19
Ott
2010

Il nuovo patto europeo, più ombre che luci

E’ stata necessaria una mediazione diretta tra Angela Merkel e Nikolas Sarkozy, per sbloccare il braccio di ferro che da settimane spaccava a metà i 27 membri dell’Unione europea sul nocciolo del nuovo patto europeo di stabilità da far succedere al “patto stupido” precedente. Cioè quello di Maastricht del 1992, che già prima della crisi è stato interpretato sempre più discrezionalmente a cominciare da Francia e Germania e che comunque negli ultimi due anni è stato spazzato via, definito com’era sull’irreale ipotesi di una crescita del 3% l’anno in termini reali e del 5% in termini nominali, cioè compresa l’inflazione. Il braccio di ferro opponeva da una Parte Germania e Paesi nordici, come Olanda e Finlandia, dall’altra Francia, Italia, Paesi latini e la maggioranza di quelli dell’Est.  E’ buono, il compromesso? Che cosa signifca, oltre che per l’Ue, per l’Italia?

Per il primo fronte, il testo proposto dalla Commissione europea andava sostanzialmente accolto nella sua versione più rigida, comprendente oltre al rispetto del tetto di deficit un ritmo annuale predefinito di abbattimento del debito pubblico eccedente la soglia del 60% di Pil, e sanzioni automatiche proposte dalla Commissione stessa con un deposito fruttifero prima e infruttifero poi fino allo 0,2% del Pil e fino – proseguendo nell’infrazione – alla sospensione di percentuali crescenti dei fondi europei a disposizione di ciascun Paese.

Il compromesso finale franco tedesco – approvato dai 27 ministri delle Finanze ma ancor tutto da scrivere in dettaglio – prevede invece che sia il Consiglio europeo – cioè i governi che rappresentano gli elettorati, non i tecnici cioè i commissari europei  – il vero depositario delle decisioni e delle sanzioni, restando alla Commissione il potere di avviso ai governi non in regola, e la mera facoltà di proporre sanzioni. Per attribuire al Consiglio una funzione pienamente politica di questa portata si decide di modificare il Trattato europeo entro il 2013, ed è una buona cosa perché solo così la nuova politica di stabilità finanziaria entra a pieno titolo nei meccanismi operativi di prima grandezza dell’Unione europea. In più, nel merito, il fronte del rigore automatico e quello franco-italiano hanno trovato un compromesso fondato sulla comune convinzione di evitare così gli eccessi che avrebbero rischiato di fare anche di questo nuovo patto una mera versione aggiornata di quello precedente, col rischio cioè di risultare anch’esso “stupido”.  Di qui la decisione di sostituire gran parte dei numeri fissi indicati dalla Commissione con espressioni più generiche, da valutare Paese per Paese e a seconda del ciclo e della congiuntura.

Prevedere per esempio automaticamente che la riduzione del debito pubblico avrebbe dovuto avvenire anno per anno per una quota di almeno un ventesimo l’eccedenza oltre il 60% di Pil, per un Paese come l’Italia che il debito attualmente al  118% ha implicazioni completamente diverse se il tasso d’interesse è come oggi più basso sia della crescita reale che dell’andamento dei prezzi, opure se il tasso d’interesse – quando risalirà – superasse entrambe le grandezze. Se un Paese cresce in termini reali del 2% con tassi d’interesse nell’ordine dell’1% come oggi e con un’inflazione bassa,  quel rientro automatico del debito è compatibile con un deficit annuale dell’1,6% di PIL. Ma se la crescita si abbassa alla metà, i tassi d’interesse salgono e la crescita nominale è gonfiata dall’inflazione, il rientro automatico del debito pubblico previsto inizialmente dalla Commissione  rischia di tradursi in una grande trappola deflazionistica e recessiva per tutta la parte più debole dell’Europa.

