10
Gen
2013

Acqua all’arsenico, il fallimento della gestione pubblica del servizio idrico

L’acqua pubblica non è salubre come si può credere. Dal 2003, 13 regioni italiane hanno chiesto deroghe alle soglie massime fissate a livello europeo di boro, cloriti, cloruri, fluoro, magnesio, nichel, nitrati, selenio, solfato, trialometani, tricloroetilene, vanadio. Il 31 dicembre 2012, scaduta la terza deroga ai limiti massimi di arsenico e floruro, fissati a 10 microgrammi/litro per l’arsenico e a 1,5 milligrammi/litro per il fluoro, in alcuni comuni della provincia romana (Velletri, Lanuvio e Civitavecchia) e in molte località della Tuscia sono scattate le prime ordinanze e i primi paletti all’uso dell’acqua erogata.  La luce in fondo al tunnel è ancora lontana: si prevede che gli impianti di dearsenificazione da parte di Talete, la società interamente partecipata dagli enti locali del viterbese, non saranno ultimati prima del 2014. Di recente la candidata di Fare per Fermare il declino alla presidenza della regione Lazio, Alessandra Baldassari, ha proposto il ricorso ad una revoca e riaggiudicazione della concessione se i tempi non vengono debitamente abbreviati.

L’esposizione all’arsenico contenuto nell’acqua trasportata nella rete idrica di alcune aree del Lazio può provocare patologie anche gravi. Uno studio del Dipartimento di epidemiologia del Servizio sanitario della regione Lazio pubblicato ad aprile 2012, analizzando i dati rilevato dal 2005 al 2011, ha rilevato, nei comuni dove la concentrazione di arsenico è superiore a 20 microgrammi, una maggiore mortalità da tumori del polmone e della vescica, per ipertensione arteriosa, malattie ischemiche del cuore e per diabete. Aumenta poi in queste aree l’incidenza di interventi di Bypass aortocoronarico.

Diversa la situazione di Latina, dove il pericolo sembra rientrato. La società Acqualatina spa lo scorso 28 dicembre ha fatto sapere che, “nonostante mille problematiche, tanto tecniche quanto burocratiche e finanziarie” la società è riuscita “a garantire il rispetto di quanto stabilito dall’ultima deroga della Comunità Europea”.

In dieci anni, non sono stati ancora completati gli investimenti necessari a garantire gli standard qualitativi e sanitari richiesti a livello europeo.

Vediamo chi sono i soggetti che avrebbero dovuto provvedere a dotare il territorio delle infrastrutture di depurazione nelle diverse province del Lazio. Il quadro che se ne ricava è articolato, ma possiamo trarre una correlazione tra l’incidenza della presenza del pubblico e l’inefficienza con cui sono stati portati avanti gli interventi richiesti.

Partiamo dalle province “virtuose”, che da più tempo rispettano gli standard di qualità europei.

L’ATO5 di Frosinone l’unico ambito territoriale laziale in cui il servizio idrico è stato affidato nel 2003 al Gestore Unico previa gara di concessione a terzi. Il servizio è gestito da AceaATO 5, partecipata da Acea Spa, FRAMA, AMEA, Consorzio Cooperative Costruzioni e ISPA Srl.

Quanto all’ATO 3, altro ambito territoriale, coincidente con la provincia di Rieti, non interessato dall’emergenza, non è stato ancora individuato il Gestore Unico. Il capoluogo è servito da una rete idrica costruita nel dopoguerra dalla privata Crea Spa, che però negli anni Ottanta è stata accorpata in una società a capitale misto, SOGEA Spa (51% del Comune di Rieti, 49% di Crea Spa).

A Latina si è fatto ricorso, in passato, alle deroghe ai limiti di arsenico. La gestione del servizio è affidata ad Acqualatina, società per il 51% pubblica e per il 49% in mano alla società privata Idrolatina Srl. Gli azionisti sono Compagnie Generale des Eaux, che detiene il 96,607% di Idrolatina Srl, EH Spa che detiene lo 0,1%, SIBA, in possesso dello 0,1%, AFIN spa che detiene l’1,916% e EMAS Ambiente Srl in stato di liquidazione che detiene l’1,277% del capitale sociale. Gli enti locali esercitano il controllo sulla società e quindi nella fissazione delle tariffe e nella direzione degli investimenti. Le dinamiche di mercato non hanno deciso il soggetto affidatario, ma solo i privati che potevano avere una partecipazione sulla società a controllo pubblico.

