22
Apr
2016

Se la crescita economica fosse come la crescita umana

Qualche tempo fa ricordo di aver ascoltato per radio la proposta di una parlamentare: sostituire alla crescita economica un obiettivo di “a-crescita” e introdurre politiche per promuoverlo. La sua argomentazione consisteva in una idea molto diffusa: “le risorse del pianeta sono finite e quindi non possiamo crescere all’infinito”. Questa convinzione è anche condivisa da coloro che inseguono il contrario della crescita – la decrescita. Personalmente ho anche letto qualcosa di Serge Latouche e apprezzato diversi fautori della decrescita ai quali, come me, piace la natura, coltivare il proprio orto e trascorrere tempo in convivialità.

Voglio però essere chiaro sul mio punto di vista: la crescita è lo scopo della vita. Ciò che non cresce muore. L’universo stesso si espande. Un’economia senza crescita è un’economia morta.

D’altro canto, se io non metto in discussione la necessità e l’auspicabilità della crescita economica, non escludo che siano utili riflessioni sul significato di crescita.  Per questo ho scritto le righe seguenti partendo dal presupposto che riflettendo sull’Uomo si possa capire l’Economia e che dietro queste diatribe economiche si nascondano domande più profonde.

Un aspetto che dimentichiamo nei nostri dibattiti è collegato con la differenza tra crescere e invecchiare. Ho da poco terminato un libro in cui  il pastore americano Rick Warren spiega, da una prospettiva spirituale, come non siano la stessa cosa. Nella nostra società siamo invece abituati a misurare la crescita di una persona a livello anagrafico e la sua maturità in base all’aver accumulato un certo numero di anni, solitamente diciotto. Eppure limitare la nozione di crescita ad una questione di anni da raccogliere, come se fossero i punti del supermercato, è in contrasto con l’evidenza quotidiana: quante volte incontriamo persone invecchiate ma non cresciute e persone che sono cresciute prima di invecchiare?

Il creatore di Netflix ha scritto che il primo requisito che si aspetta dai suoi dipendenti è di essere un adulto responsabile; evidentemente è una caratteristica non scontata. Il documento in cui l’ha scritto, The Netflix culture code, è considerato ora un punto di riferimento per le aziende che aspirano a creare il migliore ambiente di lavoro e, a detta di Sheryl Sandberg (COO di Facebook) è “uno dei più importanti documenti mai usciti da Silicon Valley” con attualmente più di 14 milioni di visualizzazioni. Per Netflix le caratteristiche di un “rara persona responsabile” sono: self motivating, self aware, self disciplined, self improving, acts like a leader, doesn’t wait to be told what to do, picks up the trash lying on the floor [la traduzione in italiano sarebbe, letteralmente: auto-motivata, cosciente di sé, auto-disciplinata, auto-migliorante (capace di migliorarsi), si comporta come un leader, non aspetta che gli si dica cosa fare, raccoglie la spazzatura dal pavimento].

E se la crescita economica fosse come la crescita umana? Composta cioè di una serie di variabili difficilmente misurabili che però fanno la differenza?

In “GDP : a brief but affectionate story” Diane Coyle solleva questo dubbio e riflette sull’adeguatezza del PIL come strumento per misurare la crescita economica. Oggi, infatti, “l’economia è un’entità intangibile e non primariamente fisica”. Le statistiche del PIL sono state introdotte in un contesto economico nel quale si producevano beni fisicamente misurabili, come tonnellate di acciaio e di grano. In un’economia basata su servizi, innovazione e prodotti più intangibili, le misure quantitative diventano meno appropriate. Da questo punto di vista, Coyle osserva come la nostra percezione della grande stagnazione globale potrebbe essere peggiorata da un gap sempre più vasto tra il miglioramento del benessere economico e la nostra capacità di misurare questo miglioramento. Internet ne è l’esempio lampante: poiché gran parte del suo contenuto è gratuito non possiamo misurarne il valore in base a quanto i consumatori lo pagano. Eppure il valore di tutto questo contenuto a costo zero contribuisce ad un netto miglioramento del surplus del consumatore.

