27
Lug
2010

Stato grasso, addio!

Prima osservazione: per quanto sia incredibile, i governi europei si comportano meglio delle banche, il che è tutto dire. Seconda osservazione: è ormai possibile valutare nel complesso l’effetto aggregato e scomposto di tutte le manovre europee di correzione di finanza pubblica. Terza osservazione: c’erano delle ragioni, per cui l’Italia senza eccessivi rischi sui mercati se l’è potuta cavare facendo meno della media e molto meno di altri. Quarta osservazione: ma se si guada il debito cumulato, per non rischiare l’Italia ha quasi 3 punti di Pil di minor deficit aggiuntivo, da realizzare in 5 anni.  Quinta osservazione: e se dalla crisi passiamo al tendenziale complessivo rispetto ai costi potenziali del welfare europeo, allora è meglio che lo capiscano tutti, governi e sindacati ed elettori: il tempo dello Stato grasso è irrimediabilmente finito. A meno di pagare tasse ulteriormente astronomiche, contro le quali gente come noi passerebbe a forme di lotta vera. Non parlo di vetrine rotte, ma alla peggio di emigrare dritti e decisi, verso dove le tasse son più basse e la crescita più alta. Ora che gli stress test bancari sono passati senza far danno, si può dire di certo una cosa. Per quanto chi qui scrive tenda a non esser molto amico né largo di manica verso gli Stati, l’impressione è che di fronte alla crisi dell’eurodebito si comportino con più responsabilità i governi che gli istituti di credito. E’ un’approssimazione che, come tutte, contiene elementi di ingenerosità, visto che molte banche hanno ripatrimonizzalizzato e vantano patrimoni di vigilanza liquidi a tutta prova. Ma certo non fa onore alla Germania, tanto per dirne una, che diverse grandi banche tedesche sottoposte agli stress test non abbiano incluso nei propri dati patrimoniali gli effetti dell’esposizione proprio sui titoli di debito sovrano. Questa si chiama presa in giro, a tutti gli effetti. E la nota di BaFin e Bundesbank, i regolatori finanziario e bancario germanici, secondo i quali le regole vigenti impediscono di obbligare le banche tedesche a dichiarare ciò che hanno taciuto, è solo la dimostrazione di come proprio nella casa dei più virtuosi tedeschi vi sia ancora da disinnescare proprio una delle mine più pericolose, visto che la crisi mondiale tre anni fa di questi tempi proprio dalle banche è partita.

I governi hanno mostrato più prontezza ed energia, nel valutare i rischi che si aprivano sotto i piedi europei, e la necessità di un’energica correzione di rotta su deficit e debito pubblico. Al termine del primo semestre 2010, abbiamo oramai una stima precisa delle manovre di correzione varate da tutti i Paesi europei. Se si somma il Regno Unito ai 16 Paesi dell’eurozona, la correzione complessiva del deficit tendenziale – per oltre l’80% concentrata più nel breve che nel medio termine, tra 2011 e 2013 – è infatti stata pari al 4,1% del Pil totale di riferimento. Si va dalle punte massime del -10,7% della Grecia, -8,2% della Spagna, -6,6% del Portogallo, -6% del Regno Unito, -5,3% del Belgio, -4,5% della Francia, al – 3,2% dell’Irlanda (che sembra più basso di quanto non sia in realtà, visto che bisogna sommarvi altri 2,5 punti di Pil di deficit in meno tagliati già nel 2008s ul 2009). Fino al -3% della Germania, -2,5% della Slovacchia, -2,1% dell’Olanda, e al -1,6% dell’Italia.

In questa classifica, l’Italia è tra quelli che hanno tagliato di meno, sotto di di noi c’è solo l’Austria con una manovra correttiva pari allo 0,9% del suo Pil. Ed è una collocazione rispetto alla quale vale la pena di spendere qualche parola. Se infatti pensiamo che l’Italia, col 14,2% di quota del Pil euroarea+UK, ha invece un debito pubblico pari al 23,6% complessivo (superato dalla Germania, che sta al 25%, la Francia ci segue col 21,2%, il Regno Unito sta ancora solo al 15,2%), se ne potrebbe dedurre che la manovra di stabilizzazione italiana è stata insufficiente, rispetto alla media degli altri grandi Paesi.

Ma quello che non bisogna mai dimenticare era la situazione tendenziale in corso allorché è esplosa la crisi dell’eurodebito, a metà del gennaio scorso. L’Italia era infatti a fine 2009 il Paese con minor deficit primario nell’intera lista, di poco superiore al punto di Pil, dopodiché venivano Germania e Austria intorno ai 2 punti, il Belgio a 2,5, l’Olanda a 4 punti, tutti gli altri oltre i 5 punti come la Francia, oltre i 7 come il Portogallo, quasi a 9 la Grecia, addirittura a 10 Regno Unito e Spagna e infine a 12,5 l’Irlanda. La media del deficit primario europeo e britannico era superiore ai 5 punti di Pil, cioè di 4 punti peggiore della nostra, e questo spiega perché il governo italiano per non deprimere troppo l’economia reale se la sia potuta cavare con una correzione tendenziale molto inferiore alla media.

