Maratona Pnrr. Una transizione digitale per molti, ma non per tutti?
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La digitalizzazione è un grande classico delle politiche di spesa pubbliche ormai da qualche anno. Lo chiede l’Europa, lo richiede la competizione mondiale, ce lo ricordano i commentatori in tv e i politici più raffinati; tra un po’ finiremo anche con il sentirci dire che lo chiede la Patria e non possiamo sottrarci ai nostri doveri di cittadini! Digitalizzare per tornare a crescere, come in uno spot sul detersivo che restituisce colore e pulizia a un capo ormai un po’ logoro. Nel nuovo Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza che l’Italia ha presentato alla Commissione Europea per ottenere i soldi previsti dal fondo Next Generation EU, per la missione «Digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura», sono previsti 43,6 miliardi, di cui 10 per la pubblica amministrazione, 27,5 per la competitività del sistema produttivo e circa 6 per turismo e cultura.
Gli obiettivi generali della Missione sono orientati alla digitalizzazione della Pubblica Amministrazione e del comparto della Giustizia; sono previsti interventi finalizzati alla transizione digitale del sistema produttivo con particolare attenzione alle PMI, e vi sono indicati investimenti in infrastrutture digitali. Una delle componenti è espressamente dedicata alla digitalizzazione di turismo e cultura che sono considerati “settori strategici per il Paese”.
La prima componente della Missione è dedicata alla digitalizzazione della Pubblica Amministrazione nel più ampio progetto, affidato al PNRR, di modernizzare e rendere efficiente la macchina statale per ottenere guadagni di PIL e produttività talmente grandiosi da far rimpiangere anche il promesso miracolo economico delle campagne elettorali di qualche anno fa.
A questa componente sono indirizzati circa 10 miliardi di spesa che dovrebbe portare, attraverso investimenti in infrastrutture e formazione dei dipendenti pubblici, a un sistema nel quale il cittadino potrà accedere a un unico portale digitale per tutti i servizi da richiedere alle amministrazioni nazionali e locali, senza dover aggiungere alcuna informazione che non sia già posseduta dalle istituzioni che si troveranno a scambiarle senza alcun problema.
Alla seconda componente su innovazione e digitalizzazione del sistema produttivo va la fetta più grossa della torta, con oltre 14 miliardi sui 24 complessivi che sono indirizzati agli incentivi fiscali di Transizione 4.0 e 5,3 miliardi per la banda larga e il 5G. Sono previste somme anche per l’industria dello spazio e per le azioni per le filiere ed internazionalizzazione ed è prevista una riforma del sistema di proprietà industriale.
La terza componente è dedicata a turismo e cultura 4.0: la quota per la digitalizzazione del patrimonio culturale è pari a circa mezzo miliardo mentre la parte del leone sugli investimenti digitali la fa il turismo, con oltre 2,4 miliardi sui 6,1 complessivi tra cui si trovano anche i cari (per i contribuenti) tradizionali interventi sul cinema che servono per tenere vivo il mito di Cinecittà.
Agli interventi del PNRR per la digitalizzazione si aggiungono le somme del fondo complementare. Questa quota aggiuntiva di spese somiglia sembra un contenitore dove sono state spostate tutte le iniziative che avrebbero avuto più difficoltà a essere accettate dall’Europa o che servono a far quadrare il cerchio delle trattative politiche propedeutiche al via libera al PNRR. 8 miliardi e mezzo di questo fondo vanno alla missione sul digitale e quasi 6 alla componente 2, relativa alla innovazione e digitalizzazione del sistema produttivo.
Non va poi dimenticato che il digitale nel PNRR ha un ruolo trasversale e viene citato un po’ in tutte le missioni contribuendo a migliorare la sanità, la giustizia e la scuola attraverso investimenti che, come il tocco di Re Mida, dovrebbero trasformare in oro digitale comparti vecchi che non riescono a funzionare e produrre come dovrebbero.
L’impostazione del Piano resta dirigista e la filosofia di fondo è quella che il governo, la burocrazia, gli esperti, sappiano meglio degli individui cosa serva perché siano incentivati a cercare e trovare lavoro, a inventare e creare imprese, a formarsi e migliorare le proprie competenze. Il problema dell’impostazione non è da ricercare nel governo italiano ma nella stessa Unione Europea che ha promesso soldi da spendere su progetti con temi che le stanno a cuore, in cambio di riforme che dovrebbero consentire al Paese di tornare a crescere.
Come tutti i piani dirigisti anche questo soffre di un difetto fondamentale che speriamo possa essere corretto nella predisposizione e realizzazione dei progetti specifici: l’assenza di analisi sulle esigenze e i bisogni dei destinatari. Puoi essere molto preparato e pensare di sapere ciò che serve per migliorare un processo o una funzione specifica, ma difficilmente le tue soluzioni potranno funzionare se non troveranno nessuno disposto a utilizzarle.
