3
Dic
2015

C’è un giudice a Bellinzona. ILVA nazionalizzata dai pm ormai a picco

Notizia numero uno: a fine ottobre 2015 l’Italia è uscita dalla lista dei primi 10 produttori mondiali di acciaio, segnando anche quest’anno un meno 8,6%. E’ l’effetto diretto del continuo declino dell’ILVA pubblica a Taranto, l’azienda espropriata senza indennizzo ai Riva a seguito della vicenda giudiziaria iniziata nel 2012.

Seconda notizia: in Svizzera, il tribunale federale di Bellinzona ha respinto su tutta la linea la richiesta avanzata dalla magistratura italiana di trasferire alla disponibilità dei commissari pubblici dell’ILVA 1,2 miliardi detenuti dagli eredi Riva su conti UBS. Per i giudici elvetici, è illegittimo espropriare fondi privati prima che venga emessa qualunque sentenza sui Riva indagati, in assenza di garanzie esplicite sulla loro tutela patrimoniale in caso di proclamata innocenza. Inoltre, era manifesto che la richiesta italiana fosse volta ad altro fine: non la sanzione per ipotesi di reato ancora da accertare, ma la devoluzione immediata al risanamento ambientale dell’ILVA ormai pubblica.

Terza notizia: la Commissione europea è ormai pronta a formalizzare la contestazione all’Italia per aiuti di Stato all’ILVA, per non meno di 1,8 miliardi a seguito dei due ultimi decreti riservati all’acciaeria di Taranto. I concorrenti dell’un tempo profittevole e temibile gruppo siderurgico italiano stringono d’assedio Bruxelles da ormai due anni, perché il dossier venga aperto.

Aridi fatti messi in fila: il bilancio dell’immane distruzione di valore, occupazione, export e gettito fiscale realizzata da una rinazionalizzazione per via giudiziaria che non ha eguali in alcun paese del mondo, tranne le autocrazie in cui le imprese vengono confiscate a discrezione.

Lasciamo ad altri – cioè ai sindacati e a qualche sostenitore del governo – dar torto ai giudici svizzeri: in base anche alla più elementare concezione liberale del diritto penale e di proprietà, hanno mille volte ragione.

Ma ormai questionare sul passato non ha molto senso: le procure hanno creato un fatto compiuto. E la domanda diventa un’altra. Come ne esce il governo? Stanzia altri denari del contribuente? Chiude l’impianto, che dà lavoro a 12 mila persone e oltre 22 mila con l’indotto, in una delle aree più colpite dalla crisi al Sud? O ha un’altra alternativa? L’Europa intanto dà quasi per scontato che, anche quei 2milioni di tonnellate annue che Taranto si è ridotta a produrre, presto scompariranno. E così diminuirà l’eccesso di produzione continentale. Cinesi e indiani, già da 2 anni, commossi ringraziano.

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6 Responses

  1. andrea 61

    Non è esatto parlare di 20.000 potenziali posti a rischio. Come si è visto nel breve periodo in cui da Taranto non usciva un kg di acciaio, l’industria meccanica, quella automobilistica e delle costruzioni si troverebbero a pagare di più l’acciaio con ovvie ricadute sulla competività; inoltre l’acquisto su estero compertrebbe un cambio immediato delle condizioni di pagamento con la necessità da parte del sistema industriale di reperire finaziamenti per coprire il circolante. Da ultimo, la perdita di meteria prima comporterebbe molto probabilmente anche la scomparsa di molte delle lavorazioni intermedie fatte ora da centri di servizio indipendenti.
    Tutto questo per dire che la chiusura di Taranto non porterebbe alla perdita di 20.000 ma bensì di almeno 100.000 posti di lavoro.

  2. Gaetano

    Qualcuno ricorda il gruppo Enimont e la fine che ha fatto? Qualcuno ricorda chi si è comprato le aziende espropriate ai Gardini? La stessa cosa sta avvenendo con l’Ilva. In Italia è così, quando un gruppo cresce troppo e fa ingolosire concorrenti molto influenti, questi trovano la via finanziaria/giudiziaria per distruggere l’avversario e comperarne a prezzi ridicoli le promettenti spoglie. Vi sarete mai chiesti perché in Italia i grossi gruppi industriali sono così pochi? Non è un caso….

