6
Lug
2015

Sei ragioni che portano Grexit in vantaggio

In Grecia Tsipras e Varoufakis hanno vinto. E’ una data storica, comunque la si pensi. Perché nei decenni ci sono stati popoli europei a dire no alla CEE, all’Unione Europea, alla Costituzione europea, e anche all’euro. Ma è la prima volta che il popolo di un paese dell’euro dice no alle proposte Ue, chiedendo insieme di restare nell’euro ma di “cambiare segno” alla condizioni poste agli aiuti di cui continuano ad avere un dannato bisogno.

Oggi i media italiani e quelli di mezza Europa inneggeranno alla grande lezione che la democrazia diretta greca infligge all’Europa dell’austerità a guida tedesca. In realtà, l’abilità greca è stata quella di sommare in un potente cocktail politico-mediatico marxismo anticapitalista e sovranismo nazionalista di destra: sono le due correnti politiche che ci hanno regalato il ‘900 di sangue e autoritarismo alle nostre spalle, ma oggi appaiono unite sotto l’egida della democrazia in marcia trionfante contro la tecnocrazia. Per essere realisti, e al netto dei gravissimi errori Ue più volte richiamati negli scorsi 6 mesi, bisogna però non dimenticare che le ragioni della politica greca non fanno scomparire quelle della maggioranza dei paesi dell’euroarea a guida tedesca. Ricordando bene una cosa: da oggi all’apertura dei mercati, il tempo scorrerà molto in fretta, e le risposte da dare al no dovranno venire molto, molto rapidamente. Ed essere chiare. Altrimenti le conseguenze saranno sempre meno facilmente maneggiabili. Vediamo perché.

 Primo: Grexit sì o no? I greci, come si è sempre detto, non vogliono l’uscita dall’euro, vogliono molti aiuti meno condizionati dall’euroarea. Poiché la maggioranza dei leader dell’euroarea riconosciutisi nella linea tedesca hanno seguito la Merkel sulla linea “il referendum in realtà è sul sì o no sull’euro”, com’è possibile che oggi cambino idea? Accetteranno di fronte ai propri parlamenti e alle proprie opinioni pubbliche l’idea che la democrazia greca da sola vale più di quella di casa propria? L’idea che si erano fatti i governi di Germania, Olanda, Austria, Finlandia, Estonia, Spagna e via continuando, era che con questo governo greco non c’è più niente da fare. C’è da immaginare che lo pensino ancor più oggi, non meno. In questo caso, la trattativa con i greci prenderà tutt’altra linea di quella attesa da Tsipras: sarà sulle modalità che la Grecia e l’euroarea eventualmente concorderanno per far uscire la Grecia dall’euro. Non è un caso che Mosca, ieri sera, abbia detto subito che a proprio giudizio la Grecia è più vicina a uscire dall’euro che a un nuovo accordo europeo. E’ la stessa posizione dichiarata da grandi banche come JpMorgan. Fin qui l’Europa non è sembrata preoccupata, di regalare Atene a Mosca. Lo penserà anche oggi?

 Secondo: chi paga le banche greche? Il governo Tsipras ha già chiesto l’estensione da oggi della linea straordinaria di liquidità ELA della BCE, e l’accesso a un programma biennale dell’ESM per avere 30 miliardi. Senza un nuovo accordo, nel Consiglio della Bce attuale non c’è una maggioranza per alzare l’ELA, al massimo per tenerla bloccata alla cifra dell’ultima settimana. Ma in realtà se i titoli detenuti dalle banche greche non valgono più come collaterali, ed è sui titoli greci che si basa il loro patrimonio residuo oggi, le banche greche non hanno più solo bisogno dell’ELA: devono essere ricapitalizzate. Servono un centinaio di miliardi solo per questo. E le ipotesi sono due: lo può fare l’ESM se c’è rapidamente un accordo europeo, altrimenti lo deve fare il governo greco, nazionalizzandole se si va all’uscita dall’euro. Altri guai sui mercati, rispetto alle incertezze sui tempi.

