15
Set
2014

Sicilia: ingiustizie e sottosviluppo—di Rocco Todero

La Regione Sicilia proroga d’ufficio le concessioni demaniali marittime sino al 2020. Nelle more delle more ingiustizie e sottosviluppo.

Riceviamo e volentieri pubblichiamo, da Rocco Todero.

La notizia è che l’assessorato al Territorio ed all’Ambiente della Regione Sicilia con un provvedimento amministrativo di pochissime righe ha rinnovato qualche settimana fa le concessioni demaniali marittime che sarebbero scadute il 31.12.2015 prorogandole d’imperio ed in maniera generalizzata sino al 31.12.2020 (qui il provvedimento in Gazzetta Ufficiale pag. 73).

Non si svolgeranno gare e non vi sarà possibilità, per chi avesse voluto investire e migliorare i servizi di migliaia di stabilimenti balneari, di provare ad accedere ad un mercato che dovrebbe rappresentare tanta parte del sistema turistico dell’isola. Gli attuali concessionari possono continuare indisturbati a trarre profitti dall’utilizzo commerciale di un bene pubblico per altri 5 anni dopo avere beneficiato già per un decennio della posizione di vantaggio che deriva dall’operare in un mercato rigorosamente chiuso.

La proroga è generale e vale per tutti i concessionari, sia per coloro hanno fatto investimenti, sia per coloro che si sono limitati a piantare un centinaio di ombrelloni (questi ultimi non sono pochi, come vedremo); tanto per quelli che hanno in programma azioni di sviluppo e miglioramento della qualità dei servizi, quanto per chi vuole continuare a fornire il minimo indispensabile ai propri clienti.

La lettura del comunicato stampa dell’“attivissima” associazione di categoria degli imprenditori balneari (qui) chiarisce molto bene al lettore smaliziato i retroscena che si sono consumati in questa vicenda; la fortissima pressione di una lobby organizzata ha avuto la meglio su ogni altro sacrosanto interesse, primo fra tutti quello a rendere contendibile agli operatori del mercato un bene pubblico. Più che di cattura del regolatore forse sarebbe opportuno parlare in questo caso di “asservimento” del decisore e fa sorridere non poco che gli imprenditori del settore abbiano accolto con “grande favore” (testuale) quello che in realtà è “un favore grande” che politica e pubblica amministrazione hanno dispensato.

L’argomento del rinnovo della concessioni demaniali marittime non è nuovo ed è venuto alla ribalta un prima volta nel 2012 e successivamente nel 2013, allorché Governo e Parlamento hanno deciso di infrangere la disciplina comunitaria pur di “accordare” la proroga ai concessionari che rumoreggiavano a tamburo battente. L’Istituto Bruno Leoni per mano del suo Vice Direttore Generale, Serena Sileoni, si è occupato dell’argomento in un Focus (PDF) che illustra compiutamente tutti i profili giuridici che impongono procedure concorrenziali per l’assegnazione delle concessioni.

È sufficiente quindi limitarsi in questa sede a ricordare come, da un lato, il Consiglio di Stato ha affermato che “…il concessionario di beni pubblici ricava un’utilità sfruttando economicamente beni pubblici che non sono disponibili in quantità illimitata” (Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza n.1243/2014), dall’altro, che la Corte Costituzionale non ha mancato di sottolineare come la proroga automatica rappresenti “una violazione dei principi della concorrenza, dal momento che coloro che in precedenza non gestivano il demanio marittimo non hanno la possibilità, alla scadenza della concessione, di prendere il posto del vecchio gestore se non nel caso in cui questi non chieda la proroga o la chieda senza un valido programma di investimenti.” (Sentenza n. 213/2011).

Ciò nonostante la Regione Sicilia ha deciso di utilizzare la specialità del suo statuto non già per perseguire una strada autonoma contrassegnata dal rispetto delle regole, dall’apertura al mercato e dallo sviluppo economico, quanto per uniformarsi alla disciplina (anticoncorrenziale) promulgata dallo Stato.

Il pretesto è stato quello di non potere acconsentire ad un trattamento diverso e deteriore dei concessionari siciliani rispetto a quello di favore assicurato “ sul continente” dallo Stato, dimostratosi solerte nel recepire le istanze della lobby oltre lo stretto di Messina (qui la lobby). Solerti loro, si saranno detti nelle stanze della Regione siciliana, solerti noi. Anche i voti che si possono raccattare negli stabilimenti balneari devono pascolare guidati da un pastore ed il principio d’uguaglianza deve valere sempre, anche quando si tratta di assicurare a tutti trattamenti deteriori o di smaccato favore, a seconda del punto di vista. Del resto se il legislatore nazionale ha prorogato le concessioni nelle more della emanazione di una disciplina definitiva perché mai l’amministrazione regionale non potrebbe prorogare anch’essa nelle more del procedimento di revisione del quadro normativo in materia di rilascio di concessioni demaniali marittime?

Hanno dimenticato, però, gli amministratori siciliani che ai sensi dell’articolo 117 della nostra Costituzione anche le singole Regioni devono rispettare i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e che dunque la Sicilia avrebbe dovuto procedere alla predisposizione dei bandi ed alla celebrazione delle relative gare per selezionare i nuovi concessionari.

