7
Dic
2010

Autorità. 68 giorni al big bang

Il Consiglio di Stato dichiara possibile la prorogatio dell’attuale collegio dell’Autorità per l’energia per un massimo di 60 giorni dopo la sua naturale scadenza. E poi? Poi, i fuochi d’artificio.

Gli affezionati lettori di Chicago-blog.it sanno con quanta passione abbiamo seguito la vicenda un po’ comica, un po’ tragica del rinnovo del collegio dell’Autorità per l’energia. Che il nuovo collegio andasse individuato entro, e non oltre, il 15 dicembre 2010 era noto da sette (7) anni. Anni durante i quali tre diversi Parlamenti e quattro diversi governi, alternativamente di centrodestra e centrosinistra, non sono stati in grado prima di nominare un componente in sostituzione di Fabio Pistella, che aveva abbandonato per approdare al Cnr, e poi di nominare una terna quando la legge Marzano aveva allargato a 5 il numero dei membri (ironicamente, proprio con l’obiettivo di facilitare il raggiungimento di accordi politici, resi necessari dal requisito del via libera con una maggioranza dei due terzi da parte delle commissioni competenti). Lo stesso ceto politico, e mentirei se dicessi che non sorprende, non è stato in grado di trovare una cinquina in grado di resistere più di dieci (10) giorni: tanto ne sono passati dal trionfale coitus nel consiglio dei ministri del 18 novembre al momento in cui si è interruptus, con la retromarcia del presidente designato, Antonio Catricalà.

Fiutando l’aria, l’Autorità aveva chiesto un parere al Consiglio di Stato per sapere cosa sarebbe successo, nel caso malaugurato e remoto in cui le nomine non fossero arrivate in tempo. La risposta del Cds è arrivata oggi, proprio quando è chiaro oltre ogni ragionevole dubbio che le nomine non verranno fatte in tempo. Vuoi perché il Parlamento non ha i giorni necessari, vuoi perché il tentativo di mettere una pezza con la mera sostituzione del presidente – ultimo in lizza, il magistrato della Corte dei conti Raffaele Squitieri, che a questo proposito ha incontrato ieri Gianni Letta – di fatto non rispondeva ai mal di pancia bipartisan che la qualità delle nomine aveva destato.

Il problema è che la legge istitutiva dell’Autorità non prevede la possibilità che questo accada. Dati i tempi lunghi e l’assenza di incertezza riguardo la tempistica, si supponeva – nell’anno Domini 1995 – che maggioranza e opposizione avrebbero consensualmente trovato uomini (o donne) competenti e preparati, magari vicini a questo o quello ma soprattutto tecnici. Invece, le cose non sono andate così. Sicché, cosa dice il Cds? In quello che a un occhio digiuno di cose giuridiche come il mio appare come un formidabile, e necessario, esercizio di arrampicata artistica sugli specchi, dice che sì, la prorogatio è possibile ma che no, non a tempo indeterminato né per un lungo intervallo di tempo. Per pervenire a un tale risultato, fa l’unica cosa possibile: chiede a sua volta il parere delle altre istituzioni coinvolte (Palazzo Chigi e il ministero dello Svilluppo economico), e alla stessa Aeeg, in modo da evitare clamorosi scontri istituzionali. Nota di colore: il Mse, essendo evidentemente occupato in altre mansioni, non ha ritenuto utile rispondere. I consiglieri di Stato aggiungono che “si ha motivo di ritenere che il 15 dicembre 2010 l’iter di costituzione del collegio dell’Aeeg non risulterà ancora completato”. Cioè: ragazzi, non andiamo per il sottile, siamo in stato di necessità e in questo contesto dobbiamo muoverci.

Dopo di che, il ragionamento è il seguente:

1) La prorogatio è un’eccezione sul cui uso il nostro ordinamento, a differenza di quanto avveniva in passato, è estremamente cauto;

2) In generale, data la natura dell’Aeeg – i cui componenti vengono nominati singolarmente e che può funzionare anche con un collegio incompleto – la prorogatio sarebbe non necessaria, e quindi illecita; tuttavia

3) Gli attuali membri scadranno “simultaneamente” il 15 dicembre, e questo “dato di fatto” rende il caso in esame “assimilabile (una tantum) all’ipotesi dei collegi il cui mandato è soggetto a una scadenza unitaria”. Ai miei occhi inesperti, questa è arte.

4) Neppure si può parlare di inadempienza dell’Autorità – nel qual caso scatterebbe il potere sostitutivo del governo – perché qui, semmai, inadempienti sono il governo stesso e il parlamento.

5) D’altra parte le funzioni dell’autorità sono così “rilevanti e incisive” e “il loro tempestivo esercizio è così doveroso per legge” da dover trovare una gabola (in termini tecnici: “da rendere difficilmente sostenibile l’esclusione di ogni forma di prorogatio“).

6) Dunque, la prorogatio è sostenibile purché non sistematica e non illimitata nel tempo e nell’estensione dei poteri”.

7) Particolare enfasi viene posta dal Cds sulla limitata durata temporale, perché una prorogatio a tempo indeterminato “tutti gli atti diventano, prima o poi, insuscettibili di rinvio”, e dunque fatalmente anche l’estensione dei poteri diventerebbe illimitata. Nel qual caso una parte di me non può fare a meno di ghignare, al pensiero della reazione di certi regolati alla notizia dell’insediamento di Re Sandro I sul trono di Piazzale Cavour. Reazione che quasi renderebbe questa prospettiva, altrimenti insostenibile, tutto sommato desiderabile. Ma questa è una divagazione maligna.