Nel caso della componente relativa alla digitalizzazione della Pubblica Amministrazione la scommessa è davvero azzardata. Calare dall’alto un complesso e articolato sistema di infrastrutture digitali di ultima generazione senza considerare la probabilità che esso possa essere utilizzato con competenza non può funzionare e, non a caso, molti degli investimenti mirano a migliorare le competenze digitali dei dipendenti della PA per consentirgli di usare con successo la nuova macchina fiammante. Ma quali saranno gli incentivi dei burocrati a favorire questa trasformazione? Quanti saranno i dipendenti che seguiranno con svogliato disinteresse ore e ore di formazione solo perché obbligatori? Quanti non vorranno intraprendere nuovi percorsi per non avere diverse e nuove responsabilità e mansioni? La riforma della PA che accompagna il PNRR mira proprio a mettere insieme questi pezzi del puzzle e a rendere coerenti gli investimenti in digitale con gli incentivi dei dipendenti, ma resta il timore che la trasformazione digitale della PA si concentri troppo sulle infrastrutture e i mezzi e poco sui “piloti”. A questo timore si aggiunge anche la totale mancanza di considerazioni su cosa vogliano o possano fare davvero i cittadini. Siamo sicuri che una nuova PA digitale fiammante e pronta all’uso da un unico portale sia la migliore risposta a una utenza spesso anziana, poco digitalizzata e legata a vecchi schemi di fruizione? Non sono certo che non funzionerà, osservo sconsolato che manca una seria analisi delle caratteristiche e dei bisogni dell’utenza, almeno in questa fase. E non è una buona premessa.
La seconda componente è quella che più dovrebbe garantire la transizione digitale e il passaggio del sistema produttivo italiano verso le magnifiche sorti e progressive che consentiranno una ripresa mirabolante. Mi sembra che le proposte del PNRR siano drammaticamente legate alle scelte di politica industriale sin qui seguite. A farla da padrone sono i risparmi fiscali per le misure di Transizione 4.0 e ricerca e sviluppo, fortemente sbilanciate su imprese manifatturiere che ristrutturano in senso “smart” le catene di produzione e spesso fagocitate da imprese di maggiori dimensioni. Le PMI vengono espressamente invocate come destinatarie speciali degli investimenti ma, dalla lettura del piano, non è immediato capire perché dovrebbero essere incentivate a investire se i programmi sono quelli sinora adottati. L’impostazione sulla digitalizzazione del sistema produttivo sembra dimenticare l’importanza dei dati nella costruzione di un vero ecosistema digitale per le imprese di minori dimensioni. Si parla di big data e cloud di gestione dei dati ma si dimentica che le esigenze delle piccole e medie imprese sono davvero molto più essenziali e servono software e servizi per provare ad automatizzare funzioni di routine, migliorare i processi decisionali o costruire un vero sistema integrato con i consulenti per fare fronte agli adempimenti amministrativi e fiscali obbligatori già proiettati verso il digitale dall’imposizione della fattura elettronica. Anche in questo caso, quindi, sembra esserci una scarsa attenzione alle esigenze dei destinatari e il rischio è che la maggiore attenzione a processi manifatturieri e grandi imprese possa contribuire ad aumentare anche nel digitale quel divario tra Nord e Sud che vede spesso le imprese meridionali incapaci di attingere alle risorse pubbliche, per mancanza di competenze o eccessiva specificità delle condizioni di accesso.
La digitalizzazione del turismo soffre molto di questa “miopia del burocrate” che non guarda oltre al naso delle proprie competenze e convinzioni. Costruiremo forse finalmente il grande portale del turismo ma a nessuno è venuto in mente di chiedersi perché, nell’attuale contesto di disintermediazione dell’offerta turistica, il cliente dovrebbe abbandonare i servizi digitali dei provider privati che già utilizza, per organizzare il proprio viaggio usando il grande Hub del turismo digitale di Stato che risponde all’idea che un burocrate ha di cosa piace al turista, senza che lo abbia mai interpellato.
La transizione digitale disegnata dal PNRR è di stampo dirigista e burocratica e sembra non preoccuparsi troppo dei bisogni, delle esigenze e degli incentivi di cittadini, dipendenti e imprese. L’impostazione è certamente figlia di una visione europea della politica industriale in cui sono gli esperti a decidere cosa è meglio per gli individui. Speriamo che, almeno in fase di attuazione dei progetti e di dettaglio, si riesca a considerare in parte ciò che di cui gli individui hanno bisogno per vivere, lavorare, creare e produrre al meglio, in un mondo sempre più digitale non solo nei mezzi di produzione ma anche e soprattutto nei comportamenti individuali e nelle scelte quotidiane.