5
Ott
2010

Il paradosso italiano

Paradossi. Ieri è stato nominato Paolo Romani come Ministro allo Sviluppo Economico, proprio il giorno anteriore al quale si certifica un grande cambiamento nelle relazioni sociali. L’incontro tra Confindustria e sindacati per parlare di nuovi contratti nella meccanica arriva al termine di un semestre nel quale i rapporti tra le parti sociali hanno registrato un forte passo in avanti e all’Italia è mancato un Ministro.

La posizione “dura” di Sergio Marchionne, amministratore delegato di Fiat, nello scontro di Pomigliano d’Arco ha avuto un impatto molto forte. Lo scambio, maggiore efficienza con maggiore flessibilità per riportare parte della produzione di autoveicoli in Italia ha avuto successo. La Fiom, contraria al nuovo accordo, si è ritrovata isolata, grazie alla disdetta del contratto della meccanica ad inizio settembre da parte di Federmeccanica.

Un nuovo rapporto quello tra Fiat e i sindacati, ma anche un nuovo rapporto tra le imprese e i sindacati, come fortemente voluto da Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria.

Sergio Marchionne in questi cinque mesi di vacanza del ministro allo Sviluppo Economico ha fatto molti cambiamenti. Il più importante è l’introduzione delle deroghe nel contratto “Pomigliano”. L’amministratore delegato di Fiat ha poi continuato nella sua scelta di chiudere l’improduttivo stabilimento di Termini Imerese e è andato avanti su tutti i fronti, dallo spin-off del gruppo al Piano “Fabbrica Italia”.

I venti miliardi d’investimenti per il nostro paese sono certamente un fatto positivo, dopo anni di disinvestimento nel settore auto motive.

La produzione di autoveicoli si è dimezzata in meno di un decennio, non a causa della crisi economica, ma per i diversi svantaggi competitivi che l’Italia ha insiti nel suo sistema produttivo. Una tassazione troppo elevata, una burocrazia lenta, incertezza del diritto e sindacalizzazione elevata sono elementi che non hanno mai permesso l’arrivo d’investimenti stranieri nel nostro paese. Sergio Marchionne ha proposto un patto ai sindacati, che hanno avuto il coraggio di accettare (ad eccezione della Fiom): cambiare i contratti per avere maggiore flessibilità ed efficienza in cambio di maggiori risorse sull’Italia.

E questa scelta arriva nel momento in cui Fiat diventa sempre più globale, con il peso di Chrysler nel gruppo che è sempre maggiore.

I dati di settembre indicano proprio questo. Mentre in Europa c’è una caduta delle vendite del gruppo Fiat, con una diminuzione delle quote di mercato, negli Stati Uniti, Chrysler sta riuscendo a cavalcare la piccola ripresa delle vendite. Da inizio anno il mercato americano è cresciuto del 10 per cento, mentre Chrysler del 14,6 per cento. Certo la comparazione è con il pessimo 2009, anno del sorpasso cinese sugli USA, ma indica che finalmente la casa di Detroit sta riconquistando quote di mercato. La market share è salita nei primi nove mesi dell’anno dal 9,2 al 9,5 per cento; un piccolo passo in avanti.

La sfida americana rimane difficilissima da vincere e le incognite sono elevatissime, anche perché l’introduzione del marchio Fiat negli USA non è facile. Un dato su tutti: il segmento delle piccole utilitarie è l’unico oltreoceano, insieme al “small SUV”, che ha registrato una contrazione delle vendite da inizio anno di quasi il 3 per cento, andando in contro tendenza rispetto al mercato.

Per questa ragione Fiat ha bisogno di risorse fresche da investire negli USA (su questo punto uscirà un’analisi domani su Chicago-Blog). Se il mercato americano è essenziale per Marchionne, altrettanto importante è modificare i rapporti contrattuali in Italia.

Su questo punto le evoluzioni degli ultimi cinque mesi sono state importantissime.

Il paradosso italiano è questo: ci sono state maggiori innovazioni nei rapporti contrattuali e sindacali in cinque mesi senza Ministro allo Sviluppo Economico che negli ultimi dieci anni.

È proprio uno strano paese, l’Italia.

