, Lo spirito delle leggi (il Mulino, 1989)

Trentadue libri, due volumi, quattordici anni di lavoro, Lo spirito delle leggi (1748) di Montesquieu è un ponderoso trattato di filosofia politica, sulle forme di governo, il diritto e tanto tanto altro, una sorta di enciclopedia che raccoglie la riflessione settecentesca sulle “leggi profonde che regolano il reciproco rapporto fra la politica e lo spirito generale di uno Stato”. Pubblicato nel 1989, novanta paginette scarse, piccolo formato, Lo spirito delle leggi di Augusto Frassineti è tutt’altra opera, ma incarna bene un tratto caratterizzante dello spirito dei tempi, cioè dell’età contemporanea, soprattutto dal secondo dopoguerra in poi: l’espansione della burocrazia. Per alcuni fondatore di un vero e proprio genere, la letteratura con a tema la burocrazia ministeriale, Frassineti conosceva dall’interno la tematica, essendo egli stesso impiegato statale, ma era anche un raffinato traduttore (Rabelais, Diderot, ecc.) e uno scrittore satirico, autore di un inclassificabile libro come Misteri dei ministeri (Einaudi, 1973): “L’inferno che Frassineti esplora è quello dell’ufficialità che promana dall’alto, quello dell’ufficialità che viene subìta e alimentata dal basso, dall’alienazione del Suddito Modello” (Italo Calvino). Leggina Leggina Legge Regina è il primo dei quattro scritti raccolti ne Lo spirito delle leggi, dove per leggina s’intende “la famosa leggina con decorrenza immediata e con effetto retroattivo”. Scritto originariamente negli anni Sessanta, “a quel tempo il cumulo delle leggine promosse a fini propri (come dire ‘privati’) dai diversi ruoli, gradi, gruppi, categorie, classi, fazioni, enti, persone singole e sindacati, copriva un terzo e più del calendario dei lavori parlamentari e assorbiva il fior fiore delle forze di pressione dei notabili di tutte le carriere”. Col tempo non è che sia cambiato molto, e negli scritti che compongono il libro si parla di questo e di altri “mali atavici” che affliggono un’Italia popolata da burocrati, circolari, norme, enti, bonus, sussidi che creano un mondo labirintico, grottesco e paradossale, dove spesso la forma (meglio se oscura, criptica o arzigogolata) ha il totale sopravvento sulla sostanza. Non a caso l’ultimo testo mette in scena l’apoteosi della forma e dell’organizzazione, riportando la Relazione al Congresso della Sezione Italiana del Congresso Internazionale. Quello di Frassineti non è però un libro di denuncia, si tratta di letteratura intelligente e spassosa, perché “un umorismo, assolutamente involontario, abita le aule, gli uffici, i cunicoli di quell’entità misteriosa che è l’Amministrazione”.

Filippo Cavazzoni, direttore editoriale IBL


C.M. Cipolla, Storia economica dell’Europa preindustriale (il Mulino, 2009 [1974])

Forse non è un libro per chiudere l’anno e neanche per cominciarne uno nuovo ma senza dubbio è un libro che, prima o poi, dovrebbe essere letto. Letto come romanzo anche se saggio, grazie alle abilità del suo scrittore, e scoperto su consiglio di un professor di storia, il libro dello scomparso Carlo Cipolla è un piccolo gioiello della storiografia economica. Nelle sue circa 400 pagine l’autore esplora con molta attenzione e precisione l’economia europea prima della Rivoluzione industriale e capitalista del secolo XIX, riuscendo a far capire come individui, famiglie e artigiani provavano, con i pochi mezzi a disposizione, a sopravvivere all’interno di un mondo saturo di guerre ed epidemie. Dalle enclosures inglesi fino all’arsenale di Venezia, dalla rinascita dell’anno mille fino alle grandi scoperte territoriali del XVI secolo e dalle spezie dell’oriente fino all’oro spagnolo, l’obiettivo del libro è al contempo ambizioso e misurato, capace di affascinare e far innamorare tutti gli interessati a scoprire quel difficile e complesso mondo che era l’Europa tante centinaia di anni fa.  

Carlos Di Bonifacio, collaboratore IBL


T. Szasz, Our Right To Drugs: The Case for a Free Market (Syracuse University Press, 1996 [1992])*

Negli anni Settanta la sinistra intellettuale italiana si convinse che lo psichiatra ungherese, naturalizzato statunitense, Thomas Stephen Szasz fosse uno di loro. Le case editrici progressiste si affrettarono a tradurre molti suoi libri sulla follia, la psicoterapia e le droghe. Per esempio, il suo straordinario volume Ceremonial Chemistry: The Ritual Persecution of Drugs, Addicts, and Pushers, del 1974, fu pubblicato tre anni dopo da Feltrinelli con il bizzarro titolo Il mito della droga, forse suggerito da Umberto Galimberti, autore di un’evitabilissima prefazione. Ma Thomas Szasz non era uno di loro; quando l’equivoco si dissolse cessarono anche le traduzioni. Invito quindi i lettori a gustarsi, per ora in inglese, Our Right To Drugs, dove viene completamente allo scoperto lo Szasz libertario che difende il nostro diritto alla droga come parte del nostro diritto a disporre liberamente del nostro corpo. I riferimenti alle opere di John Locke, John Stuart Mill, Lysander Spooner e Ludwig von Mises illuminano le pagine di Szasz il quale, occorre dirlo ad alta voce, è uno di noi: un liberale con spiccate tendenze libertarie. E, last but non least, è anche un eccellente scrittore.

