13
Nov
2015

Recupero da evasione? Di tutto, di più—di Carlo Amenta

Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Carlo Amenta.

Per anni il dibattito politico sul tema dell’imposizione fiscale ha spesso evitato un’analisi seria: il politico medio di qualsiasi formazione politica, invece di concentrarsi sul difficile compito di tagliare la spesa per tagliare le tasse, ha sempre agitato il mantra del “pagare meno, pagare tutti”. E’ il recupero dall’evasione il Sacro Graal di una classe dirigente incapace di fare scelte difficili: tagliare la spesa significa anche procedere a licenziamenti di personale pubblico inefficiente e presente in numero superiore alle esigenze e non solo tagliare spese di manutenzione ed acquisti di carta igienica e detersivi. L’incentivo ultimo del politico è sempre il consenso ed il taglio dei posti di lavoro raramente ne porta, oltre a far venire meno la prassi clientelare diffusa su tutto il territorio nazionale in maniera inversamente proporzionale al PIL pro-capite regionale.

Il recente intervento sul Canone RAI, inserito nel DDL stabilità in discussione al Senato, sembra un esempio eclatante del malcostume politico imperante. La norma è stata ampiamente pubblicizzata proprio come una splendida applicazione del “pagare meno, pagare tutti”. Si cambiano il presupposto giuridico e le modalità di riscossione, dall’antenna all’utenza elettrica, per stanare gli evasori che pare siano pari al circa il 27 per cento dei contribuenti. A fronte di ciò il canone viene ridotto del 12 per cento, da 113,5 a 100 euro. Sarà più difficile evadere e la ritrovata efficienza nella riscossione coprirà il minor gettito legato alla riduzione del canone. Nel 2014 i proventi dal canone per utenze private sono stati pari a 1,5 miliardi circa e, nello stesso bilancio, la RAI ha stimato in circa 500 milioni il gettito evaso. I dati censuari segnalano che nel nostro paese vi sono circa 24 milioni di abitazioni che, pagando un canone di 100 euro, portano il gettito potenziale conseguente alle modifiche a 2,4 miliardi di euro.

Lo spostamento del canone in bolletta non eliminerà di colpo gli evasori che, come nel più classico dei film di “guardie e ladri” troveranno comunque il modo di fare fesso l’erario. Se si ipotizza che il nuovo tasso di evasione sia pari al 10%, una via di mezzo tra la morosità del sistema elettrico (pari al 5%) e il tasso di evasione del vecchio canone (27%), è ipotizzabile che il nuovo canone possa fruttare circa 2,2 miliardi, 500 milioni in più di quanto, in base a indiscrezioni di stampa, dovrebbe rimanere alla RAI nel 2016: 1,7 miliardi di euro. Tale cifra, secondo quanto previsto dal comma 9 dell’art 10 del DDL stabilità, affluirà al Fondo per la riduzione della pressione fiscale. Se e quando questo fondo sarà trasferito nelle tasche degli italiani attraverso tagli di tasse è ancora da capire però, almeno in teoria, lo slogan “combattere l’evasione per tagliare le tasse” sembra fin qui rispettato. 

Ma nel paese di bengodi, dove la spesa pubblica cresce inesorabile a prescindere dai governi e dai consulenti alla spending review che provano a cimentarsi nell’impresa, un tesoretto così succoso non può non accendere le brame della politica: si moltiplicano pertanto le voci che sembrano destinare parte dell’extra gettito alle tv e radio locali, a cui lo Stato ha già destinato 50 milioni nel 2016 (PDF, cap 3121) mentre, per altro verso, la stessa RAI minaccia ricorsi al TAR per accaparrarsi l’intero gettito, impiegandolo nei modi tutt’altro che efficienti a cui ci ha abituato sin dalla sua creazione con possibili aumenti di organico. Alla fine quindi solo una parte dei 500 milioni recuperati verrà usata, in un futuro molto remoto ed in una galassia lontana lontana, per tagliare le tasse mentre il resto verrà certamente utilizzato per sussidi e politiche clientelari.