 Terzo: esiste una terza via? Hollande si è candidato esplicitamente, prima del referendum, a far cambiare questa volta segno alla linea Merkel dell’equilibrio di finanza pubblica. Renzi ha tenuto una posizione allineata alla Germania nella trattativa, ma ha anche detto – vedi l’intervista al Messaggero di ieri – che in caso di vittoria del no sarà anche lui sulla linea di una nuova trattativa aperta alle richieste greche, e contraria all’uscita di Atene dall’euro. Perché questa linea abbia sostanza, significa che deve accogliere l’idea di ristrutturare ulteriormente il debito che i greci devono oggi non a privati, ma ai governi dell’euroarea. Cioè dire ai propri elettori che vale assolutamente la pena rinunciare a 10-20 o 30 miliardi dei 40 che la Grecia deve agli italiani, e darle tantissimo nuovi aiuti fingendo di non vedere che a darglieli siamo noi che paghiamo il 5% di Pil di oneri sul debito mentre loro ce li chiedono insoddisfatti del 2,3% che era stato loro concesso ristrutturano il loro debito nel 2012, con scadenze pluridecennali. Vedremo se avverrà. La Spagna di Rajoy non è su questa linea. E nemmeno coloro che nel nord Europa pensano che un euro più ristretto sia più omogeneo. Il capo dello Stato Mattarella ha detto benissimo ieri sera: “scenari inediti, serve responsabilità”. Torno a dire quel che ho già scritto da tempo: la terza via oggi non si costruisce con fughe in avanti, ma ponendo sul tavolo due opzioni immediate, o la possibilità di un default concordato stando nell’euro (si tratterebbe di “piegare” l’ESM a questo fine, e naturalmente la condizionalità degli aiuti resterebbe fortissima, checché pensino i greci), oppure quella di uscire dall’euro in maniera concordata (anche per questo servono aiuti..) ma restando però nella Ue.

Quarto: l’Europa di domani. E’ anche vero che i tedeschi sono i primi d’accordo con lo sviluppo sovranazionale e federalista indicato per il futuro dell’Ue e dell’euroarea dal “Rapporto dei 5 presidenti”. Qui la politica europea si divide ancor più. Il blocco che si riconosce nelle posizioni tedesche è convinto che l’uscita della Grecia sia un passo non incoerente a sviluppi a breve sovra-nazionali, possibili solo tra paesi che condividano le linee di fondo dell’europatto. Italia e Francia, nelle loro attuali maggioranze politiche, non la pensano affatto così. Ritengono che sviluppi federalisti possano venire solo con quote crescenti di debito pubblico condiviso e grandi programmi di eurobond per gli investimenti, e che gli aiuti vadano condizionati non più solo agli equilibri di bilancio ma alla crescita del PIL e dell’occupazione. I mercati, anche su questo, daranno in fretta un prezzo a ogni rischio sovrano nazionale connesso alle posizioni che verranno assunte. Mentre i tempi per cambiare i trattati sono lunghissimi.

Quinto: oltre l’economia, le conseguenze politiche. Vedremo se i mercati con le loro rapide reazioni avranno il ruolo decisivo, nel piegare le posizioni dei governi ai rischi immediati che prezzeranno. Ma le conseguenze politiche del referendum greco sono in realtà rilevantissime. In Spagna il voto greco è aria nelle vele di Podemos. In Italia, è una potentissima spinta agli argomenti di Grillo, Salvini, Meloni, di tre quarti di Forza Italia, e dell’opposizione Pd. Tutti, ciascuno portando acqua al proprio mulino, seguiranno la linea che finalmente si può dire no alle richieste di finanza pubblica equilibrata che vengono dall’Europa, naturalmente presentate e vissute invece come “macelleria sociale”. A partire dal Pd, le conseguenze rischiano di rendere ancora più complicata la vita del governo. E per questo Renzi da domani tenterà la “terza via” tra Merkel e Tsipras. Ma dalla riforma della Costituzione a quella elettorale, dalla scuola ai prepensionamenti, Fassina, Cofferati, Civati e Landini hanno molte più frecce al loro arco. Quanto agli altri, la Lega del no nel referendum greco è stata la prima ieri sera a dire che non bisogna dare nuovi aiuti ai greci perché l’Italia rischia troppo, altrimenti dobbiamo fare un referendum anche noi e la loro posizione è che non ha più senso l’euro, non che si debba dare più aiuti a greci.

 Sesto: cosa rischiamo noi. Tanto. Ogni incertezza tra eurogruppo e Atene, ogni divisione nel Consiglio della Bce, sulle decisioni che la banca centrale europea dovrà assumere prima che la politica decida e che saranno in ogni caso decisive, ognuno di questi passaggi produrrà effetti sul prezzo dato al rischio sovrano dei paesi più indebitati. Noi siamo molto indebitati e a bassissima crescita. Allacciate le cinture, perché il governo Tsipras e i greci hanno posto all’euro e alla UE più problemi insieme di quanti se ne siano visti negli ultimi 4 anni, da quando nel 2011 esplose la crisi di sostenibilità sui mercati dell’euroarea.

