3
Lug
2013

Le origini della crisi egiziana — di Nouh El Harmouzi e Ali Massoud

Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Atlas Network.

Cosa ha portato 17 milioni di egiziani nelle piazze di tutto il paese e ha spinto 22 milioni di cittadini a sottoscrivere una denuncia del presidente Mohammed Morsi? E perché il sito web del movimento di protesta Tamarrod (Il ribelle) ha chiesto che “il presidente Morsi lasci l’incarico entro le 5 del pomeriggio di martedì 2 luglio” e permetta lo svolgimento di libere elezioni, con la minaccia, in caso contrario, di una “assoluta disobbedienza civile”?

E perché le forze armate egiziane hanno presentato allo stesso Morsi un ultimatum, intimandogli di risolvere la crisi entro 48 ore, in difetto di che avrebbero preso esse stesse le misure necessarie.

La ribellione trae origine dall’inadeguatezza – economica e politica – del governo Morsi, inadeguatezza che nasce a sua volta dal disprezzo che le autorità nutrono per la libertà individuale, inclusa la libertà economica, fonte indispensabile di ogni prosperità.

Nel corso delle proteste 55 egiziani sono rimasti uccisi e circa settecento sono stati feriti in seguito a violenze probabilmente acuite dalla mancanza di benzina e di altri beni essenziali, che ha creato lunghe code di consumatori inferociti. La scarsità di beni di consumo e le code a negozi e distributori rappresentano una prova evidente che le azioni di Morsi sono in completa opposizione con una politica favorevole alla libertà e al mercato, in grado di innalzare il livello di vita.

L’economia è in continuo peggioramento: nel 2012 la crescita economica è stata pari al 2,2 per cento, rispetto al 5,1 per cento del periodo 2009-2010, prima della rivoluzione che ha abbattuto il regime di Hosni Mubarak. Si prevede che dopo la fine di giugno la crescita si riduca ulteriormente, ad un livello inferiore al 2 per cento annuo. Come se ciò non bastasse, la lira egiziana ha perduto il 12,5 per cento del suo valore nei confronti del dollaro.

La riduzione della crescita economica ha aggravato la disoccupazione e la povertà in una nazione di 82,5 milioni di abitanti. Di questi, oltre 3,3 milioni (pari al 13 per cento della popolazione) sono disoccupati e il 46,4 per cento della popolazione di età compresa tra I 20 e I 24 anni non riesce a trovare un lavoro. Il 43 degli egiziani vive al di sotto del livello di povertà, stabilito a 2 dollari al giorno.

A peggiorare le cose, il deficit del bilancio statale sta crescendo ed è giunto al 10,8 per cento del PIL, rendendo più difficoltoso il tentativo da parte delle autorità di soccorrere gli indigenti in questi tempi duri.

Il rallentamento dell’economia è acuito dal declino negli investimenti dall’estero, da una riduzione del turismo e dall’instabilità politica.

Le cause di questa calamità economica possono essere facilmente ravvisate nell’accumulazione di pessime politiche economiche, per non parlare della corruzione vera e propria e nella scarsa competitività. Il Global Competitiveness Report situa l’Egitto al 94° posto su 142 paesi esaminati. I consistenti sussidi, ad esempio, hanno creato un sistema estremamente inefficiente di distribuzione di pane e combustibile, creando scarsità e accrescendo l’insofferenza della popolazione nei confronti del governo. Il presidente Morsi aveva promesso di risolvere il problema nei primi cento giorni del suo governo, ma ciò non è avvenuto.

I problemi, tuttavia, non sono solo economici: gli errori politici del governo Morsi rappresentano un’ulteriore causa della precaria situazione egiziana. Quasi tutti gli individui scelti da Morsi come ministri, governatori e altre importanti cariche pubbliche provengono dai ranghi della Fratellanza Musulmana, suscitando così l’ostilità di diffida di un governo islamico. Morsi, inoltre, ha ampliato unilateralmente I propri poteri, ad esempio limitando la libertà di parola e di stampa.

La sconsideratezza economica e politica del governo Morsi ha fatto sì che perdesse la fiducia della popolazione egiziana. Cosa accadrà adesso, è difficile dire, ma se il prossimo governo non eliminerà I vincoli alla libertà individuale e alla libera impresa, se non ridurrà normative e sussidi, sarà destinato a fallire ugualmente.

Ali Masoud è docente di economia all’Università Sohag, in Egutto. Nouh el Harmouzi dirige il sito di notizie e analisi in lingua araba MinbarAlHurriyya.org, sostenuto dalla Atlas Network, ed è professore di economia presso l’Università Ibn Toufail di Kenitra, in Marocco.

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