  3. Ugo pellegri

    Quanto dice è innegabile ma non tiene conto che i Riva, dopo aver praticamente avuto in regalo l’ILVA, l’hanno spolpata e ridotto un impianto, una volta tra i primi in Europa, ad un colabrodo che lascia passare tutte le sostanze inquinanti possibili ed immaginabili. Gravi responsabilità hanno anche le amministrazioni locali ed i magistrati trovano terreno fertile per esprimere la loro voglia di protagonismo. In una situazione del genere qualsia scelta è opinabile e criticabile. Errori di anni alla fine si pagano amaramente anche grazie ad imprenditori che guardano all’incasso del giorno e non pensano al domani della loro impresa.

  4. Paolo Accornero

    In realtà l’ILVA quando era pubblica era ancor più colabrodo inquinante di quanto abbiano fatto i Riva. Inoltre pubblica è la responsabilità dei mancati o ammiccanti controlli fatti. Nelle nostre PMI Arpa, ispettorato del lavoro, Asl, Nas, Vigili del Fuoco e chi più ne ha ne metta se non ti regolarizzi ti fanno chiudere….e allora di che cosa stiamo parlando. È un’altra triste storia di politica industriale pubblica tipicamente all’italiana e quindi ricca di ipocrisie. Mi ricorda i tempi in cui prima di acquistare un’azienda si denunciava la stessa alla Guardia di Finanza, così là si prendeva per un tozzo di pane.

  5. andrea 61

    Lungi da me difendere i Riva, ma vorrei ricordare che il 95% delle sostanze inquinanti presenti nel terreno risalgono alla gestione statale. Una delle gravi lacune dell’azione giudiziaria è nel non aver saputo/voluto discernere tra emissioni e inquinanti depositati facendo di tutta un’erba un fascio. Tanto per fare un esempio, le emissioni di diossina sotto i Riva e colpite dalla magistratura erano circa un trentesimo di quelle quotidianamente liberate nell’aria ai tempi dell’IRI.
    Poi nulla toglie che i Riva non abbiano fatto tutto quello che era necessario per mettere a norma lo stabilimento e che ci sia stata una ampia e diffusa rete diu connivenze che hanno coperto errori ed omissioni, ma non facciamo passare l’idea che il disastro di Tamburi e Statte sia ascrivibile in toto ad una banda di imprenditori voraci.

  6. MG

    …Tutto già scritto..Tutto già visto..Tutto già pianificato..(ogni avvocato senza scomodare principi del foro puo sapere che la legislazione elvetica tutela il diritto di proprietà fino a sentenza deifnitiva passata in giudicato)..Allora? dove sta la differenza tra questi che ci sono adesso e quelli che c’erano ai tempi di Enimont..etc..Andate a Bussi sul Tirino..se volete vedere il risultato..un mostro ecologico mascherato da archeologia industriale tenuta aperto solo per non affrontare la bonifica del sito inquinato per kilometri..in orizzontale e verticale. E potrei elencarne almeno altri 100 di questi siti italiani. Mi pare che come al solito la cura sia sempre peggio del male..e sono sempre i peggiori che vengono messi nei punti decisionali….”ampia e diffusa rete di connivenze”…ma perche non le chiamiamo con il solito nome ..”mazzette” date a tutti per tapparsi il naso e falsificare carte, controlli, esami di laboratorio di aria, acqua e terra..etc. etc. Dalle mie parti si dice “Legare il cane con la salsiccia”…il cane è un cane si sa..pertanto istintivamente abbaia ed è ghiotto di salsiccie…ma se noi gliele mettiamo attorno al collo..beh..la fine è tristemente nota fin dall’inizio…il cane sono gli imprenditori e le “salsiccie” sono le istituzioni che devono controllare. Giovani che sognate future carriere come ingengeri e manager nell’industria..lasciate perdere e iscrivetevi all’Alberghiero…sperando in qualche datore di lavoro asiatico. Qui mi pare che il “Si salvi chi puo” sia sempre valido da oltre 5 anni a questa parte.
    Good Luck!

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