24
Feb
2010

Il pensiero unico e la difesa del suolo

Riceviamo da Giordano Masini e volentieri pubblichiamo

All’indomani della frana del monte Toc, che il 9 ottobre 1963 precipitò nel lago a monte della diga del Vajont generando un onda che sorvolò la diga stessa e distrusse la città di Longarone (le vittime furono 1917), in pochi furono disposti a riconoscere come all’origine della tragedia ci fossero pesantissime responsabilità umane. Ci fu bisogno di un lungo processo per accertare, tra mille resistenze e difficoltà, quello che pochi andavano dicendo da ben prima del disastro:

la diga era stata costruita in un posto sbagliato, il lago aveva innescato un processo che avrebbe generato inevitabilmente la frana e i responsabili dell’opera ne erano talmente a conoscenza da aver provveduto a delle contromisure nel caso che uno smottamento avesse riempito parzialmente l’invaso e depotenziato l’impianto.

Eppure i giornalisti che il mattino seguente accorsero sulla desolata spianata di fango che si estendeva al posto di Longarone, tra cui alcune delle penne più prestigiose dell’epoca, come Giorgio Bocca e Dino Buzzati, unirono nei loro resoconti la commozione per le vittime all’ammirazione per la titanica opera dell’uomo, capace nonostante tutto di resistere a un disastro naturale tanto spaventoso quanto imprevedibile.
Oggi, a quasi 50 anni di distanza, l’approccio dei media di fronte ai disastri naturali è decisamente cambiato. O forse no. L’uomo è inesorabilmente all’origine di ogni disastro, a causa di un non meglio precisato “dissesto idrogeologico”, buono per ogni circostanza, e oggi in sovrappiù anche a causa dei cambiamenti climatici, che non guastano mai. All’indomani della frana che ha colpito nei giorni scorsi Maierato, in provincia di Vibo Valentia, è interessante leggere l’articolo del geologo Franco Ortolani su Climate Monitor, in cui analizza la natura dell’evento, evidenziando le differenze con le colate di fango di ottobre a Scaletta Zanclea e Giampillieri e soffermandosi su aspetti meno noti come la ciclicità plurisecolare di certi fenomeni, l’eccezionale piovosità di alcuni inverni, come quello in corso, e l’influenza che su questa piovosità possono avere le macchie solari, più che le emissioni di CO2. Questo non significa ignorare gli effetti di un disboscamento dissennato sull’erosione dei pendii o che si possa tranquillamente costruire sul letto di frane preesistenti. Anzi. Significa però che alle opportune, anzi indispensabili domande si poteva evitare? e quali sono le responsabilità? andrebbero date risposte complete e scientificamente credibili. Chi oggi si appella acriticamente al dissesto idrogeologico, espressione un po’ generica di cui pochi conoscono il significato, o peggio ancora al global warming, non fa che riprodurre in forma uguale e contraria le invocazioni all’ineluttabile fatalità dei giornalisti accorsi ai piedi della diga del Vajont. Ora come allora il pensiero unico fornisce, nella migliore delle ipotesi, alibi e risposte a buon mercato.

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3 Responses

  1. Renato

    Le fonti d’informazione danno quasi sempre la colpa a questo tipo di tragedie alle calamità naturali quando, nella realtà, la colpa è dell’uomo e spesso, non per un suo errore, ma per DOLO!!!!!!

  2. andrea dolci

    Con tutto il rispetto per un geologo, se si da’ la colpa delle pioggie alle macchie solari, si e’ al limite dell’astrologia. Il ciclo solare e’ appena ripreso dopo un lungo periodo di assenza di macchie. Proprio perche’ siamo all’inizio del ciclo le macchie sono poche e sporadiche e l’attivita’ solare resta vicina ancora poco sopra i minimi. E ai minimi resta ovviamente qualsiasi tipo di influsso sull’atmosfera terrestre. Se non fosse cosi’, che cosa dovremmo aspettarci quando l’attivita’ arrivera’ ai massimi ? Tempeste e alluvioni perenni su tutto il pianeta ?

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