9
Ago
2010

L’economia italiana, tra realtà e finzione

Proseguono gli ammirevoli tentativi di Oscar Giannino di suggerire alla politica un’agenda economica degna di questo nome, anche per superare la fase surreale che stiamo vivendo, dove pare che i nostri eletti siano caduti vittime di un miraggio estivo, e si siano convinti che l’economia non è più un problema. Purtroppo le cose non stanno così.

La ripresa è in larga misura fittizia, almeno in Occidente. Nelle prossime settimane e mesi assisteremo al rallentamento della già asmatica locomotiva statunitense, e forse a nuovi interventi espansivi di politica monetaria, mentre sarà difficile vedere all’opera nuovi stimoli fiscali di una qualche entità, visto l’approssimarsi delle elezioni di midterm. Per Giannino, il nostro paese ha superato l’emergenza meglio di altri, e la riprova consisterebbe nel tasso di disoccupazione, più basso della media europea.

Certo, se ci paragoniamo a Grecia e Spagna c’è innegabilmente del vero in questa affermazione. Solo che è lo stesso Oscar che, pochi paragrafi più in là, segnala quello che noi denunciamo da tempo: in Italia esiste una enorme disoccupazione occulta, nascosta dietro l’utilizzo estensivo della cassa integrazione:

«Nell’Italia di oggi, dove a distanza di 20-22 mesi preferiamo tenere i cassintegrati in deroga nell’illusione che torneranno tutti a lavorare dove stavano, bisognerebbe autorizzare le imprese che non hanno prospettiva di riassorbirli a recedere»

Condivisibile. Ma se le cose stanno in questi termini, è del tutto inutile parlare di tasso di disoccupazione più contenuto della media europea. Basta guardare in faccia la realtà: il nostro tasso di disoccupazione (che peraltro non è basso, da qualunque angolo visuale lo si guardi) è una metrica falsata e fuorviante, anche per il basso tasso di attività che da sempre caratterizza il nostro mercato del lavoro. Ma non riusciremo a sfuggire alla mistica del “noi ne usciremo meglio di altri”, statene certi.

Giannino si sofferma poi sul processo di “destrutturazione” della contrattazione collettiva, e sul “caso Pomigliano” che, dopo essere rapidamente divenuto “caso Fiat”, sta per mutare in “caso Italia”. Le imprese, di fronte alla gravità della situazione, tentano di liberarsi dei vecchi lacci e dei vecchi rituali, nel tentativo di sopravvivere e rilanciarsi. E qui la politica latita, perché questo processo andava assecondato e gestito, mentre verrà invariabilmente subito.

Serviva una profonda riforma della contrattazione collettiva, che non c’è stata; serviva una riforma degli istituti di protezione reddituale per i lavoratori, con il superamento della cassa integrazione e la sua sostituzione con meccanismi di tutela universale e limitata nel tempo e nello spazio, che non c’è stata. Tutto quello che abbiamo avuto è stata l’ennesima variazione al margine, nella forma di una rachitica e problematica detassazione dei premi di rendimento e della componente variabile della retribuzione.

Altro punto segnalato da Oscar: il fondo per la capitalizzazione delle PMI, ad un anno dalle fanfare che ne annunciavano la nascita, è al palo. Perché? L’ipotesi è tanto lineare quanto disarmante:

«Se ci sono problemi per l’autorizzazione necessaria da parte di Bankitalia, forse è perché il modello su cui hanno trattato banche e Tesoro rischia di apparire più una scelta di risulta a favore di soggetti a cui le banche negano capitale, che un vero veicolo di mercato capace di scegliere i soggetti che razionalmente e internazionalmente è più utile sostenere, per i prodotti e le tecnologie di cui dispongono»

Ricordate la Banca del Sud? Non è ancora partita, ne parlavamo lo scorso anno. Forse perché la costruzione soffre delle stesse debolezze concettuali del fondo di private equity pubblico per le PMI? Forse perché agevolare la raccolta, con fiscalità di vantaggio, non serve a nulla (se non eventualmente a rafforzare Poste Italiane sul mercato dei depositi), visto che il problema del credito nel Mezzogiorno non è la raccolta ma gli impieghi?

