8
Ott
2009

Banche centrali e governi, se l’uno annulla l’altro

Più urla e grida la bufera politica italiana, più occorre occuparsi di cose serie. Può allora sembrare quasi una studiata e un tantino spocchiosa fuga nell’astratto, tipo le Nuvole di Aristofane. E mi rendo conto che gli appassionati di politica e regolazione monetaria siano pochini. Ma ecco un esempio di ottima applicazione  di teoria monetaria al vero problema dei problemi del tempo attuale: che non sono i lodi di cui si occupa la politica italiana, bensì come stimolare la crescita. È Scott Sumner, su TheMoneyIllusion a porre il problema. Vedi qui. La questione di fondo è sempre la solita: il moltiplicatore della spesa pubblica che i governi tentano di utilizzare da una parte, il moltiplicatore monetario usato dalle banche centrali dall’altra. Ora, a prescindere se per esaminare gli effetti – separati, aggiuntivi o elidenti – si debba considerare il Pil reale al netto dell’inflazione – come pensiamo noi chicagoans – oppure se si debba calcolarlo in termini di Pil nominale – come pensano i keynesiani, il punto centrale è un altro. Quand’anche si assuma la tesi keynesiana che lo stimolo avvenga sul Pil nominale, perché la velocità di trasmissione della moneta ha effetti comunque propri di sostegno alla ripresa del ciclo  magari anche a costo di una a quel punto non troppo malefica inflazione aggiuntiva, la questione delicata è che dal nostro punto di vista – non da quello keynesiano – gli effetti del moltiplicatore della spesa pubblica e di quello monetario tendono a elidersi. In altre parole l’output potenziale nominale che il regolatore monetari tende a incorporare come obiettivo delle proprie decisioni anticrisi di politica monetaria, dovrebbe tendere asintoticamente ad azzerare il moltiplicatore della spesa pubblica aggiuntiva governativa, cioè ad annullarne il più possibile le conseguenze di espansione puramente nominale cioè inflazionistica.

È il problema teorico centrale delle cosiddette exit strategy dalla crisi. Nella realtà, nella crisi attuale negli USA la FED non si sta affatto comportando così, bensì affianca la politica nel soffiare su maggior inflazione futura. In Europa, al contrario, la BCE apparirebbe più coerente all’impostazione di Scott Sumner, tranne il fatto che gli effetti sono diversi da Paese a Paese dell’euroarea, in ragione delle diverse curve di costo domestico. In ogni caso, alla prova dei fatti i regolatori monetari dovunque non stanno vincendo la prova dell’azzeramento tendenziale degli effetti puramente nominali. Tendono cioè a perdere terreno rispetto alle pressioni politiche che incorporano un “effetto inganno” a danno delle opinioni pubbliche. Il che li rende più corrivi all’inflazione futura, il cui vero effetto è la riduzione reale dei debiti pregressi e l’impoverimento di chi già prima era più povero. A costo di apparire lunatico ai nostri lettori, preferisco mille volte occuparmi di questo che del rodeo politico in cui da oggi cadrà ancor più l’Italia, chissà per quanto tempo e chissà con quali conseguenze.

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3 Responses

  1. Alessio Borsotti

    Egr. Dir.Giannino,

    O.Wilde , attraverso i suoi capolavori, sintetizza degnamente la situazione politica :
    “Adoro i partiti politici: sono gli unici luoghi rimasti dove la gente non parla di politica”

    Purtroppo i politici italiaci hanno poca dimestichezza con alcune materie :
    economia,storia e matematica.

    il passato non è mai maestro di vita…economicamente parlando ripetiamo gli stessi errori, anche dopo analisi attente.

    Distinti Saluti
    Alessio Borsotti

  2. oscar giannino

    vero, hai ragione stefano e grazie quello che ho messo era un seguito ad altri post nella discussione

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