8) Senza contare che, appunto, una prorogatio indefinita sarebbe equivalente a una conferma nell’incarico, in palese violazione della legge che, molto opportunamente, nega tale possibilità.

9) Di conseguenza, la prorogatio deve essere accettata purché limitata nei tempi e nello scopo. Cosa significa “tempi limitati”? Per il Consiglio di stato, vale il termine dei 60 giorni, coerentemente con la legge Marzano che fissa in 60 giorni il termine per la nomina dei membri mancanti del collegio (norma prima disattesa e poi paraculescamente interpretata, ma anche questo è un altro discorso che sta alla base dell’anomalia di un collegio a due).

10) Perché, dunque, proprio 60 giorni? Perché il legislatore del 2004 “stimava che fossero un termine ragionevole e più che sufficiente per svolgere tutto il complesso procedimento della nomina dei (nuovi) componenti”. Se era vero nel 2004, argomenta il Cds, deve essere vero anche oggi. Peccato che, come i fatti successivi hanno dimostrato, già nel 2004 non fosse vero, e dunque – a fortiori e a maggior ragione – non lo è, probabilmente, oggi.

11) In conclusione, viene fissato il termine “non ulteriormente prorogabile” di 60 giorni dalla scadenza del 15 dicembre, e dunque di 68 giorni da oggi.

E dopo? Dopo, il big bang. Ma prima di arrivare al dopo, occupiamoci del prima. Dal 15 dicembre al 13 febbraio l’Autorità, e comunque fino alla nomina di un nuovo collegio, l’Autorità dovrà operare “con la limitazione dei poteri agli atti di ordinaria amministrazione e a quelli indifferibili e urgenti”. Ora, la mia domanda da ingenuo malpensante è: che cavolo è l’ordinaria amministrazione/indifferibile/urgente, e cosa non lo è? Un’interpretazione, estensiva ma ragionevole, potrebbe essere quella secondo cui ricade in tale categoria tutto ciò che sta scritto nella legge istitutiva, e dunque l’attività di determinazione delle tariffe, la regolazione tecnica e di qualità, l’intervento in caso di comportamenti scorretti, e così via. Ma altre interpretazioni potrebbero essere, altrettanto plausibilmente, più restrittive. E’ chiaro, insomma, che la prima, inevitabile conseguenza diretta della prorogatio sarà che qualunque atto dell’Autorità potrebbe essere, e probabilmente sarà, oggetto di contenzioso. D’altro canto, potrebbe generare contenzioso anche la scelta di non fare qualcosa, perché qualcuno potrebbe ritenerlo omissivo. Buona fortuna.

Un secondo effetto sarà quello che, sapendolo, il collegio sarà indotto a comportarsi in modo particolarmente conservativo. I topi ballano anche quando il gatto, pur essendoci, è debole o ferito.

Una terza e più politica conseguenza sarà che anche l’invio di eventuali segnalazioni al governo o al parlamento – aspetto importante visto che entro marzo dovrà essere recepito il Terzo pacchetto energia – avrà un tono minore e comunque un peso politico inferiore.

Tanto per il prima. Naturalmente le cose potrebbero risolversi se una nuova cinquina fosse rapidamente individuata e approvata. La voce più insistente è quella secondo cui il governo – lo sapremo venerdì – sarebbe intenzionato a riproporre il quartetto già licenziato (Biancardi-Bortoni-Carbone-Termini) più Squitieri come presidente. Ma l’approvazione parlamentare non sarebbe scontata, visto che diverse delle ragioni di insoddisfazione che hanno causato il cortocircuito resterebbero inascoltate. Una seconda ipotesi è quella di un decreto legge per prorogare per sei mesi l’attuale collegio. Ma non solo tale provvedimento potrebbe essere a sua volta essere inefficace, disapplicato o rigettato in fase di conversione: esso pure darebbe vita a contenzioso, inevitabilmente e, aggiungo, giustamente.

Quindi, i giochi dovrebbero riaprirsi completamente: assai complicato, se si tiene conto che di mezzo c’è il voto di fiducia e che, se le cose precipitassero, da qui al 13 febbraio potrebbero non esserci più né un governo, né un parlamento. Il che, naturalmente, vale anche per la conversione del decreto fantasma.

Nell’ipotesi più pessimistica (ma non per questo meno probabile), quella in cui una nuova cinquina non fosse individuata per tempo, si arriverebbe al paradosso della decapitazione dell’Autorità, con la sua sostanziale paralisi e l’improvviso crollo della cornice di regole, buone o cattive, che oggi sovrintende al funzionamento del mercato dell’energia in Italia. Una cornice che ha fatto di noi un esempio studiato in Europa, e il cui venir meno in un contesto del tutto confusionale ci riporterebbe dove siamo abituati a stare, cioè in fondo alla classifica e ben lontani da qualunque standard di best practice. In quel caso, altro che contenzioso: saremmo di fronte al Contenzioso 2.0.

Dimenticavo: tra tre settimane scatta il liberi tutti natalizio. I 60 giorni di proroga sono, a tutti gli effetti, 45. Del resto, sarebbe impensabile che lo stesso ceto politico che in 7 anni non ha saputo trovare un accordo, sia disposto a fare gli straordinari a Capodanno. C’è il cotechino che aspetta, per Dio, non siamo mica qui per scherzare.

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1 Response

  1. Rodrigo

    Grazie Carlo di raccontarci ogni passaggio di questa vicenda, poco edificante ma davvero curiosa!

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