Resta il dato di fondo di una politica declamatoria, incapace di gestire il cambiamento, avvolta da una fitta nebbia di propaganda. Certo, alla fine di questa lunga mutazione dell’economia italiana e globale potremmo trovarci di fronte al fatto compiuto di una rivoluzione della contrattazione collettiva, un processo che la politica si limiterebbe ad osservare. Potremmo anche pensare ad una sorta di vietnamizzazione della nostra economia, in cui la progressiva sostituzione delle generazioni attive ci regala una forza lavoro integralmente precaria, e la crisi fiscale dello stato impedisce di riformare il welfare in modo leggero e “liquido”. Al termine della transizione potremmo pure diventare la Tigre d’Europa. Ma se così fosse, potremmo anche abolire l’esecutivo ed il legislativo, per manifesta inutilità. Potrebbe essere un interessante esperimento sociale, in fondo.

14 Responses

  1. azimut72

    Mi consenta….
    Se non sbaglio lei scrive peste e corna su questo governo insieme ai sui colleghi de “Il fatto quotidiano”; qui, ospitato da Giannino, ci fa la morale sulla politica inconcludente, “declamatoria, incapace di gestire il cambiamento, avvolta da una fitta nebbia di propaganda”.

    Benissimo, però, si sa, criticare è facile e, soprattutto per NOI (immagino ci sia anche lei) liberali e liberisti (chi più chi meno) ciò che conta è il pragmatismo, ovvero, se necessario turarsi il naso se non la soluzione ottimale non c’è.

    E allora…visto che lei lancia continuamente i suoi strali su Berlusconi, Tremonti e compagnia….ci illumini e ci indichi la via del pragmatismo.

    Qual è l’alternativa a Berlusconi (oggi, in Italia)?
    Per favore, me la indichi…io la sto cercando da 15 anni disperatamente ma non la trovo. Ce la indichi lei.

    ciao
    azimut72

  2. Tempo addietro scrissi che gli italiani dovrebbero smettere di guardare al prodotto della politica in senso relativo (i.e. smettere di turarsi il naso), ed iniziare ad alzare l’asticella, magari guardando alle esperienze di altri sistemi, senza provincialismi.

    Capisco che il tutto possa suonare astratto e vagamente cerchiobottista, ma è probabilmente l’unico modo per iniziare a chiedere conto alla politica (a tutta, senza distinzioni di schieramento) dell’inazione e del declino del paese.

    Quanto al pragmatismo, le cose da fare sono chiare ed evidenti a tutti, sono elencate nel post non per mia scienza ma per puro distillato delle proposte di politica economica che si rincorrono da lustri come una logorante giaculatoria.

    Ultimo punto, di carattere personale: io scrivo sul Fatto, così come scrivo su Liberal, così come in passato ho scritto su LiberoMercato, fin quando Oscar ne è stato direttore. Quello che scrivo, sulla politica economica dei governi che si succedono in questo paese, è riscontrabile in critiche vivaci (diciamo così) e senza distinzione di schieramento. In caso, esiste un archivio sul mio sito, dove è possibile andare a rileggersi quello che ho scritto sul – e durante il- governo Prodi. Troverei quindi più costruttivo sfrondare il dibattito da riferimenti alle testate con cui collaboro: non è segno di maturità, ma entra a pieno titolo nello scadimento del dibattito sulla blogosfera. Parere personale, ovviamente.

    Quanto al fatto di essere “ospitato” da Giannino, potrei essere smentito ma vorrei precisare che io sono uno degli autori di questo sito. Ma ripeto, potrei essere smentito.

    Saluti

  3. azimut72

    Non volevo attaccarla nel merito degli argomenti. Sono convinto che Giannino la ospita felicemente anche perchè i suoi contenuti sono sempre ottimi (io spesso li rigiro sul mio facebook con gran successo).
    Mi creda, apprezzo molto quel che scrive (per quel che conta).

    Però, dopo anni di critiche, c’è necessità di “sporcarsi le mani” perchè altrimenti si diventa come gli intellettuali da salotto che tanto criticano e che poco apportano al miglioramento della nostra società.

    Insomma, essere responsabili (la prego, intenda queste parole benevolmente).

    E’ indubbio che ci troviamo in un passaggio storico molto delicato ed essere responsabili, oggi, dopo anni di critiche e disullusioni significa prendere posizioni pur sapendo che ci “sporcano le mani”.

    La realtà è triste, sporca e ingiusta ma sarà difficile cambiarla a meno di scontri che esulano dal dibattito politico (…da non escludere in un futuro prossimo).

    E’ per questo che attendo ancora una risposta alla mia domanda.
    Oggi, agosto 2010…qual è l’alternativa a Berlusconi? ne esiste una migliore?