Da un punto di vista teorico non si può fare a meno di notare, come già evidenziato dall’Istituto Bruno Leoni, che inserire nella bolletta voci che non riguardano il servizio che si paga costituisce una gravissima distorsione del potere informativo dei prezzi che resta un caposaldo del funzionamento efficiente di un mercato. Spesso una laurea in ingegneria non è sufficiente a capire tutte le voci da cui viene composto l’importo finale e aggiungere elementi estranei al servizio non può che aumentare la confusione.

Da un punto di vista strettamente gestionale poi si finisce con il sottrarre al management il controllo completo della leva di prezzo con riferimento alla trasparenza nella comunicazione con la conseguenza che non si riesce più a correlare adeguatamente il costo del servizio alle competenze della società complicando anche la possibilità di comparazione per il consumatore e rendendo più difficili anche le strategie promozionali o di scontistica. Questo appare tanto più grave in un mercato che cerca a fatica il completamento di un processo di liberalizzazione che vede nella trasparenza dei prezzi applicati e nella simmetria informativa elementi indispensabili per il proprio compimento.

Chi scrive non può che essere disponibile a sopportare questi effetti distorsivi pur di vedere realmente ridotta la pressione fiscale: meno tasse valgono sicuramente qualche sacrificio! Ma perché ciò si realizzi appieno il canone va tagliato in maniera molto più consistente e, sulla base di quanto prima brevemente descritto, il gettito di 1,7 miliardi già destinato alla RAI per il 2016 potrebbe essere garantito portando l’odiosa tassa fino a 80 euro. Un taglio più significativo rispetto al canone originale, che ridurrebbe tesoretti ed appetiti clientelari. Insomma, per dirla alla Catalano: meglio un taglio delle tasse oggi che una promessa di farlo domani.

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8 Responses

  1. Bobcar

    “Ma nel paese di bengodi, dove la spesa pubblica cresce inesorabile a prescindere dai governi e dai consulenti alla spending review” peccato che sia una balla e la spesa pubblica in termini reali è in calo da anni, infatti guaia a citare una fonte, quando si scrivono certe cose…

  2. Marco O.

    Ecco la fonte:

    http://www.tradingeconomics.com/italy/government-spending-to-gdp

    E’ dal 2000 (circa 15 anni quindi) che il rapporto spesa pubblica/PIL ha un trend crescente, passando dal 46% circa al 51% circa. Altro che balle. E’ ovvio che la grandezza significativa non è la spesa pubblica in valore assoluto, ma il suo rapporto con il PIL. O pensi che se il PIL italiano dimezzasse, la spesa pubblica dovrebbe essere al 100% del PIL?

  3. FR Roberto

    @Bobcar: giusta la critica di imputare all’autore di aver fatto un’affermazione senza citare le fonti. Almeno per coerenza però dovrebbero essere citate le fonti che dimostrano il contrario.

    Anche io ho leggo qua e là qualcuno sostiene che da noi la crescita della spesa pubblica è inferiore rispetto ad altri paesi.
    Questa affermazione andrebbe spiegata meglio, ricorrendo a basilari regole di analisi dei dati:
    1) si parla di crescita percentuale e non assoluta;
    2) una percentuale alta riferita ad un numero insignificante è un numero insignificante;
    3) una percentuale bassa riferita ad un numero colossale potrebbe essere un numero grande;
    4) se un paese non ha esagerato in passato con il livello di spesa pubblica, può permettersi di espandere la spesa pubblica con una certa serenità;
    5) se un paese ha esagerato in passato con il livello di spesa pubblica, deve pensarci mille volte prima di espandere ancora la spesa pubblica;
    6) quando si analizza la spesa pubblica, bisognerebbe analizzare congiuntamente anche la copertura della stessa, e il livello di debito pubblico.

    AUMENTARE UNA SPESA PUBBLICA GIA’ ELEVATA, INCREMENTANDO UN DEBITO PUBBLICO GIA’ ELEVATO, E’ UNA POLITICA FOLLE.

  4. Carlo Amenta

    Chied o venia per non aver giustificato la mia affermazione sulla crescita della spesa pubblica in Italia.Mi sembrava una di quelle considerazioni ormai acquisite al patrimonio culturale comune, come il fatto che la terra giri intorno al sole. Dimentico sempre che c’è qualcuno che pensa avvenga il contrario e che considera le scie chimiche responsabili della mia ormai irreversibile calvizie.

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