 

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10 Responses

  1. Anonimo

    Il governo greco sarà pure comunista, ma i burocrati dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche d’Europa sono ancor più comunisti e della razza peggiore, essendo i veri eredi dei piani quinquennali di baffonesca memoria e i piu fedeli epigoni della gloriosa razza degli apparatcik.

  2. Emiliano Pepa

    Provo a vederla io un pò più semplicemente, forse anche a torto, ma vediamo se il ragionamento fila.
    Bruxelles è da sempre influenzata da due demoni, uno politico ed uno tecnoburocratico-bancario.
    Il demone politico, che ha in mente in primis i popoli ed il consenso, non vorrebbe mai e poi mai l’uscita di un paese dall’Eurozona, anzi è stato l’artefice dell’espansione fin troppo frettolosa a 28 stati dell’area euro, ma non ha potuto fare a meno di appoggiarsi sempre al secondo demone quello tecnoburocratico bancario, che invece ha in mente in primis l’interesse delle BANCHE e della stabilità Finanziaria, pretendendo quindi in modo anche ostinatamente cieco il rispetto dei parametri macroeconomici preimpostati nei confronti alle economie nazionali.
    Orbene questo secondo demone ha preteso il BAIL-IN e ne è riuscito ad avere un test fattibilità (perchè non c’è pregressa letteratura valida a riguardo) facendo la prova con Cipro (paese dell’area euro molto periferico, e pieno di capitali russi piuttosto che europei). Non sapendo quale sarebbe stato il risultato hanno fatto quello che fa un hobbista quando sta riverniciando la sua stanza… fa la prova con l’angolino in basso a destra dietro l’armadio.
    Ora fatta la prova di fallimento bancario, bisogna fare la prova di fallimento statale. Di nuovo anche qui depurati i possibili rischi per le banche europee sistemiche, che sono rientrate per tempo e con profitto dai debiti di Atene, adesso è solo una questione di debiti tra stati europei (e quindi nuove tasse per i cittadini), e considerato che il PIL della Grecia è qualcosa di miserrimo rispetto all’Europa a 28, si può ben provare con questo altro “angolino in basso a sinistra” (o di nuovo … a destra, geograficamente parlando), anche perché pure in questo caso, la letteratura economico-finanziaria dei professoroni non fornisce adeguato supporto.
    Perciò, per quanto esposto, la Grexit serve …. serve per sperimentare con cavia in vivo cosa succede se…
    Poi magari sottobanco i due demoni hanno già contrattato anche il riassorbimento della Grecia nell’Eurozona, anche in tempi relativamente rapidi (qualche annetto), ma la prova bisogna farla, schiere di apprendisti stregoni di economia e finanza col pedigree vogliono giocare col loro giocattolo e scrivere il loro manuale d’uso e manutenzione per i posteri.

  3. Gianfranco

    Scommetto un caffe’ che, sbattuta fuori la Grecia, le borse decolleranno dopo un breve periodo di incertezza.
    Non c’e’ scelta. Sapranno che, assimilata la perdita, l’emorragia’ sara’ stata fermata.
    E’ questo, in realta’, l’effetto secondario di cui l’Italia ha paura. L’Italia ed i dementi che non hanno ancora capito che la festa e’ finita.
    Saluti
    Gianfranco.

  4. Paolo

    forse il mio punto di vista risultera’ particolarmente semplicistico ma mi pare che il problema sia capire cosa vogliono i cittadini europei: se vogliono la moneta comune devono comprendere che vi sono dei costi, che il ciclo economico non sara’ sempre lo stesso in tutti i paesi e che vi sono e vi saranno sempre zone che contribuiscono piu’ di quanto ricevono: in questo caso la Grecia diventera’ la Calabria d’Europa, l’Italia la Sicilia d’Europa, e via dicendo. Non piace questa strada: benissimo, significa che si deve “disfare” l’unione monetaria perche’ va finalmente preso atto che senza una unione fiscale (e quindi trasferimenti da un paese all’altro dell’eurozona) una unione monetaria non puo’ esistere, a cui a mio modestissimo modo di vedere dovrebbero aggiungersi significativi trasferimenti dai signoli stati membri alle istituzioni comunitarie (sperando che queste riescano a trovare un minimo di rappresentativita’ democratica, magari dotendo il parlamento di effettivi poteri).
    Nel mezzo non ci possiamo piu’ stare, sono 15 anni che ci proviamo e non funziona, non ha funzionato ne’ mai funzionera’ perche’ non esiste altra unione monetaria senza che vi sia una unione fiscale. Questo esperimento non e’ senza conseguenze, ha letteralmente rovinato la vita di milioni di persone, adesso basta per favore, se le cose le vogliamo fare allora facciamole bene, senno’ ognuno torni alla propria moneta e amici come prima.

