26
Feb
2023

Concessioni balneari: piccolo non è sinonimo di bello

Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Francesco Bruno.

Ho letto il post sul Leoni Blog scritto da Lorenzo Imbasciati, nel quale l’autore ha commentato il recente focus da me scritto per l’Istituto Bruno Leoni. Ritengo utile effettuare qualche precisazione in merito, a beneficio del dibattito. 

Imbasciati scrive che “In sostanza si dà per scontato che per partecipare alle gare sia necessaria una dimensione aziendale più grande di quella che hanno gli attuali gestori. È possibile che con le regole sulle gare che tutti danno per scontate le cose stiano effettivamente così, ma questo è a mio avviso profondamente sbagliato.”

In primo luogo, la partecipazione alle gare mediante raggruppamenti temporanei d’impresa (“RTI” o “ATI”) rappresenta una possibilità. A volte si rende necessaria per quelle imprese che non possiedono singolarmente i requisiti richiesti dal bando e che, in assenza di ATI, non riuscirebbero a presentare offerta. Altre volte delle singole aziende decidono di unire le forze per condividere parte degli investimenti, ad esempio, ed essere più competitivi. Il suggerimento contenuto nel focus ed in altri scritti precedenti di IBL, quindi, va solo nella direzione di rispondere ad alcune delle paure più ricorrenti espresse da molti operatori del settore, preoccupati dalla possibilità di dover competere con nuovi concorrenti dotati di maggiore robustezza economica ed organizzativa. È una possibile risposta alle obiezioni mosse nei confronti della messa a gare delle concessioni. Nulla si dà per scontato.

Imbasciati esprime poi il suo legittimo parere su come dovrebbero essere disegnati i bandi di gara. Tale argomento non è oggetto del focus citato. Approfitto di questa sede però per dare la mia opinione al riguardo.

Imbasciati scrive che “Per uscire dall’impasse tra la necessità di fare le gare e il legittimo interesse di non punire chi ha gestito le spiagge fino ad oggi la strada è proprio quella di disegnare i lotti da mettere a gara sulle dimensioni FAMILIARI degli attuali gestori. Un amico che se ne intende mi ha detto che questo equivale a 150 metri di larghezza di un “bagno”. 

Quest’opinione non mi trova d’accordo. In primo luogo, le imprese familiari scontano grossi limiti, perché concettualmente rifiutano la separazione tra proprietà e gestione che può generare una maggiore efficienza.  

In secondo luogo, la retorica del “piccolo è bello” non mi ha mai convinto. La nostra economia soffre del nanismo del suo tessuto imprenditoriale. Non penso che occorra danneggiare direttamente le piccole imprese per forzarle a crescere o scomparire, ma nemmeno che sia opportuno frapporre degli ostacoli normativi o dei disincentivi alla loro crescita. 

A mio parere, sarebbe molto più auspicabile che le imprese piccole, familiari e non, unissero le forze, mediante la partecipazione in ATI, piuttosto che auspicare il mantenimento di micro-lotti. 

Scrive poi Imbasciati che “Se poi vogliamo spingere ancora di più sulla numerosità e sulla differenziazione, non sarebbe uno scandalo anche IMPORRE che un soggetto non possa concorrere per più di tre lotti per evitare che un gestore “grosso” sottragga agli utenti la varietà che hanno avuto fino ad oggi.”. 

Questo avviene già per numerose gare pubbliche, ma eviterei di imporlo con legge nazionale. Lo lascerei alla valutazione dei singoli enti locali, sulla base del piano spiagge. 

Al di là delle mie opinioni personali però, rilevo che il commento di Imbasciati sembra del tutto in linea con quello della politica maggioritaria. Leggendo la legge delega del Governo Draghi, contenuta nella legge annuale per il mercato e la concorrenza, si prevede che i decreti legislativi di attuazione dovrebbero definire i “presupposti  e  dei  casi  per  l’eventuale frazionamento in piccoli lotti delle aree demaniali  da  affidare  in concessione, al fine di  favorire  la  massima  partecipazione  delle microimprese e delle piccole imprese”.

Con riferimento al gestore “grosso”, la medesima legge prevede altresì la “definizione, al fine di favorire l’accesso delle  microimprese e delle piccole imprese  alle  attivita’  connesse  alle  concessioni demaniali  per  finalita’  turistico-ricreative  e  sportive  e   nel rispetto dei principi di adeguatezza e proporzionalita’,  del  numero massimo di concessioni di cui puo’ essere titolare, in via diretta  o indiretta, uno stesso concessionario a livello comunale, provinciale, regionale  o  nazionale”. 

Di conseguenza, il legittimo parere di Lorenzo Imbasciati appare quello attualmente dominante all’interno della nostra classe politica. Come ho scritto nel focus, “L’impressione generale è che si vogliano costruire delle gare in grado di scoraggiare l’ingresso di nuovi operatori.” A me non sembra una grande idea. Fare delle finte gare solo per lasciare ognuno al suo posto, è analogo al non fare alcuna gara.

Un ultimo commento alla chiusura di Imbasciati, che scrive “L’obiezione potrebbe essere costituita dai “doveri” di adempiere a regolamenti e normative europee come il trattamento dei dati, la sicurezza, le norme sul lavoro, le certificazioni, eccetera. Tutti questi adempimenti potrebbero richiedere un personale aggiuntivo che farebbe sballare i conti di una piccola impresa familiare. Se le cose stanno così, occorre battersi per esentare le imprese balneari da tali adempimenti (per poi magari esentarne anche altre) perché diversamente non è sbagliato interpretare l’indicazione comunitaria a fare le gare come un tentativo di avvantaggiare imprese estere con maggiori dimensioni soppiantando gli attuali gestori anche quando questi siano in grado di offrire eccellenza e di mettersi in competizione fra di loro facendo gli interessi degli utenti.”. 

Leggendo la legge delega già citata, conoscendo le opinioni dell’attuale maggioranza politica ed avendo una buona esperienza relativa ai bandi di gara solitamente pubblicati dai Comuni italiani, il più remoto “rischio” è che si voglia favorire operatori stranieri. Tutto fa pensare all’opposto. Ma dubito che questo timore pregiudiziale nei confronti di eventuali investimenti dall’estero nel nostro Paese, possa far bene alla nostra economia.

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