  4. Luigi

    Complimenti ad azimut72: a lui non interessa quello che Seminerio scrive ma i fogli su cui scrive e siccome non c’è alternativa credibile tutto va bene madama la marchesa e guai a chi si permette di criticare. E questa roba ha pure il coraggio di chiamarla pragmatismo liberale. Davvero complimenti.

  5. bill

    C’è una cosa che balza agli occhi: così come Seminerio scrive sul Fatto, Antonio Martino scrive su Libero, e per farla corta altri esponenti liberal-liberisti scrivono su altre testate variamente collocate politicamente.
    Quello che mi chiedo è: dato il fatto, positivo, che sta nell’essere perlomeno ascoltati e letti, ma è mai possibile che nessuno non dico proponga alla lettera, ma almeno prenda qualche spunto?
    Il centrodestra, che io ho votato, enuncia slogan liberali e liberisti, ma una volta al governo si limita a gestire l’esistente giorno per giorno, continuando a promettere riforme che si perdono nel nulla.
    E sentire Tremonti parlare di “ritorno dello stato” è, scusate, veramente deprimente.
    Il centrosinistra l’unica cosa che ha proposto in questi mesi è stata l’ideona di alzare le aliquote per i redditi sopra i 200.000 euro/anno: a mio avviso una scemenza sesquipedale.
    Per cui, devo dire, la conclusione dell’articolo è provocatoria ma pure realistica: il paese comunque, nonostante la politica viva fuori dal mondo e dentro i palazzi, non ha ancora voglia di morire assieme ad essa.

  6. armando

    questo governo ha un torto gravissimo che quello di non aver messo le nostre imprese a poter competere con quelle tedesche e francesi

  7. michele penzani

    Anche io apprezzo molto la preparazione di Mario Semineiro, come avverto la buonafede dei concetti espressi da “azimut72” insiti nel 1° post. Mi scuso se, in pratica, mi ripeto tediosamente come già risposto all’articolo redatto dal prof. Giannino…Però -dott. Semineiro- non credo che, considerando il potere effettivo del nostro Governo sull’economia (ultima emissione monetaria statale del’75, nascita dell’euro, parametri di Maastricht, Basilea2, autonomia di fatto degli istituti di credito…), una frase come:

    «Se ci sono problemi per l’autorizzazione necessaria da parte di Bankitalia, forse è perché il modello su cui hanno trattato banche e Tesoro rischia di apparire più una scelta di risulta a favore di soggetti a cui le banche negano capitale, che un vero veicolo di mercato capace di scegliere i soggetti che razionalmente e internazionalmente è più utile sostenere, per i prodotti e le tecnologie di cui dispongono»

    possa davvero rappresentare un indice puntato al mal-governo (o addirittura alla non competitività delle PMI italiane che si vedono erogare 65% dei finanziamenti alla grande impresa che realizza il 12% della produzione nazionale…Ed anche questo è l’esito di aspre diatribe corporativistiche, più che scelte autonome governative)…Indipendentemente da chi siederebbe all’Esecutivo.
    Il credito è dato dalle banche. L’emissione monetaria è data dalla BCE. Se non si vuole puntare l’indice su chi, nei fatti, detiene la maggiore autonomia e discrezionalità nelle scelte di accesso al credito da parte delle imprese, con altrettanta onestà bisognerebbe non condannare chi, nei fatti, non ha il coltello dalla parte del manico…E credo che gli spread applicati in maniera dissociata agli odierni bassi tassi d’interesse del costo del denaro, la fine dei Tremonti-bond e le proposte di proroga di pagamento del debito delle banche agli imprenditori abruzzesi nel dopo terremoto, credo siano degli esempi.
    …Potendomi sempre sbagliare…

