9
Giu
2015

Tagliare la spesa pubblica. Ecco come si risolve (davvero) Mafia Capitale—di Matteo Borghi

Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Matteo Borghi.

A leggere dello scandalo di Mafia Capitale è fin troppo facile puntare il dito contro la corruttela e l’immoralità della politica, inneggiare alla forca per i disonesti o fare i grillini chiedendo di mandare tutti a casa. Il che, per carità, non è del tutto sbagliato: i politici disonesti (non tutti) vanno puniti severamente e, quando previsto, cacciati dalle istituzioni.

Fermarsi solo all’aspetto “morale” dell’affaire Mafia Capitale rischia però di semplificare radicalmente il problema, lasciando senza risposta un paio di domande importanti. La prima è se i ladri esistano solo a Roma o in ogni parte d’Italia, ma la risposta è tanto scontata da farci passare oltre. La seconda è perché in Italia il fenomeno corruzione sia tanto pungente. Che la corruttela sia particolarmente diffusa nel nostro Paese non è del resto un luogo comune, ma un dato oggettivo. L’Index of economic freedom della Heritage Foundation, alla voce “libertà dalla corruzione”, assegna al nostro Paese un punteggio di 43/100: non è solo un bel 4 ma un risultato che si avvicina più agli Stati africani rispetto a quelli europei. 

Guardando la “heat map” si può notare come Scandinavia, Danimarca, Svizzera, Olanda e Lussemburgo hanno un punteggio compreso fra 100 e 80; Gran Bretagna, Islanda, Belgio, Francia, Germania si collocano fra 79,9 e 70; Portogallo, Austria, Polonia ed Estonia fra 69,9 e 60; Spagna, Slovenia, Ungheria, Lettonia, Lituania e perfino la Turchia fra 59,9 e 50. L’Italia è invece in “buona” compagnia con Grecia, Paesi dell’ex Iugoslavia, Romania, Bulgaria, Moldavia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ucraina, Bielorussia, Russia. Il nostro stesso risultato (43) lo totalizza la Romania, mentre la Croazia ci supera ci addirittura di cinque punti (48).

A meno di non pensare che l’Italia sconti differenze culturali o antropologiche, c’è da chiedersi come mai siamo ridotti così male. La risposta sta, in gran parte, nell’alto livello di spesa pubblica discrezionale, unita a complessità e farraginosità di norme e procedure. «Come si dice, sono le occasioni che fanno l’uomo ladro. Se una pratica deve passare per dieci mani, anziché da una, le occasioni si decuplicano» commentava Serena Sileoni riguardo lo scandalo Mose, aggiungendo che se si vuole evitare la corruzione bisogna semplificare drasticamente la burocrazia.

Burocrazia che, del resto, ha costituito terreno fertile per Mafia Capitale. Basti pensare che lo scandalo è scoppiato, nel dicembre 2014, a partire da una serie di aziende pubbliche e cooperative che prendevano – a vario titolo – soldi dallo Stato. A finire sotto l’occhio degli inquirenti sono state l’Ama, l’azienda municipale che si occupa dello smaltimento dei rifiuti, e la cooperativa 29 giugno diretta da Salvatore Buzzi, principale “collaboratore” del capo della cupola, l’ex terrorista Nar Massimo Carminati. Secondo gli inquirenti, in Ama «il fenomeno corruttivo ha raggiunto la massima espressione inquinando tutte le gare di appalto» di cui beneficiava in particolare la cooperativa di Buzzi. Nell’inchiesta è poi finito anche Luca Odevaine, membro del Tavolo di Coordinamento nazionale sull’accoglienza per i richiedenti asilo, che secondo le accuse avrebbe preso 20mila euro al mese per favorire un’altra cooperativa, La Cascina, che operava nel centro di accoglienza di Mineo (Catania). A nominare Odevaine in quel ruolo era stato Giuseppe Castiglione (Ncd), ex presidente della Provincia e oggi sottosegretario all’Agricoltura, arrestato il 4 giugno insieme ai consiglieri comunali e regionali Mirko Coratti, Daniele Ozzimo, Pierpaolo Pedetti, del Pd, Luca Gramazio e Giordano Tredicine (Forza Italia), e Massimo Caprari del Centro Democratico. Tutti innocenti fino a prova contraria, ovviamente.

