28
Ott
2009

La paura tedesca e la retromarcia dell’FDP

Paura della libertà. Ludwig von Mises parlò addirittura di odio. Il capitalismo alle pendici del Reno è, da che mondo e mondo, la cartina di tornasole del modo di pensare tedesco. Il mercato non è cosa per ruvidi sassoni. Più sicurezza, meno libertà. Questo è il fil rouge che corre- pur con qualche lodevole eccezione- da Otto von Bismarck ad Angela Merkel. Ecco perché il successo dell’FDP alle scorse elezioni del 27 settembre non deve illudere l’ignaro lettore italiano. E ciò è tanto più vero oggi, alla luce dell’accordo di coalizione raggiunto lo scorso fine settimana tra CDU/CSU e liberali. 24 miliardi di sgravi fiscali “possibilmente dal 2011”. Annuncio positivo. Che però rimane un mero annuncio. Sul filo di quelli collezionati sul tema dal nostro Presidente del Consiglio. Come le tasse verranno tagliate non è chiaro. Di certo, tutto si tratterà fuorché di una rivoluzione copernicana. Non foss’altro che una delle premesse è il mantenimento della tassa di successione, alla quale verranno apportati soltanto alcuni ritocchi. La ferma opposizione dei Länder, contrari anche all’ipotesi di ripiego che li porrebbe in concorrenza fra loro nell’imposizione del balzello, ha frustrato le pretese del partito di Westerwelle, che puntava alla sua abolizione. L’amara uscita di scena di Hermann Otto Solms, vera e propria mente del programma economico dei liberali, testimonia tutto sommato la sconfitta dell’FDP. Sconfitta- checché se ne dica- incassata anche su altri fronti: dall’abolizione dell’obbligo di leva (solo accorciato), alla tutela contro i licenziamenti (nulla di fatto), passando per la riforma della sanità. Ai fini della realizzazione di quest’ultima, FDP, CDU/CSU si sono accordate finora solamente su un punto: la nomina di una commissione ad hoc. Il che sa molto di rinvio all’italiana. Il leader della CSU Seehofer ha perfino tagliato corto: “Il fondo unico rimane e sulla sanità nulla cambia”. Riuscirà il giovane neo-Ministro della Salute Philipp Rösler (FDP) a dire la sua? Le casse mutue potranno tornare a farsi concorrenza o il mostro burocratico e pianificatore del Gesundheitsfonds le fagociterà? L’abilità della signora Merkel di liquidare i colleghi di governo, assumendo le decisioni che le garantiscono una maggiore popolarità, abbiamo imparato ad osservarla negli ultimi quattro anni di gabinetto rosso-nero. Perciò, non è affatto escluso che come si è mangiata i socialdemocratici, così riduca alla marginalità anche i liberali. Le premesse ci sono tutte. Basta dare uno sguardo veloce ai volti scelti per il suo nuovo gabinetto giallo-nero: da Ursula von der Leyen a Thomas De Maiziére, da Norbert Röttgen a Wolfgang Schäuble (e ai sottosegretari socialdemocratici  alle Finanze che rimarranno in carica). Tutti politici fidati, che sapranno farle da spalla, isolando i pochi ministri dell’FDP. E così la continuità con il passato esecutivo emergerà in tutta la sua nitidezza: “l’FDP sarà la CDU, e la CDU sarà l’SPD”, si potrebbe riassumere. I sussidi per i figli –Kindergeld- verranno ancora aumentati (nonostante gli scarsi risultati ottenuti fino ad oggi), le condizioni per ottenere il sussidio di disoccupazione Hartz IV migliorate e i fondi -a pioggia- destinati all’istruzione generosamente fatti lievitare. Certo, l’unica cosa di cui ci si può rallegrare è l’archiviazione dell’ipotesi di un salario minimo generalizzato e l’introduzione di un contributo a carico dei lavoratori per favorire il passaggio ad un’assicurazione privata di assistenza per invalidi ed anziani (cosiddetta Pflegeversicherung). Ma da un governo che sulla carta avrebbe dovuto segnare un netto cambiamento rispetto ad undici anni di governo socialdemocratico, ci si sarebbe aspettato più coraggio. Ma in Germania ha vinto, come al solito, la paura: the German Angst, la definì a suo tempo Rainer Hank, editorialista della Frankfurter Allgemeine, ritornato in questi giorni con accenti di forte criticità sul Koalitionsvertrag appena siglato. L’FDP ha negato sé stessa. Impegnata com’era a scrollarsi di dosso l’accusa di essere un pericoloso manipolo di neoliberisti, il partito di Westerwelle ha calato le braghe. Delle proposte di riduzione della spesa pubblica formulate in campagna elettorale non se ne rintraccia manco mezza nel patto di coalizione. La stessa signora Merkel ha detto che “pensare di ristabilire equilibrio nei conti pubblici risparmiando, non ha senso”. Peccato. Invertire il senso di marcia sarebbe stato importante, tanto più in un momento come questo. La spesa pubblica tedesca negli anni non è mai diminuita. Al contrario, è sempre aumentata, anche nella scorsa legislatura, quando i cordoni della borsa avrebbero potuto essere stretti. Ma questa diffidenza nei confronti del taglio alle tasse, come ben spiega anche Alberto Mingardi sul Riformista, è tanto più curioso, se si considera che allorquando vi sono da aumentare le prestazioni sociali o i sussidi le riserve di esperti e politici sono tre volte meno pronunciate di quando si discute di lasciare in tasca ai cittadini una fetta più ampia del proprio patrimonio. Per diminuire le tasse, in Germania come altrove, non è mai il momento. La congiuntura non lo permette. I tagli non avrebbero necessariamente l’effetto di aumentare i consumi e, in tempi di crisi economica acuta, con le entrate fiscali in discesa, la Germania sarebbe condannata a deficit sempre più alti. Il che, tenuto conto del famoso freno ai debiti (alzi la mano chi ci crede davvero!) inserito di recente nella Legge fondamentale, non sarebbe consigliabile. Nessuno, a parte poche voci nel deserto, sembra ricordare che la Germania non ha un problema di entrate, bensì un problema di uscite. Mai come negli scorsi anni lo Stato tedesco ha potuto giovarsi di così tante entrate fiscali (nel 2008, in confronto a quattro anni prima, la Germania poteva contare su qualcosa come 268 miliardi di euro in più!). Eppure chiudere il rubinetto non è realistico, molti osservatori l’hanno pragmaticamente fatto notare. La classe politica non riduce volentieri il proprio potere di controllo sulla società, nè taglia volentieri i rami del proprio consenso. Tanto più se il politico in questione si chiama Angela Merkel. Il freno ai debiti inserito in Costituzione è quindi un libretto delle buone intenzioni, che si presta ad eccezioni ed interpretazioni di varia natura. Sulla Frankfurter Rundschau, quotidiano progressista, se ne chiedeva qualche giorno fa addirittura l’eliminazione. Il bilancio dello Stato non può essere paragonato a quello del cittadino medio, si è scritto. Idea che ricorre anche in un libello molto discutibile di Wolfgang Münchau, editorialista del Financial Times, tutto sommato ben disposto nei confronti di una maggiore spesa pubblica con funzione anticiclica. E allora? E allora è forse meglio finanziare il taglio delle tasse in deficit, piuttosto che passare ad un girone più doloroso dell’inferno fiscale.

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