9
Nov
2015

Come governare e cambiare un Paese. Appunti dall’advisor di Blair—di Lorenzo Castellani

Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Lorenzo Castellani.

Per la politica contemporanea delle democrazie liberali soddisfare le aspettative dei cittadini rappresenta il principale problema. Ciò che muove una contestazione, elettoralmente considerevole in Europa e negli Stati Uniti, verso le forze politiche di governo è la sensazione che, nonostante il cambio di colore dei governi, le democrazia restino oramai un potere vuoto.

Michael Barber, ex advisor per i servizi pubblici del secondo governo Blair, affronta questo problema nel suo nuovo libro How to run government?, un saggio che sta animando il dibattito di think tank e università internazionali intorno al potere esecutivo. Barber è l’inventore del termine “deliverology”, la scienza che studia la fornitura dei servizi pubblici ai contribuenti. La tesi di fondo del docente inglese è semplice: i governi si concentrano eccessivamente sugli annunci e sull’approvazione delle leggi in sé, tendono a mettere troppa carne al fuoco, e perdono così di vista sia la fase d’implementazione che gli obiettivi che si sono prefissati. Già perché vedere validati dal Parlamento i testi legislativi non significa affatto aver completato una riforma perché questa richiede uno sviluppo, una cura e manutenzione costante da parte dei ministri e degli alti mandarini.

In Italia il fenomeno è particolarmente noto e quasi sempre sottovalutato: una riforma non finisce, ma inizia con la legge. Servono poi i decreti attuativi, organizzazione amministrativa, controllo dei risultati. Nel medio-lungo periodo la politica dell’immediatezza sconta l’incapacità di far avvertire il cambiamento avviato ai cittadini e ciò, in particolare, per quanto riguarda riforme che coinvolgono la pubblica amministrazione come scuola, sanità, servizi pubblici, liberalizzazioni delle utilities.

Barber individua come prima necessità per i governi quella di rendere irreversibili le proprie riforme e per fare ciò esistono due precondizioni: la durata dei governi e l’individuazione delle priorità dell’esecutivo. La prima è legata alla struttura istituzionale e si raccomandando forme di governo che siano in grado di garantirla. Le priorità sono gli obiettivi che un governo deve prefiggersi individuando massimo tre-quattro grandi riforme da approvare e realizzare nel corso della legislatura. Qui è importante non affollare eccessivamente il campo di propositi che possano confondere e deludere gli elettori perciò vanno selezionate poche aree su cui incanalare l’attività governativa.

In secondo luogo, è opportuno centrare la strategia per migliorare i servizi pubblici e Barber suggerisce una formula mista: i vertici politici devono fissare gli obiettivi, l’apparato burocratico deve rifinirli, ma la concorrenza deve essere il valore chiave su cui deve poggiare l’erogazione dei servizi perché “la creazione di un sistema di scelta e competizione incentiva i players a fare la cosa giusta” cioè offrire servizi efficienti e al miglior costo per i contribuenti. Non solo, accanto ad un sistema concorrenziale deve svilupparsi un modello di “devolution e trasparenza” così che poteri e responsabilità siano delegati ai manager pubblici, ma che l’esercizio di questi sia controllato attraverso la pubblicazione di dati e risultati che permettano di controllare il lavoro dei dirigenti pubblici. Si crea così una doppia pressione sull’amministrazione: una dall’alto attraverso la concorrenza e la rottura dei monopoli e una laterale attraverso la quale i responsabili possono imparare gli uni da gli altri e migliorare.

Tenuto conto di tali considerazioni il docente inglese ripesca l’idea liberista di Milton Friedman d’introdurre dei buoni, il cui valore è variabile a seconda del reddito del destinatario, da conferire ai cittadini per servizi come la scuola e la sanità perché i contribuenti, in un sistema d’offerta concorrenziale, sanno meglio come spendere i soldi del governo rispetto ai burocrati.

