6
Nov
2013

Virus pericolosi — di Andrea Battista

Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Andrea Battista.

Il mero confronto di dati, policy e regole di uno Stato con gli altri paesi europei è tanto apparentemente ovvio quanto logicamente fragile. È un confronto intrinsecamente distorto, perché in un mondo globale non v’è motivo di cercare la best practice a due passi da casa, in base alle più o meno presunte affinità culturali.

Né è ipotizzabile essere competitivi con il resto d’Europa per esserlo nel mondo, poiché il Vecchio Continente complessivamente non brilla certo – nella storia recente, nel momento attuale né, ahinoi, prospetticamente – per capacità competitive e performance economiche.

Sta di fatto che tale “benchmarking” avviene con continuità e disinvoltura in molti contesti. È pertanto fondamentale che le scelte scellerate degli altri paesi europei siano esaminate e criticate.

E non solo per sana solidarietà tra “sudditi” ma anche – più egoisticamente – per arginare l’effetto” virale” che politiche demagogiche possono comportare. È il caso della paventata riforma delle pensioni private complementari in Polonia.

È un fatto importante, anche se non avviene in uno dei paesi punto di riferimento del benchmarking eurocentrico; l’affetto per il popolo polacco è solo un piccolo pezzo della storia.

La Polonia è un paese rilevante per dimensione. Se l’Euro avesse una “cera” migliore, sarebbe già in fila per farne parte. È un paese cui siamo anche culturalmente vicini. È un paese che ha tutto sommato ben navigato nella crisi economica.

Last but not least, la riforma di cui parleremo a breve presenta inquietanti similitudini con alcune ipotesi che circolano sui nostri lidi. Il “Mucchetti pensiero”, tanto per non far nomi, sulla creazione del fondo pensione complementare presso l’INPS.

La Riforma della previdenza complementare in Polonia, nella sua essenza, si articola nel modo seguente:

  • Nazionalizzazione degli attivi dei fondi già investiti in titoli governativi polacchi (circa il 50% del totale), con riduzione del debito pubblico ( a fronte di una promessa futura di prestazioni non contabilizzata).
  • Divieto di acquistare nuovi titoli pubblici.
  • Trasferimento al sistema a ripartizione pubblico di tutti gli attivi dei fondi pensione privati dieci anni prima dell’età di pensionamento ufficiale, con conseguente pagamento di ogni futura pensione da parte di tale ente.
  • Salvo esplicito dissenso dell’aderente al fondo, canalizzazione per default al sistema pubblico anche dei nuovi contributi ai fondi al momento privati, destinati così progressivamente ad “asciugarsi”.

Pochi punti in fondo, coerentemente progettati per attrarre nell’orbita pubblica risorse che erano state costituite proprio in quanto private. Con “il tocco” davvero buffo del divieto di investire in titoli pubblici, sancito proprio da parte del loro emittente. Il che renderà il portafoglio residuo dei fondi tendenzialmente più rischioso – semplice quindi da nazionalizzare anch’esso, appena qualcosa dovesse andare male.

Va da sé che è radicalmente diversa la promessa pubblica fornita da attivi liquidi (i titoli quotati) rispetto al credito iscritto in bilancio del fondo pensione verso lo Stato, che si sostituisce ai titoli “requisiti”.

E con l’aggravante che tutto ciò avviene dopo che la previdenza privata è stata avviata e sviluppata, con l’effetto dunque di “rompere” le promesse effettuate e distruggere la credibilità dell’operatore pubblico.

Inutile soffermarsi oltre sulla natura così ontologicamente, compiutamente e sfacciatamente statalista di queste proposte.

L’ applicazione anche solo parziale potrebbe uccidere la previdenza privata in tutti i paesi dove fosse applicata. Altre riflessioni ci paiono comunque utili.

In particolare, emerge l’importanza di una contabilità pubblica trasparente, economicamente fondata e generatrice dei giusti incentivi.

La mancata contabilizzazione dei debiti impliciti non è solo una scorrettezza informativa ma un incentivo ad allocare in modo distorto le risorse, perché induce a spendere ciò che non si ha.

Questo vale anche per temi affatto diversi: se i pagamenti della pubblica amministrazione fossero contabilizzati al momento in cui il servizio viene reso, non si verificherebbe lo scandalo dei mancati pagamenti cui si sta parzialmente ora mettendo una toppa. Ma anche, rimanendo ai fondi pensione nostrani, è un assurdo concettuale che le risorse affluite presso la gestione separata INPS per il T.f.r. non versato ai fondi pensione siano considerata un’entrata del bilancio dello Stato, visto che andranno restituiti.

Aldilà delle (apparentemente) impietose regole Eurostat – è comunque davvero sorprendente che un’impalcatura del genere consenta agli stati membri simili comportamenti contabili – è fondamentale che:

  • nella gestione dei bilanci pubblici i debiti impliciti siano considerati alla stregua di quelli espliciti.
  • promesse di lungo periodo non siano disattese solo per effimeri miglioramenti di cassa.

Nella vicina Lituania, pare che il Presidente dell’“INPS” polacca sia volato a Vilnius per presentare ai deputati locali questo concentrato di sapienza. Tale riforma si sta già inserendo nell’agenda di policy anche in questo paese. Da noi per fortuna non è ancora successo, nonostante tutto.

È la riprova che al peggio non c’è mai fine e che bisogna continuare a lottare per invertire la rotta, perché tanto del male possibile non è ancora capitato.

Anche per questo motivo sostenere la battaglia di libertà degli avversari della riforma previdenziale polacca è sia giusto che utile.

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2 Responses

  1. Piero

    in Argentina ogni tanto il governo entra nell’ente pensionistico e preleva i soldi per pargar creditori esteri ed evitar altri crack..
    da noi ci sono 2 strade : o ricalcolare Retroattivamente con Retributivo anche le pensioni Già In Pagamento (oltre una certa soglia) ma è cosa assai difficile nn solo per la Corte Costituzionale (che come tutti fa i propri interessi, ma anche xrchè Dirigenti PRivati e Pubblici sarebbero quelli che ci rimettono di più)… oppure una bella Patrimoniale del 5% (come vuole la Merkel) o del 10% (come vuole dell’Fmi.. che consiglia di negarla fino all’ultimo per poi farla alla notte di sopresa) per continuare a pagare le pensioni.. il tutto con un pò di blocco della rivalutazione del mal tolto tanto per farli partecipare un pò anche loro… cmq fa letteralmente schifo che i Contributi dei PRecari che non andranno mai in pensione servano per pagare il Rosso del Fondo Dirigenti Privati che è stato girato dentro l’Inps per evitarne il crack..

  2. Rossella

    Non importa quale più o meno nobile motivazione venga addotta da quei governi che – davanti alle evidenti criticità insite nei sistemi pensionistici odierni – decidano di nazionalizzare il sistema previdenziale privato. Forse non importa neppure quanto vicini (Polonia, Ungheria) o lontani (Argentina) essi siano. Operazioni di questo tipo non solo spaventano gli investitori e colpiscono al cuore la previdenza integrativa, ma anche – e soprattutto – uccidono la fiducia e le speranze dei contribuenti, di coloro che col loro lavoro mandano avanti quelle stesse economie.
    Risulta impossibile pensare che qualcuno ritenga – anche in buona fede – che tutto questo non ci riguardi (e mai ci riguarderà). E’ giusto tenere alta la guardia su un tema che troppo spesso viene liquidato da qualche articolo frutto dell’urgenza della notizia e non di una più approfondita riflessione.

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