Roberto Festa, membro del comitato editoriale IBL Libri


M. Gurri, The Revolt of The Public and the Crisis of Authority in the New Millennium (Stripe Press, 2018 [2014])*

Scritto nel 2014, questo libro non ha perso quasi nulla della sua perspicacia. Martin Gurri evidenzia come la rivoluzione nella tecnologia della comunicazione abbia contribuito ad uno sconvolgimento culturale, politico e strutturale della società. La molteplicità di fonti di informazione e i numerosi fallimenti degli esperti hanno prodotto la perdita di autorevolezza del governo e degli esperti stessi. La frammentarietà e la “personalizzazione” dei canali di comunicazione ha fatto sì che oggi sia scomparso il concetto stesso di opinione pubblica, sostituita da una molteplicità di “pubblici” ciascuno interessato ad uno o più problemi specifici. A partire dagli anni ’10 di questo secolo, abbiamo visto grandi movimenti di protesta uniti solo dal rifiuto della situazione esistente, che poi si frammentavano non appena esaurita la spinta iniziale. Nelle conclusioni Gurri delinea alcune vie possibili per ridare vita, in modo diverso, alla politica democratica.

David Perazzoni, responsabile tecnologia e sviluppo IBL


R. Gorini, Caos Economy. Le 10 regole per sopravvivere alle crisi economiche (Roi Edizioni, 2020)

Una lettura adatta a “prepper” studiosi di economia. Per “prepper” si intendono generalmente coloro i quali si preparano preventivamente a scenari di crisi estreme, come emergenze ambientali e disordini sociali, attrezzandosi soprattutto a livello logistico e alimentare (come sopravvivere in bunker con scorte alimentari e cose del genere). Il libro di Roberto Gorini si propone di individuare alcune regole – utili all’individuo in uno scenario non ancora catastrofico ma di disordine e cambiamento economico – ricavate da una ’“Anatomia delle crisi economiche” nella quale l’autore ripercorre e analizza pandemie, guerre e crisi economiche evidenziando come queste si verificano ciclicamente con modalità altrettanto ricorrenti, quindi prevedibili. Abbiamo quindi la possibilità di indirizzare tali eventi almeno in parte a nostro favore, evitando di subirli passivamente concentrandoci troppo sui problemi politici e poco sulle soluzioni individuali. Come sosteneva Schumpeter, ben prima della più recente teoria della “Disruptive innovation” di Christensen, la distruzione può anche essere creativa: “quella comunità avrà un vantaggio competitivo su altre società che invece sono immobilizzate da diritti stratificati, leggi copiose e tasse eccessive”. Penso insomma che questa lettura possa aiutare a evitare proprio l’immobilismo e la rassegnazione individuali che ci potrebbero causare l’avanzamento opportunistico dell’autorità pubblica durante la pandemia e le sue conseguenze sul collettivismo che dilaga nella società privata.

Giacomo Reali, Research Fellow IBL


V. Buldyrev, F. Pammolli, M. Riccaboni e H. Stanley, The Rise and Fall of Business Firms: A Stochastic Framework on Innovation, Creative Destruction and Growth (Cambridge University Press, 2020)*

Da cosa nasce l’innovazione? Perché alcune imprese crescono e prosperano, mentre altre perdono terreno e scompaiono? Sono domande cruciali con cui gli economisti si confrontano da generazioni. Un nuovo e importante contributo arriva dal libro The Rise and Fall of Business Firms. La risposta in breve: non c’è crescita – dei paesi come delle imprese – senza progresso tecnologico, e non c’è né progresso né sviluppo senza un sistema capace di mettere il vento nelle vele delle aziende coi prodotti più innovativi (cioè in grado di intercettare un bisogno qui-e-ora) e facendo uscire di scena quelle che perdono questo fuoco magico. Il libro presenta ed espande i risultati di una lunga attività di ricerca, che ha visto gli autori – due economisti e due fisici – studiare le interazioni tra le imprese e all’interno di esse. L’analisi muove da un’assunzione fondamentale: le imprese non sono l’unità fondamentale dei mercati. Come le molecole sono fatte di atomi, anche le imprese sono costituite da unità più piccole – che possiamo immaginare come le diverse linee produttive, qui schematizzate attraverso i prodotti – le quali possono svilupparsi, moltiplicarsi o sparire. In questo modo, l’impresa cresce dimensionalmente quando aumentano il numero o le dimensioni delle sue unità costitutive (misurate in termini di addetti o di fatturati). Quando invece i prodotti esauriscono il loro ciclo vitale, l’impresa che li produce si contrae; quando tutte le unità cessano, l’impresa sparisce. Senza entrare nelle tecnicalità, gli autori operano su due livelli. Da un lato, cercano (e trovano) diverse regolarità empiriche all’interno dei loro dati, relativamente, per esempio, alla forma della distribuzione di probabilità sulle dimensioni delle imprese e dei loro tassi di crescita. Dall’altro lato, mostrano che l’unico framework stocastico capace di riprodurre queste regolarità è basato sull’ingresso sul mercato di nuove “opportunità di business” (cioè prodotti o linee produttive), che prende forma attraverso la nascita di nuove imprese, la crescita di quelle più dinamiche, la scomparsa di quelle obsolete. Si tratta di osservazioni importanti, che offrono non solo un contributo allo sviluppo della nostra comprensione di questi fenomeni cruciali (e all’avanzamento dell’economia come scienza), ma anche al disegno di politiche economiche che ci aiutino a superare la crisi del Covid. Se, infatti, la crescita avviene solo attraverso l’arrivo di nuove imprese e prodotti, ogni misura volta a impedire tale processo rischia di far ingrippare il motore dell’economia.

Carlo Stagnaro, direttore ricerche e studi IBL


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