Da una prospettiva di questo tipo, neanche Germania, Polonia e Paesi  nordici hanno nulla da guadagnare:, hanno argomentato Francia, Italia e Spagna:  perché il rischio è che salti l’euro, e per Berlino l’export tedesco intraeuropeo si indebolirebbe. Questa nuova consapevolezza, che si legge tra le righe nell’accordo di ieri, sarebbe il fatto nuovo rispetto alla crisi dell’eurodebito della scorsa primavera, quando il no tedesco a ogni cedimento ha seriamente rischiato di trasformare la crisi di Grecia e Portogallo nell’esplosione  dell’euro in quanto tale.

Altro fattore positivo è l’esplicito inglobamento nei criteri di valutazione della sostenibilità finanziaria dei diversi Paesi di una lista più ampia di criteri rispetto al solo deficit e debito pubblico. Verranno considerati sia il debito delle famiglie – che per l’Italia è basso, dunque è stato un successo per Tremonti inglobare tale criterio, come innumerevoli volte ha spiegato il professor Marco Fortis – sia la bilancia di parte corrente che esprime  in complesso la posizione di un Paese rispetto al flusso di capitali in ingresso e in uscita: un altro indicatore che per l’Italia va meglio di tanti altri membri dell’eurozona,visto che se Germania e Olanda sono in attivo di 5 e 6,5 punti di Pil rispettivamente, il nostro passivo per 3 punti di Pil resta meno preoccupante del -5% della Spagna, del -6,5% della Grecia, del -8,2% del Portogallo.

Oltre la  stabilità dei conti pubblici per la prima volta dal 2011 la vigilanza sui Paesi membri si estende anche al piano annuale di riforme per la cresciuta che ogni Paese sarà chiamato a definire entro aprile, in modo che la Commissione lo valuti entro giugno:  la crescita viene assunta come pilastro almeno altrettanto importante dei conti in regola.

Veniamo alle prime impressuini sul compromesso.

In Europa continua a esserci una netta differenza, in termini di rigore.  Ci sono Paesi come la Germania, che al di là e prima del vincolo europeo si sono posti autonomamente in Costituzione sia un tetto bassissimo al deficit pubblico – impossibile più dello 0,35% di Pil dal 2015 –  sia al prelievo fiscale, con un soglia personale e familiare di reddito intangibile alle pretese fiscali.  E vi sono poi Paesi in cui la politica continua a faticare molto nel mettere a frutto la lezione della grande crisi: e cioè che cresce di più chi ha meno spesa pubblica più efficiente, e meno tasse su lavoro e impresa.

E’ comunque un passo avanti, mettere al centro della nuova Europa una disciplina più  complessiva della stabilità finanziaria  e della crescita dell’economia reale. Ma la storia ci ha dimostrato che le regole automatiche funzionano meglio di quelle discrezionali, e dunque nel compromesso di ieri c’è una debolezza potenziale molto forte. Bisogna sperare che nei governi europei  resti ben viva la consapevolezza del grave rischio corso solo mesi fa: una crisi dell’euro sarebbe grave per tutti, tedeschi compresi a cominciare dalle loro banche. Ma è inutile illudersi, i Paesi forti come la Germania sopravviverebbero a una  crisi dell’euro assia meglio di quelli deboli, tra i quali resta l’Italia.

Di conseguenza, il compromesso di ieri in realtà non mi sembra affatto risolutivo.

Bisognerà stare attenti al diavolo che si nasconde nei dettagli, nella sua stesura completa e dettagliata.

Keynesiani e statalisti hanno buon gioco nel sostenere che l’ammorbidimento nasce anche dal fatto che sarebbe suicida per l’Europa – proprio perché cresce meno – rinunciare al pedale pubblico mentre l’America continua a farlo a go go.

Per l’Italia, l’annacquamento di vincoli troppo espliciti significa che la politica si sentirà più libera di continuare e escludere abbassamenti della spesa pubblica e della pressione fiscale in termini reali ed energici. Per chi la pensa come noi, la strada da seguire è questa e da ieri non siamo più forti nel sostenerla, temo.

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2 Responses

  1. Kalergi

    Ecco il testo dell’accordo di Deauville:

    “La France et l’Allemagne sont d’accord sur la nécessité de renforcer le gouvernement économique européen. A cette fin, ils se sont entendus sur les points suivants.