Al di là delle singole responsabilità a preoccupare è quel fil rouge fatto di appalti ottenuti grazie a connivenze ed entrature politiche. Come ha scritto sabato scorso Alberto Mingardi (“Lo Stato vittima e complice” su La Stampa) lo scandalo Mafia Capitale si è sviluppato a partire da un duplice vantaggio di corrotto e corruttore: il primo riscuoteva denaro nell’immediato, il secondo poteva mettere in piedi un sistema criminale ben più sicuro e redditizio dello spaccio di droga o della vendita di armi: traffici più complessi da gestire e per cui servono degli acquirenti. Prendere soldi pubblici è, per molti versi, molto più semplice e sicuro.

Per concludere è giusto scandalizzarsi per il danno che Mafia Capitale, con la complicità dei politici, ha fatto alle nostre tasche. Prima però bisognerebbe pensare a come prevenire lo scoppio di altri scandali simili anche nel futuro. Oltre a migliorare le procedure di controllo e ridurre la discrezionalità, bisognerebbe avere il coraggio di ridurre la principale leva di potere dei politici: la spesa pubblica.

4 Responses

  1. Francesco_P

    La corruzione pervade il mondo della politica e la pubblica amministrazione ed è direttamente legata all’ipertrofia dello Stato.
    Ma la questione di Mafia Capitale e, più in generale, la cosiddetta accoglienza presentano delle implicazioni a dir poco inquietanti.
    Infatti, in Italia:
    1) attraverso un sistema di Onlus e Cooperative “caritatevoli”, si finanziano con le tasse pagate dai cittadini delle cosche criminali le quali forniscono soldi in nero e voti ai politici;
    2) si spendono soldi per campagne mediatiche a favore della cosiddetta “accoglienza”, lanciando accuse pesantissime a chi rifiuta questo immondo business e arrivando persino ad usare la minaccia fisica dei “centri sociali” nei confronti di chi si oppone;
    3) si importa una massa di sbandati senza lavoro e senza speranza di potersi integrare a causa della debolezza del sistema economico: è ovvio che questo aumenti il livello di criminalità e di insicurezza nel Paese; questa situazione pesa sul sistema economico-produttivo; in prospettiva, questa massa di sbandati sarà facile preda del radicalismo islamico con le conseguenze che possiamo immaginare;
    4) attraverso il business dell’importazione di clandestini si favoriscono i mercanti di schiavi, i signori della guerra, gruppi terroristici e la corruzione sull’altra sponda del mediterraneo.
    Di tutti gli aspetti inquietanti, credo che l’ultimo sia il peggiore per le implicazioni sulla sicurezza e per il costo della permanente situazione di guerra nel Nord Africa ed in M.O. Ricordiamo che oltre che i politici ed i funzionari pubblici corrotti, anche la Chiesa ha delle gravi responsabilità.
    Eppure è così evidente che questa moderna versione del traffico di schiavi ha degli effetti molto più devastanti che non la corruzione ed il finanziamento di bande criminali mediante soldi delle tasse.

  2. Bobcar

    non vorrei deludere nessuno, ma mi sembra evidente che i dati citati nell’articolo contraddicono clamorosamente le conclusioni dello stesso (cioè sintetizzando riducendo la spesa pubblica/ PIL si riduce il livello di corruzione). Se in cima alla classifica dei Paesi meno corrotti ci sono Danimarca e Scandinavi, poi ci sono i Paesi dell’Europa Occidentale, ancora più in basso i Paesi dell’Europa Orientale, e ancora più in basso i Paesi Africani, a occhio direi che una correlazione fra fra Spesa/PIL e livello di corruzione c’è ma è una correlazione inversa!

  3. pablo

    Secondo me, magari mi sbaglio, per evitare mafia capitale bisogna cominciare a respingere i clandestini, altrimenti daremo alla spesa pubblica anche la colpa della nostra sciatalgia !Distinti saluti

  4. Matteo Borghi

    Per Bobcar. Ci sono anche Svizzera, Olanda, Lussemburgo e Gran Bretagna dove la spesa pubblica è relativamente bassa. Nessuno nega che i paesi scandinavi sappiano spendere con correttezza e oculatezza i soldi che prelevano ai cittadini. Nei Paesi dove il retroterra è più favorevole alla corruttela, come l’Italia, l’unica soluzione è tagliare il problema alla radice. Fare solo più controlli non basta, e lo dimostra l’esperienza

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