Come realizzare questi cambiamenti? Fissare gli obiettivi, elaborare un piano, perseguirlo nella contrattazione con le parti sociali rispetto alle quali Barber suggerisce di tenere fermi i principi ed essere flessibili nelle soluzioni, istituire dei meccanismi di controllo che preservino le riforme. Quest’ultimo punto è particolarmente innovativo perché l’ex consulente di Blair suggerisce la creazione di “delivery units”, delle unità specializzate composte da massimo una decina di burocrati e consulenti, che seguano lo sviluppo delle riforme prioritarie del governo. Queste hanno il compito di seguire tutto il processo post-legislativo: raccolta dati, studio  delle organizzazioni, selezione dei parametri, scrittura dei regolamenti, monitoraggio dei contratti.

Per rendere irreversibile una riforma, argomenta Barber, il cambiamento deve avvenire su tre livelli: individuale, istituzionale e organizzativo. A livello individuale, come dimostra il recente caso degli assenteisti del Comune di Sanremo, vanno estirpate le cattive pratiche e consolidate le buone: in qualsiasi modo vanno incentivate le amministrazioni eccellenti e penalizzate le scadenti. Valorizzare ciò che funziona, liberarsi di chi e cosa non produce efficienza. A livello istituzionale e organizzativo, il commitment del governo non può esaurirsi dopo la fase parlamentare, anzi i ministri devono darsi degli obiettivi misurabili da raggiungere nel corso del tempo.

Barber applica i suoi metodi anche alla spending review, altro tasto dolente del nostro Paese, sostenendo che questa deve essere rimodellata per un periodo di almeno tre anni e le riduzioni di spesa devono essere allocate su un periodo di almeno due anni. Ciò permette di spostare il denaro pubblico verso le priorità che si è dato il governo, controllare l’implementazione delle riforme, ridurre e migliorare qualitativamente gli obiettivi, mettere al centro la produttività del settore pubblico invece di limitarsi  ad allocare le risorse e sperare per il meglio.

In conclusione, Barber suggerisce come il rapporto tra Stato e mercato non debba essere per forza dicotomico: privato e pubblico, pratiche e tecniche del primo e regole del secondo, possono compenetrarsi per fornire il miglior risultato ai contribuenti. Perché il successo del mercato e l’efficacia del governo vanno di pari passo. Appunti preziosi per un Governo Renzi propositivo e comunicativo, ma spesso incline a muoversi a macchia di leopardo sulle riforme, a fare del “la legge è passata” un sigillo del successo piuttosto che l’inizio di un percorso, ad essere debole nella spending review e, fino ad oggi, troppo poco concentrato nel mettere al centro dell’agenda contribuente, libertà di scelta e concorrenza nell’erogazione dei servizi pubblici.

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1 Response

  1. FR Roberto

    La pubblicazione di Mr Barber sembra effettivamente degna di nota.
    Le sue indicazioni mi sembrano tuttavia di difficile e non immediata applicazione in un paese di caciottari.
    Iniziamo dalle precondizioni di cui al punto uno. La durata dei governi è un’utopia con un sistema elettorale che non consente di governare a chi vince le elezioni, e individuare delle priorità in una maggioranza costruita mercanteggiando accordi, promesse e poltrone non è concretamente realizzabile.
    Sul secondo punto i dubbi continuano (o addirittura aumentano). Ammesso che i vertici politici riescano a fissare degli obiettivi ragionevoli in grado di produrre risultati utili, l’apparato burocratico non riuscirà mai a realizzarli: i nostri burocrati hanno spesso una forma mentis da Dottor Azzaccagarbugli, e non da manager quali dovrebbero essere, e non dimentichiamoci che a volte le poltrone più prestigiose sono occupate da persone senza merito e senza capacità, che spesso fanno di tutto per ostacolare i politici che non li hanno nominati, in attesa che ritornino quelli che li hanno nominati.
    Purtroppo in Italia troppe generazioni sono nate e cresciute in un contesto che non premia il merito ma la “furbizia” (=illegalità), dove l’improvvisazione viene spacciata per fantasia e per genialità.
    Cambiare rotta richiede uno sforzo immane e tempi lunghi.
    E tra l’altro sembra che nessuno voglia iniziare per davvero questo cambiamento.

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