Alcuni, come il professor Paolo Manasse che insegna Economia Internazionale a Bologna, hanno provato a formulare una simulazione nella quale l’aggiustamento di ogni Paese europeo è stato ricondotto a una situazione virtuale, e cioè rispetto a quello medio europeo se le condizioni di debito accumulato, deficit primario, effetto del cambio sul peso relativo dell’export, e bilancia di parte corrente fossero quelli dati dal distribuire a ciascun Paese per il suo peso di abitanti la somma aggregata complessiva di ciascuna di quelle grandezze. In tale simulazione, i Paesi più virtuosi per strategia antideficit di questi mesi rispetto alla media risultano nell’ordine Belgio, Portogallo, Olanda, Spagna e Germania. Mentre a risultare più distante dalla linea mediana della virtù risulta proprio l’Italia, seguita dall’Irlanda, Slovacchia e Austria.

E’ ovvio da che cosa dipenda: dal fatto che con un simile metodo il debito pubblico accumulato pesa molto più del basso deficit primario. Di conseguenza, se ne ricava che l’Italia dovrebbe tagliare tra i 2,4 e i 2,7 punti aggiuntivi di deficit rispetto al Pil in 5 anni, per ridurre più velocemente il suo debito. Ma qui il discorso si fa complicato. Perché significa non più occuparsi di exit strategy come facciamo qui, cioè di come fronteggiare il costo fiscale potenziale aggiuntivo di circa 30 punti di Pil per i Paesi del G20 a seguito della crisi. Ma di valutare quel che occorre per rimediare all’esplosiva tendenza del debito pubblico precedente alla crisi, per via del troppo welfare pubblico rispetto all’invecchiamento futuro della popolazione: un costo aggiuntivo che il FMI valuta attualmente in ben 400 punti di Pil per il G20 nel prossimo trentennio. Per questo politica e opinioni pubbliche è meglio che capiscano, che l’era dello Stato grasso è finita per un bel pezzo.

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7 Responses

  1. Lo Stato o Questo Stato?
    Questo Stato, che con qualsiasi concetto di Stato ha ben poco a che fare, voglio abbatterlo.
    Poi ascolterò ogni parola circa lo Stato del giorno dopo

  2. Caro Oscar, giusto come promemoria per i tuoi lettori, me misero tapino e il buon Giorgio Fidenato, ergo IL MOVIMENTO LIBERTARIO, la lotta vera la stiamo facendo da mò!

  3. eonia

    Per fortuna che la Grecia è esplosa e tutta l’Europa si è data una calmata con lo sproloquio del welfare.
    Per fortuna anche che i crediti verso i PIGS erano maggiormente dei paesi”virtuosi”, che si sono visti esposti verso l’anarchia mediterranea per qualche miliardo, sommando debiti sovrani e privati.
    Per fortuna che il Regno Unito ha messo la parola fine al balletto della spesa senza sosta per “stimolare” l’economia. Chi sa cosa si sarebbe ancora tirato dal “cilindro magico” delle idee per ottenere lo/gli stimoli.
    Per fortuna che ci sono i mercati8 per stoppare la politica.
    Detto ciò, l’Italia come al solito ha fatto la figura peggiore per quanto concerne la manovra finanziaria.
    Si è salvata all’angolo grazie alle partite correnti. Solo che il suo stock di cds ha avuto un incremento spaventoso. Stiamo a vedere cosa accadrà all’esercizio di questi cds.
    Sarà meglio che per il momento si convincano tutti che anziché correre appresso alle crescite, sia meglio mantenere la stabilità e riduzione di debiti sovrani, a meno che non si pensi che il piagnisteo del debito debba diventare la costante di ogni neonato per generazioni e generazioni a servizio esclusivo delle élites mentre in realtà è una grandezza irredimibile.

  4. Ma perchè, allora, invece di tanti discorsi dove non si capisce mai bene la posizione di Oscar (a mio parere), su questo governo, non si dice chiaramente, una volta per tutte, che il vero fallimento di Berlusconi, (che non ha pagato elettoralmente, peraltro), è proprio racchiuso nella “minaccia” di Oscar: Non parlo di vetrine rotte, ma alla peggio di emigrare dritti e decisi, verso dove le tasse son più basse e la crescita più alta.
    A meno che non si voglia credere alla favoletta che abbiamo tasse alte e zero crescita perchè abbiamo avuto il governo Prodi…

  5. Lorenzo

    mi incuriosisce una frase:
    Non parlo di vetrine rotte, ma alla peggio di emigrare dritti e decisi, verso dove le tasse son più basse e la crescita più alta.

    domanda:dove gli piacerebbe emigrare a Oscar Giannino se dovesse farlo adesso?quale sarebbe la prima scelta?baserebbe la sua scelta solo in termini economici?

    lo dico perchè io sono andato a vivere in spagna e…..fatto un trasloco del genere una volta,dopo le altre sono tutte più facili e sto proprio cercando un posto nel mondo dove vi siano poca corruzione,livelli di qualità di vita alti,lavoro,cultura,valori sani e integri e condivisi dalla totalità……

  6. andrea

    Il paese che ha avuto il piu’ alto tasso di crescita in europa nel 2009 e’ stato il lussemburgo. Guardarsi quest’articolo
    http://it.reuters.com/article/topNews/idITMIE66Q08Q20100727

    Si vede che qualcuno ha gia’ messo in pratica cio’ che Oscar prevede.
    Al di fuori dell’Unione Europea consiglio a tutti voi la Svizzera.
    Il GDP pro-capite e’ un tantino piu’ basso che in Lux ma le tasse non sono malaccio.
    Credo che la politica di votare con i piedi ( il foot voting di Tiebout) sia un buon antidoto agli sperperi di questi governi vergognosi. Italiano compreso, naturalmente.

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