Ma ciò che più suscita irritazione in questa vicenda è la mancanza di consapevolezza, da parte di chi ha responsabilità pubbliche, che la Sicilia è l’ultima regione in Italia che potrebbe permettersi il lusso di privarsi dei risultati economici positivi che l’apertura alla concorrenza potrebbe assicurare.

Cinque milioni di abitanti che vivono con un PIL pro capite che secondo l’Istat è circa il 50% di quello della Lombardia, un PIL regionale che dal 2008 al 2013 ha perduto circa il 15% del suo valore, un livello di disoccupazione che supera il 20%, un PIL regionale proveniente da attività turistiche che è sotto la media nazionale: questa è la Sicilia.

Ed il settore turistico della balneazione che c’entra? Potrebbero chiedersi politici siculi e lobbisti. Da solo non sarebbe in grado di capovolgere le sorti economiche dell’Isola, questo è evidente. Ma cosa rappresenta oggi il settore delle imprese balneari? Cosa produce? Cosa offre? E soprattutto quanto potrebbe contribuire alla ripresa economica della Sicilia?

Secondo i dati pubblicati nel maggio del 2013 dall’“Osservatorio sul Turismo delle Isole Europee” in un studio commissionato dalla Confesercenti, la Sicilia ha circa 1.000 km di coste balneabili (si, avete letto bene, 1.000 Km!), ospita 9.000 concessionari titolari di stabilimenti balneari che stimolano, secondo alcune stime, appena il 36% dell’intera spesa balneare siciliana, pari a 135 milioni di euro, nonostante il 94% di tutti i vacanzieri che visitano l’Isola alloggino in comuni costieri. Sempre secondo l’Osservatorio uno stabilimento su due non ha il ristorante, uno su due non ha le cabine, meno di uno su due ha il wifi, solo il 30% ha la discoteca, la domanda di noleggio natanti e noleggio attrezzature resta ampiamente inevasa, i servizi di alta gamma sono del tutto assenti.

In buona sostanza, per metà delle “aziende balneari” l’onere economico sostenuto sinora è stato semplicemente quello di riempire la spiaggia di sdraio ed ombrelloni e di comprare qualche macchina del caffè. È una colpa? Probabilmente no, se non c’è mai stata la disponibilità delle risorse necessarie a coprire veri investimenti. Non si dica però che questi sarebbero gli investimenti da salvaguardare per mezzo della proroga delle concessioni demaniali (il terzo pretesto che è servito a giustificare il provvedimento), e soprattutto non si precluda a chi potrebbe avere voglia, professionalità e capitali la possibilità di cimentarsi in un’attività imprenditoriale di cui la Sicilia ha profondo ed urgente bisogno.

La verità è che le imprese della balneazione in Sicilia sono quasi tutte micro imprese familiari, incapaci di investire i capitali necessari per innalzare la qualità dell’offerta turistica locale e di posizionarsi anche sulla fascia alta del settore, tanto è vero che la spesa media di uno straniero in un stabilimento balneare è stata stimata sempre dall’Osservatorio in circa 30 euro giornaliere, quella di un turista italiano in 20 euro e quella di un residente in poco più di 10 euro.

La proroga delle concessioni demaniali consentirà il perpetuarsi di questo desolante quadro per ulteriori 5 anni durante i quali la Regione rinuncerà innanzitutto ad incrementare gli introiti derivanti dai canoni di concessione che sino a qualche anno fa, prima di un aumento del 600%, erano pari ad 8 milioni di euro, quanto incassa la Regione Emilia Romagna che ha solo un decimo delle coste siciliane. Non vi è dubbio, infatti, che la competizione per aggiudicarsi le gare dovrà svolgersi innanzitutto sulla misura del canone di concessione, ma anche sull’entità degli investimenti e sulla qualità dei servizi offerti.

La Sicilia ha deciso di rinunciare anche alla sola possibilità che nuovi capitali facciano ingresso nell’isola e siano capaci di elevare il livello dell’offerta del settore in coerenza con le esigenze della domanda e di richiamare fasce alte di turisti che innalzino la media della spesa complessiva. La Sicilia ha rinunciato alla possibilità di essere meta di investimenti. La Sicilia ha rinunciato al mercato, alla concorrenza, alla possibilità di scoprire nuove soluzioni.

Per ora ci dobbiamo accontentare delle ingiustizie e del sottosviluppo.

P.S. ragioni tecniche non hanno consentito l’inserimento del link che rinvia allo studio dell’Osservatorio sul turismo delle isole europee. L’autore del post è comunque in possesso del pdf anche per renderlo disponibile a quanti ne facessero richiesta.

@roccotodero

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1 Response

  1. Alberto

    Leggendo l’articolo, mi vengono in mente due cose, opposte tra di loro, su cui ragionare:
    È veramente un male il fatto che siano le micro imprese familiari a gestire l’offerta turistica? Per le microeconomie locali, non credo. Se guardiamo la fine che ha fatto il commercio locale con l’avvento della GDO, che sposta utili, tasse e ricchezze all’estero, non mi pare.
    D’altra parte, in altre regioni, dove le gare sono state fatte, hanno vinto i “soliti noti”. La vera concorrenza in Italia non è di casa.

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