A Roma, dove si è dovuto provvedere all’invio di autobotti per approvvigionare i 3 mila cittadini di Velletri, i circa 2 mila abitanti di Lanuvio e i residenti nella zona di Civitavecchia Nord il servizio idrico è gestito da Acea Ato 2. Anche qui i comuni hanno il controllo della società a cui il servizio è stato affidato senza gara; i privati fanno da contorno e si limitano a garantire l’efficienza dell’amministrazione della società.

Nel viterbese, la provincia più colpita dall’emergenza anche per le origini vulcaniche di una parte del suo territorio (comuni, in ogni caso, a zone come i colli albani, parte delle province di Roma e Latina), il servizio, come dicevamo, è erogato da Talete Spa, società interamente partecipata da comuni e province. Le tariffe pagate dai viterbesi sono in media con gli standard nazionali: 271 euro per anno a famiglia contro i 290 euro pagati mediamente dagli Italiani.

Al costo dei consumatori si somma quello sostenuto dai contribuenti. Nel 2011 il disavanzo di Talete ammontava a 900 mila euro e il debito a 7,5 milioni di euro. Una pari cifra è stata erogata dal 2009 al 2011 dalla Regione per tenere a galla la società.

Ma come si comportano i privati quando si tratta di decidere sulla realizzazione di opere utili alla propria salute?

Il consorzio privato Colle Diana, centro residenziale ubicato a Sutri, in una zona collinare di origine vulcanica, comunicava ai suoi residenti lo scorso 16 marzo 2012 il corretto funzionamento dell’impianto di dearsificazione realizzato autonomamente a loro spese. L’acqua portata all’ingresso dalla rete pubblica conteneva un quantitativo di arsenico pari a 30 microgrammi/litro. Nell’acqua in uscita dall’impianto pagato dai residenti la sostanza era presente in misura inferiore ai 2 microgrammi/litro.

Sempre a Sutri, nel quartiere Fontevivola destino vuole che il segretario del consiglio di amministrazione sia anche sindaco del comune. Non fidandosi della pubblica Talete, né della classe politica che di fatto la controlla (e di cui egli stesso fa parte) ha convinto i residenti a realizzare un dearsenificatore privato.

In entrambi i casi i cittadini, già gravati dalle tariffe applicate dalla società pubblica e dai tributi regionali malamente diretti per realizzare opere pubbliche, hanno accettato di metter mano ai propri portafogli per realizzare impianti per compensare le mancanze della gestione pubblica del servizio idrico.

Il fallimento della gestione pubblica confermano gli argomenti di chi, come l’Istituto Bruno LeoniLibertiamo e il comitato Acqua Libera Tutti, presieduto da Oscar Giannino, ora presidente di Fare per Fermare il declino,

denunciava la demagogia dei referendari e ammoniva sull’importanza di 1) una regolazione che incentivasse la realizzazione delle opere necessarie a evitare sprechi e approvvigionare i consumatori di acqua salubre; 2) la necessità di indire, di regola, gare pubbliche e trasparenti perché il servizio idrico sia affidato al soggetto capace di investire e prestare il servizio al costo minore per consumatori e contribuenti.

Occorre ristabilire correttamente i ruoli: il pubblico deve vigilare e dettare le regole. Il privato deve “guadagnarsi” l’affidamento del servizio e la remunerazione del capitale: in primo luogo,realizzando le opere necessarie alla salute del cittadino e alla sostenibilità del settore nel lungo periodo; tenendo quanto più bassi posibili i costi di gestione e le tariffe per i consumatori. Finché l’operatore è vigilato dallo stesso soggetto che ne nomisa i vertici secondo criteri di affiliazione politica, la gestione del servizio idrico farà acqua da tutte le parti.

11 Responses

  1. jack sayan

    Per un confronto più completo si dovrebbero considerare anche i risultati nelle gestioni private e nelle aziende di gestione pubblica con strumenti di tipo privato.
    Poi, un giorno qualcuno dovrà spiegarci dove vadano a finire le tasse dei contribuenti se tutti i servizi sono stati privatizzati.

  2. gio

    Questa è l’equazione prima le aziende private inquinano aria suolo e acqua poi il pubblico dovrebbe bonificare poi una volta bonificato il disastro privato fatto accumulando utili pazzeschi il pubblico dovrebbe svendere al privato servizi indispensabili per i cittadini come l’acqua ,
    qui non serve un privato per far funzionare la distribuzione dell’acqua ma il rispetto delle regole e persone preparate e non cooptate da partiti politici ai vertici delle aziende gestite dal pubblico.

