4
Gen
2013

Il Punto G dell’antitrust

Ieri la Federal Trade Commission americana ha chiuso la sua indagine contro Google, assolvendola dalle accuse di violazione del diritto della concorrenza.

Si  è concluso così uno capitolo della saga che vede schierate contro Google le Autorità per la Concorrenza di numerosi paesi, capitanate dall’Unione Europea. Il più famoso (possiamo dire migliore, visto che è quello liberamente scelto dalla maggior parte degli utenti?) motore di ricerca della rete è accusato da più parti di integrare all’interno dei suoi risultati i link ai propri servizi come google maps, spostando in basso i cosidetti risultati organici, ovvero dieci link blu a pagine prodotte da altri.

Che è poi quello che dovrebbe fare un motore di ricerca, si potrebbe rispondere. Ed era, in effetti, quello che faceva Google fino al 2007: trovare i dieci link più rilevanti rispetto alla ricerca digitata, in base ad un algoritmo che considerava i link alla pagina come voti sulla qualità di questa.

Però il concetto di “rilevante” è complesso e cambia da persona a persona: se io scrivo Parigi, potrei cercare il sito del comune, un albergho, una cartina della città, l’ultima lonely planet, delle immagini da inserire in un post. Sta al motore di ricerca interpretare automaticamente cosa io stia cercando in quel preciso momento e darmi la risposta migliore.

Per farlo, Google cambia ogni anno centinaia di volte il suo algoritmo. Nel 2007, per l’appunto, ha introdotto l’Universal Search, ovvero la possibilità di mostrare non solo i primi dieci link più votati, ma anche cartina (google map), immagini, indicazioni pubblicitarie di alberghi (segnalando molto chiaramente che non si trattava di link blu). Ma risultati fra le cartine, le immagini, gli alberghi e i libri erano già offerti da alcuni concorrenti di Google, motori di ricerca verticali, che si sono visti declassere o spostare di pagina. E che se non sei su (la prima pagina di) Google sulla rete non esisti, hanno argomentato davanti alle autorità, quindi inserendo i propri risultati verticali Google stava negando una essential facility, una struttura necessaria per entrare nel mercato, eliminando di fatto i suoi concorrenti.

L’Unione Europea ancora ci sta riflettendo, se questo comporti o meno una violazione della concorrenza, mentre l’FTC ha concluso che il danno ai concorrenti è giustificato da un miglioramento del servizio.

E finchè aspettiamo la decisione dei nostri regolatori, usiamo questo caso per riflettere sulla sempre più palese tensione fra il diritto della concorrenza e la concorrenza stessa nei mercati digitali.

I mercati digitali sono caratterizzati da campioni di grandissime dimensioni, a causa degli effetti di rete, ma anche da un tasso di obsolescenza piuttosto rapido del monopolista. Questo succede perchè i beni digitali vengono forniti spesso ad un prezzo prossimo allo zero, e perchè i switching costs (ovvero, il costo di passare al concorrente) sono molto più bassi su internet – Competition is just a click away, nelle parole della stessa Google. Proprio in virtù di questa iper-schumpeteriana concorrenza fra titani, il monopolista deve essere virtuoso e continuare ad innovare, pena l’esclusione dal mercato. L’universal search di Google (così come la personalizzazione attraverso Search Plus o l’integrazione di nuovi servizi) non è una pratica anticoncorrenziale, è esattamente il modo in cui Google può competere sulla rete: fornendo prodotti migliori dei suoi concorrenti.

La prova? I suoi concorrenti, anche quelli che fanno parte della cordata di querelanti, fanno esattamente come Google.

Verde: risultati organici; Giallo: risultati verticali; Rosso: pubblicità

Verde: risultati organici; Giallo: risultati verticali; Rosso: pubblicità

Ma Google è dominante, ed i suoi competitors no: quindi anche se in America ha prevalso il buon senso, in Europa potrebbe prevalere la dottrina della responsabilità speciale del monopolista, a cui non è permesso di competere al suo meglio.

È questo dunque il punto G del diritto della concorrenza in mercati altamente innovativi: punire, in base a modelli regolatori superati, un monopolista proprio perché innova è compete. I monopolisti fanno paura, ai consumatori e ai regolatori. Ma quando il rischio della regolazione è quello di peggiorare  i servizi al consumatore – nel nostro caso, riportando Google indietro di 5 anni di innovazione! – pur di proteggere i concorrenti, allora è il caso di fermarsi un secondo a riflettere su quale sia la vera funzione del diritto della concorrenza.

Come ha fatto ieri l’FTC.

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5 Responses

  1. Luca

    Pur non essendo un esperto della materia, questi argomenti mi convincono poco – che sono quelli che si leggono anche sull’Economist e che piacciono agli avvocati di Google e C.. Sappiamo come è andata con Microsoft: monopolio, e poi “crollo” con l’arrivo di nuova tecnologia. Ma non sappiamo quale varietà di soluzioni – migliori – potevano trovarsi sul mercato se si fosse permessa la concorrenza: quel poco che è sopravvissuta – MacOS – era decisamente superiore. Ma ragioniamo un po’. Non si possono avanzare gli stessi argomenti per difendere Trenitalia? O Alitalia? Sarà il tempo a batterli, non si possono riportare indietro, si danneggia la collettività a limitarli. Come se, allora come oggi, la concorrenza potesse essere un optional, ora – come prima del crollo dei subprime o di qualche altra bolla – che il mondo è radicalmente diverso. La concorrenza fa sempre bene, i monopoli fanno male a tutti, a consumatori – compreso quello arrogante e distruttivo di Google. Non si può essere a favore del mercato a giorni alterni, o industrie, alterne.

  2. Claudio

    Luca :
    Non si possono avanzare gli stessi argomenti per difendere Trenitalia? O Alitalia?

    NO. Tra le tante risposte che potrei dare: è come se si obbligassero le due precedenti a dare gli orari e i costi della concorrenza.

  3. giovanni carboni

    Bene, però non c’è bisogno di scrivere competitors o competitori per dire concorrenti, che è l’esatta traduzione

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