Se la crescita economica fosse come la crescita umana, consisterebbe, dopo aver accumulato una serie di compleanni e di centimetri di spina dorsale, anche in un insieme di fattori soggettivi e non oggettivamente misurabili. Per diventare adulta, in altre parole, alla nostra economia non basta crescere in reddito, ma anche in  responsabilità. Responsabilità, indipendenza, auto-sufficienza sono le caratteristiche con cui Wikipedia descrive, da un punto di vista legale, l’età adulta. Da questo prospettiva credo che, sia che vogliamo crescita o de-crescita, tutti vorremmo un’economia con più responsabilità e auto-determinazione.

Resta inteso che per avere crescita economica, spiega Paul Romer nella Concise Encyclopedia of Economics, dobbiamo cambiare il modo di fare qualcosa creando più valore.

Economic growth occurs whenever people take resources and rearrange them in ways that make them more valuable.

[La crescita economica si verifica quando le persone prendono delle risorse e le ri-organizzano in modi che le rendono di maggior valore.]

Siccome il valore è una variabile soggettiva, la crescita economica dipende, oltre che dalla nostra inventiva, anche da ciò a cui noi diamo valore. Come misureremo la crescita economica in un Paese dove la generazione di ieri sognava di possedere un automobile, e la generazione di oggi sogna  di non possederla? Come cresce l’economia quando la Silicon Valley segue il modello organizzativo di un’azienda come Netflix e riconosce valore a aspetti come responsabilità, consapevolezza e disciplina?

Queste sono domande di non facile risposta; tra le poche certezze che abbiamo, possiamo aspettarci che la crescita economica futura sarà diversa da quella che ha caratterizzato il ventesimo secolo, ma potenzialmente infinita e sicuramente auspicabile. Forse non ci troveremo d’accordo su alcuni termini, ma in tanti concordiamo sul fatto che l’economia in cui viviamo, per diventare adulta, libera e responsabile, deve ancora crescere molto.

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5 Responses

  1. Gianfranco Levati

    Un demente che parla di a-crescita è il prodotto di due fattori: la nostra cultura contadina e l’incapacità di riorganizzare le risorse dovuto all’approccio contadino.
    Qui, e gli scandali delle abitazioni di politici e prelati lo confermano, siamo ancora legati alla “roba” e al suo controllo. Non siamo il grado di capire il valore dell’intangibile perché non si misura in are.

  2. FR Roberto

    Condivido in pieno lo spirito dell’articolo. Crescita e miglioramento sono obiettivi naturali dell’essere.
    A volte bisogna solo capire che crescere e migliorare vuol dire abbandonare una cosa per farne un’altra.
    Voglio anche fare una piccola considerazione sui proclami alla Netflix: ne conosco tante di aziende che hanno slogan stupendi, ma che hanno un esclusivo valore di marketing, e che nella pratica vengono puntualmente disattesi.

  3. Fabrizio

    Condivido Roberto; l’etica è diventata un oggetto componente del marketing. Viene usata per attirare l’attenzione di persone distratte e superficiali su altri oggetti ai quali si intende attribuire un valore superiore al reale. I valori etici fondamentali, quelli cui corrispondono diritti realmente fondamentali, vanno quindi salvaguardati dall’inquinamento di valori etici “ad hoc” creati per supportare strategie politiche o commerciali.

  4. Claudio

    Argomento molto intrigante. Mediamente le condizioni quotidiane migliorano molto durante la vita di ciascuno, se poi parliamo di miglioramento da una generazione all’altra, l’incremento è addirittura esponenziale; ma i numeri ci parlano solitamente di un deprimente zero virgola..
    A Fabrizio propongo di riflettere sul fatto che l’etica, fin dalle origini dell’umanità, è stato un mezzo per standardizzare i rapporti tra sconosciuti, per ridurre gli attriti, per scongiurare gli scontri, per facilitare la collaborazione, per fluidificare gli scambi… La mia opinione è che mercato ed etica, non solo siano nati e cresciuti assieme, ma da un certo punto di vista, sono da sempre l’uno il prodotto dell’altra.

  5. Lorenzo Vascotto

    Interessante e condivisibile. Penso che l’attribuzione di valore aggiunto sia decisiva, ma la vera questione sia come comunicarla in modo che sia percepita, altrimenti si rischia che imprese e mercato viaggino su 2 strade parallele che non si incrociano. Come far capire che il mio prodotto/servizio possiede valore aggiunto? Come farlo percepire in modo autentico?

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