    1) La France et l’Allemagne soulignent que les procédures qui assurent la surveillance budgétaire et la coordination des politiques économiques devraient être renforcées et accélérées. Cela passe par les éléments suivants :

    Une gamme de sanctions plus large devrait être progressivement applicable dans le volet préventif du Pacte comme dans son volet correctif. Ces sanctions devraient être plus automatiques, tout en respectant le rôle des différentes institutions et l’équilibre institutionnel.

    Dans la mise en œuvre du volet préventif du Pacte, le Conseil doit pouvoir décider, à la majorité qualifiée, d’imposer de manière progressive des sanctions sous la forme de dépôts portant intérêt lorsque la trajectoire de consolidation budgétaire d’un État membre dévie de manière particulièrement significative par rapport à la trajectoire d’ajustement prévue sur la base du Pacte.

    S’agissant du volet correctif du Pacte, lorsque le Conseil décide d’ouvrir une procédure de déficit excessif, il devrait y avoir des sanctions automatiques dès lors que le Conseil, statuant à la majorité qualifiée, décide qu’un État membre n’a pas pris les mesures correctrices nécessaires dans un délai de 6 mois.

    Afin de compléter le cadre législatif de surveillance des déséquilibres macro-économiques, le cas d’un État membre affecté d’un déséquilibre persistant et placé sous la surveillance du Conseil devra être discuté au Conseil européen.

    2) La France et l’Allemagne considèrent qu’il est nécessaire de réviser le traité et qu’il devrait être demandé au président du Conseil européen de présenter, en étroit contact avec les membres du Conseil européen, des options concrètes permettant l’établissement d’un mécanisme robuste de résolution des crises avant la réunion de mars 2011.
    La révision des traités sera limitée aux points suivants :

    – L’établissement d’un mécanisme permanent et robuste pour assurer un traitement ordonné des crises dans le futur, comprenant les arrangements nécessaires pour une participation adéquate du secteur privé et permettant aux Etats membres de prendre les mesures coordonnées appropriées pour préserver la stabilité financière dans la zone euro.

    – Dans le cas d’une violation grave des principes de base de l’Union Économique et Monétaire, et suivant les procédures appropriées, la suspension des droits de vote de l’État concerné.

    Les amendements nécessaires devraient être adoptés et ratifiés par les Etats membres en accord avec leurs règles constitutionnelles respectives, en temps utile avant 2013.”

    Caro Oscar, a me sembra che il punto sia un altro. Assistiamo a un appiattimento totale della Germania nei confronti delle posizioni francesi sull’automaticità delle sanzioni. In cambio di che cosa? Di una revisione dei Trattati che servirà, al contrario di quanto dici tu, a permettere alla Germania di cacciare, laddove le convenisse, un paese in difficoltà dalla moneta unica, o in ogni caso, di tutelare le proprie banche da eventuali default e ristrutturazioni unilaterali.

    Tutto questo, ovviamente, nel contesto di un accordo a 27 (l’accordo a 16, oltre che raggiungibile utilizzando le novità del tanto vituperato trattato di lisbona [art. 136 sulle cooperazioni rafforzate nell’area euro] è inviso ai tedeschi perché l’Eurogruppo è un consesso che non riesce a dominare politicamente). E nessuno garantisce che il governo Cameron sia intenzionato a dare il via libera alla convocazione di una Conferenza Intergovernativa.

  2. adriano

    Sicuramente efficace l’introduzione di limiti tedeschi al debito ed alle tasse in costituzione.Il resto profuma di aria fritta.Per me,incompetente semplicista,non c’è alternativa all’abbattimento del debito tramite la vendita dei beni dello stato.Euro o non euro.E’ strumentale l’adozione della moneta unica.Un intervento è efficace o no,non l’unità di misura che si usa.Capisco comunque l’importanza essenziale delle complicazioni.Come farebbe a prosperare il ricco Barnum che ci vive di rendita?

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