  3. Willy

    Articolo fazioso come pochi, IBL dovrebbe vergognarsi di pubblicarli. Ogni servizio che sia stato privatizzato in Italia, o gestito con criteri privatistici, a fronte di consistenti e spesso esagerati aumenti dei costi per gli utenti non ha portato a nessun miglioramento del servizio: per restare nell’area romana, basti pensare all’autostrada dei parchi: chi come me la adopera da 20 e più anni dall’Aquila a Roma sa bene di cosa parlo.
    Il miglior servizio di pubblica utilità per i cittadini è, teoricamente, quello a gestione interamente pubblica senza malaffare. Infatti un privato deve pagare un canone, deve coprire gli oneri di gestione e deve pure farci degli utili. Il servizio pubblico deve coprire gli oneri di gestione (amministrativi e tecnici) e stop. Poi c’è il malaffare che fa lievitare i costi, ma sfido chiunque a dimostrare che il malaffare sarebbe assente se subentrassero i privati. Sta allo Stato rimediare? Benissimo, a malaffare zero e parità di servizio erogato la gestione privata non sarebbe la più economica per i cittadini.
    In realtà la gestione privata di servizi di pubblica utilità concessi per forza di cose in monopolio è un comodo mezzo per lucrare utili senza correre il rischio d’impresa che, dal punto di vista etico, è forse il maggiore presupposto che giustifica gli utili.
    Tornando all’acqua, mi pare che siano veramente pochi i casi in cui non si è speculato sulla pelle dei cittadini.

  4. carlo alberto

    cosa c’è di fazioso nell’articolo? viene solo evidenziata una correlazione tra la % di partecipazione di enti pubblici nelle società che gestiscono il servizio idrico nei vari comuni e la pericolosità della situazione dei livelli di arsenico rilevati… sono fatti e i fatti non sono faziosi…

  5. Willy

    @carlo alberto
    Semplice, prende i dati di fatto (diamoli per buoni, come probabilmente sono) di “alcune” gestioni pubbliche, senza riportare cosa succede nelle gestioni private, per arrivare a sostenere la necessitò di privatizzare il ciclo di gestione delle acque. Se c’è arsenico, sia il risanamento sia fatto pagare a chi ha inquinato (vogliamo scommettere che è un privato?). Da qui a parlare di fallimento della gestione pubblica, come enunciato nel titolo, ce ne corre!
    Ho pur chiesto che si portino ad esempio casi in cui la gestione privata ha comportato un moglioramento complessivo (prestazioni/prezzo) per i cittadini. Così è fin troppo facile dire che “privato è meglio”.

  6. Luciano

    Riguardo beni comuni e servizi pubblici i cittadini si sono espressi in modo inequivocabile attraverso i referendum. Gli elettori hanno rifiutato in modo netto privatizzazione e deregulation. Sonoramente battute le politiche liberiste. Un grande risultato.

  7. carlo alberto

    la gestione di acea è in mano pubblica praticamente, il pubblico in molti anni non ha fatto gli investimenti per sistemare la situazione di arsenico (non è un problema di questi giorni, ma è da diversi anni che è noto). e si vuole sostenere che anche in questo caso la colpa sarebbe di un fantomatico privato inquinatore? assurdo… se la depurazione è inesistente o insufficiente ed è gestita da una società a maggioranza pubblica o quasi totalemente partecipata dal comune di roma la colpa di chi è? non si vuole ammettere che in questi casi citati la gestione pubblica è stata disastrosa?

  8. Willy

    @carlo alberto
    Si, è stata disastrosa. Io però desidererei che mi venisse portato qualche esempio in cui la gestione affidata ad un privato ha comportato un mioglioramento complessivo per i cittadini. Cittadini, si badi bene, non “utenti”. Mi pare che attualmente in Italia non ci siano società private in grado di sostenere le immani spese necessarie al risanamento della distribuzione idrica e alla depurazione: le vogliamo affidare a Veolia, Suez ecc.? Queste vorranno giustamente che i capitali investiti vengano remunerati: dove andranno a finire i miliardi di utili facilmente preventivabili? Ad aggravare la nostra bilancia dei pagamenti. Sarei lieto di sbagliarmi, ma temo di no.

  9. italico

    Sono d’accordo con il lettore Willy, basti citare l’esempio del comune di Parigi, dove il Comune dalla disperazione ha dovuto riprendere in mano la gestione dell’acqua. dopo la pluriannuale scellerata gestione privata.Gestione pubblica efficace , combattendo il malaffare .e’ la via giusta, secondo me.

  10. Angelo

    Vorrei segnalavi che i prelievi dell’ASL fatti questa settimana, nell’acqua distribuita nei comuni della provincia di Latina interessati dall’arsenico, hanno confermato quanto sostenuto da Acqualatina, e cioè un rientro all’interno dei parametri di legge del valore dell’arsenico

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