13
Ago
2009

Il terrorismo fiscale serve solo a far decollare lo scudo

Non solo sono integralmente d’accordo con quanto oggi ha ottimamente scritto Alberto Mingardi. Purtroppo, di mio offro una lettura ancor meno incoraggiante, delle notizie odierne sul fronte fiscale. Non solo una vera opposizione al “terrorismo” degli accertamenti tributari non c’è, né sul terreno politico né su quello mediatico, e nemmeno tra le categorie visto che non si è riuscititi a convincere neanche Confcommercio e tanto meno Confartigianato e le altre organizzazioni artigiane – che storicamente stanno “a sinistra” – a provare almeno a organizzare una seria campagna contro le promesse mai mantenute per ricondurre gli studi di settore alla natura di puri strumenti sintetici indicativi, invece che a clave nelle mani dell’amministrazione tributaria per accertamenti in cui è lo Stato a decidere cifra d’affari realizzata, imponibile teorico e imposta minima concretamente dovuta. Io penso di peggio.

La dichiarazione odierna del direttore dell’Agenzia delle Entrate, Attilio Befera, sui 170 mila fascicoli d’indagine aperti a carico di cittadini italiani sospetti di evasione fiscale all’estero, inquadra in una strategia più ampia la notizia di ieri, dell’inchiesta aperta sull’evasione degli eredi Agnelli. Quando si annunciano di punto in banco tali cifre di massa, siamo in presenza di puro terrorismo di Stato. Per esercitare la massima pressione psicologica possibile su tutti i contribuenti, al fine di indurli a fare il massimo utilizzo possibile dello scudo fiscale già approvato in Parlamento. È la faccia cattiva per indurre all’oblazione. La minaccia di guai per massimizzare l’incasso pubblico. Il tintinnio di manette di un debole che si fa forte per qualche mese, solo perché nel frattempo con l’altra mano ti propone la sanatoria. Una sanatoria che, naturalmente, per chi l’accetta da quel momento significa piegare il capo una volta per sempre a che l’imponibile, prima costituito in altri e più favorevoli ordinamenti, si prostri  invece alle pretese esose del nostro scombiccherato ordinamento.  Questa conseguenza – l’assoggettamento di massa a prelievi ingiusti secondo il diritto naturale, per quanto legittimi dal punto di vista del diritto positivo –  è più grave di ogni per quanto deprecabile evasione fiscale: perché spezza alla radice la speranza di una qualunque futura pressione dal basso perché l’ordinamento si ravveda, e dunque comprime l’orizzonte di un possibile riscatto futuro, in nome della libertà.

La ragione per la quale chi la pensa come noi “deve” essere ostile ai condoni non è affatto quella sbandierata dal mainstream statalista, secondo la quale le reiterate estinzioni contrattate dei reati di evasione attentano alla credibilità ordinaria dell’ordinamento, e dunque al massimo gettito ottenibile dalle sue alte aliquote marginali vigenti. Al contrario, poiché per noi il nemico sono proprio le alte aliquote e non il loro ordinario e più che prevedibile insuccesso, i condoni sono da avversare perché costituiscono un temporaneo riallineamento d’efficienza di un sistema che ordinariamente e costitutivamente è invece inefficiente, “proprio” perché iniquo e nemico della crescita individuale e sociale. Purtroppo, a tutto ciò Tremonti è indotto dalla necessità di preservare i saldi di bilancio. Ma per chi la pensa come noi i 170mila sotto indagine, come accordi tipo quelli di UBS con l’IRS americano, disegnano solo un mondo in cui la libertà fiscale è in via di paurosa e rapidissima contrazione. E persino notizie come quella domani lanciata dall’Espresso, sull’estendersi dell’indagine Brontos per Intesa e Unicredit – ce ne siamo occupati – a una lunghissima serie di banche e assicurazioni italiane per accertare la sottoscrizione di derivati a fini di elusione fiscale, rischiano di dover essere considerate con spirito diverso dall’entusiasmo iniziale. È l’ordinamento in quanto tale a essere iniquo, perché consente alle imprese più finanziarizzate e a più esteso perimetro societario di massimizzare crediti e deduzioni fiscali tanto che Unicredit paga l’11% di tax rat reale nel 2008 mentre Giannino il 57%. Ma se invece delle norme fiscali da riscrivere il punto diventa quello di impedire coattivamente a chiunque di utilizzare prodotti e servizi finanziari globali per abbassare le pretese d’imposta della Repubblica italiana, ecco che ci risiamo. Oltretutto, con l’aggravante che al singolo contribuente risulterà assai più difficile se non impossibile, continuare ad avvantaggiarsi della finanza globalizzata che è un potente strumento di concorrenza fiscale al ribasso. Mentre invece per banche e società di capitali ciò continuerà a essere pane quotidiano, per accrescere gli utili.

You may also like

“Paradise Papers”: dov’è lo scandalo?
Quer pasticciaccio brutto dell’obbligo di Pos
La Sfida di Luca Ricolfi e l’economia politica del declino
Google, la concorrenza fiscale e l’orgoglio di essere capitalisti.

2 Responses

  1. Sorry, ma non capisco.
    Gentilissimo Dr. Giannino,PF, mi aiuti a capire.
    Ci sono 200G€ di imponibile annuo evaso, che con una tassazione del 35% valgono 70G€ / anno di mancati introiti.
    In 30 anni sono “evaporati” 70*30=2,1T€.
    I governativi “auspicano” di far ritornare alla chioccia 100G€, dei quali 5 verranno divorati subito da Giulio….visto che le entrate, causa congiunzione, latitano.
    Ma i 2T€ dove sono spariti ??? sono materia oscura ? sono bosONI di Dio ??? sono intersezioni di N-dimensionali col nostro mondo ???.
    Con l’ausilio di Trilussa avremmo 170.000e che si sono mangiati circa
    0,6M€ a cranio. Ma si sono abbuffati tutti questi polli in un anno od in 30 ?
    ….Di sicuro i governativi non si sono fatti mancare caviale e champagne tutti i giorni che Dio manda in terra !!!!…..
    Secondo me tutti questi polli volano a 80.000 piedi come le U2, e non riusciranno ad abbatterne molti, neppure con lo scudo di Ronald-George.
    Sicuramente cadra’ qualche agnello, SOLO perche’ si e’ autoimmolato, in palese contraddizione con il teorema di Sallustri.
    Con immarcescibile deferenza:: Martin-Lutero

  2. addendum:
    Sorry, ma non capisco.
    Gentilissimo Dr. Giannino,PF, mi aiuti a capire.
    “Unicredit paga l’11% di tax rat reale nel 2008 mentre Giannino il 57%”, Lei asserisce.
    Ma quel 57% e’ comprensivo di ICI, di tasse sui carburanti, e del 20% di IVA che paga sull’aria che respira e su tutto quello che acquista, michetta esclusa che “al limite” porta sulla bilancia solo un 4% che non pesa nulla nei ns. conti.
    Mi perdoni ma sono solo un confuso eretico che chiede appena di imparare a far di conto. Anche perche’ non mi e’ per nulla chiaro quanto plasma mi succhia l’immonda bestia.(NDR. sangue da donare non ne ho+).
    Chiedo una cosa ground-ground ke possano usare tutti tipo:
    Irpef= circa 27%
    IVA= circa 20%
    ICI= circa 1%
    carburanti= circa 5%
    tasse eredita’/30anni = circa 2%
    Insomma, spiegando con semplici formule, confido nel suo talento per aiutare anche noi poveri mortali come contabilizzare le dazioni governative.
    As usual, con fede devota:: martin-lutero

Leave a Reply