  8. @michele penzani

    Quel passaggio è un’ipotesi, presumo. Ma potremmo non essere lontani dal vero, nel senso che destinare fondi a imprese che non hanno merito di credito sarebbe controproducente e finirebbe col procrastinare ulteriormente l’obiettivo (questo si meritorio) di rafforzare la patrimonializzazione delle PMI. Io faccio solo una constatazione: l’annuncio di quel fondo è di circa un anno addietro. A fine marzo è stata costituita la sgr, con capitale sottoscritto dalla Cassa Depositi e Prestiti e dalle maggior banche italiane. Leggo inoltre che a luglio sono stati conferiti i mandati a due primari head hunters per cercare gli asset manager per il fondo, e che il business plan prevede entro 1-2 anni di avere un organico di 40-50 persone. Allora mi chiedo: ma questi tempi complessivi sono fisiologici oppure ci sono difficoltà ed incongruenze che si è voluto ignorare finora? Ecco, questo è il dato politico, e mi ricorda sinistramente l’intera impalcatura del federalismo fiscale, del quale manca tutto, a partire dal mattoncino-base dei costi standard, oltre che definizione e portata della perequazione e delle modalità di destinazione del saldo di gestione dell’ente locale. Cioè (ripeto) TUTTO. Io mi domando e domando: perché il segno distintivo di questo governo paiono essere gli annunci epocali, a cui poi non seguono fatti o seguono solo con lentezza esasperante?

  9. michele penzani

    …La mia modesta opinione è che, proprio considerando i (non) poteri effettivi di un esecutivo sulle concessioni al credito, il fatto che una sempre auspicata meritocrazia non sia proprio la motivazione primaria che possono rivendicare gli istituti di credito nella concessione del credito stesso (visto 1- la differente imposizione fiscale rispetto le PMI, 2- i controlli di bilancio tra le due, 3- la, di fatto, assenza di limitazione alla partecipazione nel capitale delle imprese stesse), se bisogna trovare la causa squisitamente politica alle lentezze esasperanti alle azioni governative, non può che essere rappresentata dai palesi conflitti corporativistici ben rappresentati in Parlamento dalla nascita di questa Repubblica…Ma, ripeto, il credito dato col contagocce è cosa bancaria. E se lo Stato deve ricondursi all’euro perchè non ha una propria moneta per avere lo strumento della svalutazione competitiva, le imprese non possono fare altro che puntare sull’efficienza…E quindi il credito chi glielo deve dare?

  10. Aggiungerei un quarto punto ai suoi 3: le PMI sono mediamente sottocapitalizzate, a volte in modo drammatico. Se la loro condizione finanziaria è così fragile, con flussi di cassa depauperati dalla crisi, si può imporre alle banche di prestare con la forza? Voglio dire, pur con tutti gli evidenti limiti delle nostre banche (che nei giorni pari affamano il popolo e in quelli dispari sono solide e hanno evitato al paese di finire in Grecia), c’è della razionalità nella concessione creditizia a soggetti così deboli sul piano patrimoniale e finanziario, o no? Non conosco banchieri che si astengano dal fare credito, se le condizioni sono favorevoli. E comunque il fondo di cui stiamo parlando è un fondo di ricapitalizzazione, non di erogazioni creditizie. Quindi serve a superare i problemi di cui stiamo parlando.

  11. michele penzani

    …Sono d’accordo, certo. Di razionale non c’era neppure la non limitazione all’accesso al credito di sig.ri Tanzi, Tronchetti Provera (in ambito TIM), ed altro…
    Sono della modestissima, quanto non-provata opinione, che al superamento di tali problemi un Esecutivo, degno di questo nome, debba avere i poteri decisionali in ambito economico che ora non ha, perchè non può fisicamente ottenere denaro se non passa per la BCE…Il credito, siamo tutti d’accordo, sappiamo essere d’appannaggio esclusivamente bancario. Quindi, dicevo, ritorno alla moneta nazionale…Del resto, Non è forse Fisher -scuola di Chicago- che proponeva l’emissione di moneta da parte dello Stato stesso in nome e per conto dei propri cittadini acquisendone la proprietà a titolo originario? Grazie per l’attenzione, dott. Semineiro.

  12. Pastore Sardo

    Non si può a mio parere costringere le banche a dare i soldi alle PMI, ma se le banche comprano ciò che la finanza più spregiudicata crea per fare profitti a breve (con i relativi premi ai manager) allora le PMI non avranno mai possibilità di essere finanziate nei periodi di crisi.
    Diciamo le cose come stanno!!!
    Se non sbaglio il Marocco per legge ha impedito alle banche di comprare e vendere prodotti finanziari a dir poco spregiudicati e hanno avuto più risorse da investire anche per le aziende.
    E’ evidente che le aziende che hanno loro stesse fatto degli investimenti finanziari speculativi con soldi prestati dalle banche dovrebbero finalmente investire in modalità opportuna e non licenziare personale addirittura in rami di azinda in utile per far vedere una riduzione generale dei costi.

  13. antonio

    @azimut72- non trova alternative a Berlusconi ? Davvero? Allora la responsabilità è anche sua.

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