  5. Francesco_P

    Egregio Gianfranco, 6 luglio 2015,
    d’accordo sulle borse che oggi non hanno perso neppure troppo rispetto alla notizia dell’ormai inevitabile grexit.
    Purtroppo adesso tocca a noi abitanti dell’Italia iper-burocratica e iper-indebitata con tante Grecia casalinghe come la Regione Sicilia, il Comune di Roma, ecc. Per noi sarà più dura perché saranno espropriati i nostri conti correnti a tutela dei creditori.
    Nonostante la lezione greca, l’Italia non cambierà e non cambierà neppure l’Europa che considera sempre e solo l’opzione fiscale per riallineare i conti pubblici e mai l’opzione del “dimagrimento dello Stato”. Sul medio-lungo termine questo segnerà la fine dell’Europa.

  6. Lorenzo

    Non ho particolare simpatia per i burocrati europei ma c’è pur sempre un fatto. I greci hanno beatamente dilapidato risorse in maniera scellerata per decenni ed hanno fatto un buco che qualcuno ora dovrà pagare. Questa è già macelleria sociale.
    Poi non capisco certi assunti retorici, come “disfare l’Euro”… perchè esce un paese che ne rappresenta il 2%? Questi mi sembrano giochi di parole.
    L’Euro non crea problemi, sono alcune economie come quella italiana che soffrono perchè hanno accumulato un debito pazzesco. Anche questa è macelleria sociale a spese delle prossime generazioni.
    Più che l’unione fiscale, perchè l’Europa funzioni occorre che ciascun paese metta a posto i propri conti pubblici. La fiscalità folle è conseguenza della necessità di farsi dare il troppo speso. Uscire dall’Euro per poter fare inflazione è una furbata per fallire un po’ alla volta.
    A parte il fatto contingente della Grecia non vedo segnali di ravvedimento ed andrà a finir male.
    Allacciamoci le cinture.

  7. Michele

    Il rischio maggiore della questione greca non sono i valori monetari in gioco, ma il messaggio che porta il risultato in grembo come giustamente evidenziato.
    Se domani l’Europa cala i pantaloni tutti saranno leggitimati a chiedere un referendum.
    Conseguenza di abbondanza di politicanti e nessun politico.

  8. Gianfranco

    Caro Francesco_P, 6 luglio 2015,
    lei identifica troppo l’Italia con l’Europa e viceversa.
    Scommetto un altro caffe’ che, sbattuta fuori la Grecia, e riapprezzato l’euro (cosa inevitabile), per noi sara’ il colpo di grazia.
    Ma non sara’ affatto la fine dell’Europa. Ne’ da un punto di vista morale, che a furia di qe ci sta mantenendo in piedi da 20 anni, ne’ economico.
    Peggio ancora, non sara’ nemmeno la fine della burocrazia italiana che, finalmente, avra’ un colpevole eterno ed esterno per non cambiare.
    Accetta?

  9. Francesco_P

    Egregio Gianfranco, 7 luglio 2015,
    Il caffè è sempre un piacere!
    L’Europa sopravviverà alla Grecia ed anche all’Italia. In fondo l’UE è fatta ad immagine e somiglianza dei Paesi centrali e settentrionali.
    Non siamo più ai tempi del Congresso di Vienna e quindi il Lombardo-Veneto perirà con l’Italia anziché salvarsi diventando una provincia austriaca. Al massimo i francesi ci proveranno con il Piemonte e la Liguria (in Valle d’Aosta stanno già spostando i cippi confinali http://www.huffingtonpost.it/2015/06/25/monte-bianco-contesa-italia-francia_n_7660116.html ).
    Ma l’Europa non sopravviverà alla sua burocrazia!

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