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7 Responses

  1. Ottima analisi in chiave liberista dell’utilità di un Ministero per l’economia pianificata statalista. Offro un’altra breve lettura in chiave politica (di basso livello ma temo, verosimile) riguardo la nomina del nuovo Ministro per lo Sviluppo Economico: la poltrona per i Finiani non è più a disposizione, nè per Sarmi nè per Baldassarri! La festa è finta, si va al voto!

  2. Andrea Giuricin

    Concordo con entrambi i commenti.
    Vedo le elezioni avvicinarsi (magari mi sbaglio), ma la mancanza del ministro allo sviluppo economico forse è stato un bene per l’Italia in questo particolare caso. Si è deciso di andare allo scontro, senza passare troppo da camere di compensazione. E nello scontro il manager Marchionne ha dimostrato che è possibile fare cambiamenti in Italia.
    Comunque in Italia nulla è definitivo e quindi aspettiamo gli sviluppi.

  3. paolo

    Come al solito, sono le persone che fanno i ruoli e non viceversa. Se il ministro fosse stato Scajola (ma questo vale anche per Romani, se non in misura addirittura maggiore) il suo contributo sarebbe stato nullo. Inoltre, il peso di un Marchionne non è facilmente pareggiabile da nessun politrico attualmente sulla piazza. Quindi nessuno stupore sul fatto che, in sostanza, le cose che dovevano essere fatte sono state fatte. Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur. (a proposito di latino, chissà perchè oggi mi è venuto in mente Caligola che fece senatore il suo cavallo…. mah)

  4. Il che non è un paradosso, semmai la dimostrazione che non serve proprio un Ministero dello Sviluppo economico. Di sicuro non serve come polo concertativo tra le parti sociali

  5. roberto savastano

    come sostiene, non a torto, Francesco Giavazzi sulle pagine del Corsera, il miglior Ministro dello Sviluppo Economico sarebbe stato Antonio Catricalà, se solo l’esecutivo si fosse adoperato a dare seguito alle indicazioni dell’Antitrust.

  6. marco ottenga

    Non sono molto d’accordo, coerentemente dovremmo assumere come un mistero della fede l’ottima salute delle industrie automobilistiche tedesche quando invece, loro, hanno sempre investito in kompetenz anziche in bassi salari, ottenendo quindi dai loro clienti prezzi elevati per una qualita e servizio eccellenti.
    Purtroppo questo mistero ci ha fatto spendere una quindicina di punti di PIL (portando il nostro debito a un 118 abbondante contro un risicato 104 di fine governo Prodi) per casse integrazione (tra ordinarie, straordinarie e in deroga) che hanno fatto sopravvivere gli zombie economici del nostro sistema industriale (coloro che non hanno alcuna ragione per esistere: sottocapitalizzati, sottostrutturati, privi di idee e processi innovativi, con addetti sovente volonterosi ma non eccellenti). Questa scelta ha semplicemente rimandato le scelte vendendo il futuro dei dipendenti (serie possibilita di impiego ben remunerato per gli anni futuri) per un piatto di lenticchie (cassa e lavoro nero). Marchionne lo sa e fa il proprio ruolo, lo pagano bene perche lo sa fare.
    Credo che per serieta si dovrebbe dire che Confindustria e sindacati sono due strutture inventate a Torino oltre un secolo fa e che oggi dovrebbero essere sostituite da organizzazioni settoriali indipendenti e reciprocamente concorrenti (altro che farle consociarre nei consigli di amministrazione dei fondi pensione di settore, dove i tromati si incontrano alle spalle dei lavoratori INVITATI a non utilizzare risorse professionali come le assicurazioni).
    Il framework di base dovrebbe essere unicamente legislativo, dove si prevedono tutele sui sessi, sulle razze, sulle disabilita’, in modo che chi fa leggi del cavolo non viene rivotato, o viene votato chi e’ piu’ o meno sensibile in funzione dei cicli; poi generalmente, quando alcune tutele vengono date (da Clinton) Bush magari non osa toglierle. Lo stesso quando sindacati forti ottengono tutele, queste cogli anni entrano anche nei settori piu deboli GRADUALMENTE e depurate degli inevitabili eccessi tollerati nei cicli altamente favorevoli.
    Sono convinto che se assumiamo che la terra trema, questo e’ per tutti, lavoratori e imprenditori, pensatori e legislatori.

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