30
Nov
2017

La lotta alla concorrenza fiscale di Margrethe Vestager

Due giorni fa, martedì 28 novembre, è ufficialmente iniziato il nuovo anno accademico dell’Università Bocconi. Oltre agli interventi di Mario Monti e del Rettore Gianmario Verona, la cerimonia d’apertura si è contraddistinta per il discorso programmatico di Margrethe Vestager, attuale Commissario europeo per la concorrenza. Come previsto, il discorso di Vestager ha assunto connotati estremamente politici: l’occasione è infatti servita per ribadire, ancora una volta, le linee guida della politica fiscale avviata da Bruxelles nel corso di questi ultimi anni.

Nello specifico, nel corso del suo intervento “bocconiano”, il Commissario Vestager ha fatto riferimento, in modo più o meno diretto, alle tre iniziative legislative principali promosse dalla Commissione negli ultimi 12 mesi: 1) la direttiva su una base imponibile consolidata comune per le società (Common Consolidate Corporate Tax Base, meglio conosciuta con l’acronimo di CCCTB); 2) la direttiva sui meccanismi di risoluzione delle controversie in materia di doppia imposizione a livello UE; e 3) la direttiva sulla riduzione delle imposte (Anti-Tax Avoidance) che considera i disallineamenti con paesi terzi.

Per quanto concerne la prima delle tre direttive sopra citate è giusto sottolineare che già un paio di anni fa era stata affossata dagli Stati membri. Presentata per la prima volta nel 2011, la nuova proposta, per una base imponibile consolidata comune per le società, è suddivisa in due direttive diverse, una che copre la base imponibile comune per le società (CCTB) e l’altra che copre la stessa CCCTB. Così facendo, la Commissione spera di attirare un maggiore consenso tra gli Stati membri. Tuttavia, i governi di Danimarca, Irlanda, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi e Svezia hanno già presentato obiezioni formali affermando che, così come la proposta del 2011, anche questa “doppia” iniziativa non rispetta il principio di sussidiarietà.

La CCCTB non è la riforma fiscale di cui l’Unione Europea avrebbe bisogno. Innanzitutto, se approvata entro la fine del mandato Juncker, una misura fiscale simile aggiungerà un ulteriore livello di regolamentazione ai già complicati ed intrusivi quadri internazionali, stabiliti per contrastare l’elusione fiscale. Come ricordano, ad esempio, sia il sindacato olandese dell’industria e dei datori di lavoro, sia il Parlamento britannico, i 15 punti programmatici, sviluppati nel contesto del progetto BEPS (Base Erosion & Profit Shifting) promosso dai paesi OCSE e dai paesi del G20, hanno già come obiettivo quello di introdurre un pacchetto di misure fiscali che monitori le pratiche di elusione dell’imposta sulle multinazionali, a livello globale. L’aggiunta di ulteriori e discutibili regole fiscali, all’interno di un quadro internazionale particolarmente articolato, metterà in una posizione di svantaggio tutti i paesi membri, soprattutto in termini di competitività rispetto al resto del mondo.

In secondo luogo, l’introduzione di una proposta simile richiederebbe la fusione di tutti i vari sistemi giuridici nazionali dell’UE, comporterebbe la creazione di un nuovo codice fiscale a livello Comunitario per le multinazionali, non risolverebbe i problemi di “transfer (mis)pricing” e metterebbe a rischio la sovranità fiscale degli Stati membri. Viste tutte queste problematiche di fondamentale importanza, la CCCTB appare solo una pessima proposta che finirà per punire i paesi europei maggiormente aperti al commercio internazionale e premiare i governi poco virtuosi.

Sebbene la proposta della Commissione non incida direttamente sull’aliquota delle imposte sulle imprese di un determinato paese, tutti gli Stati membri perderanno la propria libertà rispetto al modo in cui la base imponibile viene definita. Secondo uno studio condotto da Ernst & Young nel 2011 l’introduzione della CCCTB porterebbe ad enormi cambiamenti di riscossione: su 27 paesi europei (Croazia esclusa) gli unici tre Stati membri che otterrebbero dei veri benefici in termini di occupazione, investimenti diretti dall’estero e produzione sarebbero il Belgio, la Francia e la Spagna. Al contrario, tutti gli altri paesi non otterrebbero alcun vantaggio economico. Con l’adozione della CCCTB si arriverebbe dunque al paradosso di vedere un numero consistente di Stati membri aumentare o introdurre nuove tasse che permettano ai vari governi di recuperare le perdite accumulate.

Infine, per quanto riguarda le imprese, è altamente probabile che la riduzione dei costi amministrativi derivanti da una CCCTB venga subito compensata da un incremento dei costi aziendali interni. Una CCCTB obbligatoria rischia di cambiare il comportamento aziendale, incluso il luogo fisico dove aprire un’azienda. Inoltre una direttiva come quella proposta rischia di scoraggiare la crescita di grandi “campioni” europei. Rendendo le nuove regole obbligatorie per tutti i gruppi con entrate consolidate superiori a €750 milioni, molte imprese europee avranno un incentivo a non superare questa soglia limite. Ad esempio, una volta raggiunto questo livello di entrate, le imprese in questione perderanno l’opportunità di accedere a varie agevolazioni fiscali, come i cosiddetti “patents and innovation boxes”. Di conseguenza, risulta essere abbastanza facile ipotizzare che i costi di transizione al nuovo sistema fiscale europeo saranno molto elevati.

Alla luce di tutte queste nostre considerazioni, la domanda sorge spontanea: chissà se il Commissario per la concorrenza, Margrethe Vestager, abbia intuito i pericoli derivanti dall’introduzione di una base imponibile consolidata comune per le società? La nostra speranza è che quantomeno i docenti ed i molti studenti presenti alla cerimonia li abbiano percepiti.

 

 

 

 

 

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