28
Giu
2009

Germania: modello in crisi?

Ormai da tempo si rimprovera alla Germania di essere stata troppo cauta e prudente nello slacciare i cordoni della borsa, senza aver approfittato della crisi per espandere il deficit a sostegno dei consumi. Critiche di questo tipo, rivolte non da ultimo anche dal premio Nobel Paul Krugman, si inseriscono nel più ampio dibattito sul cosiddetto Modell Deutschland. Da una decina d’anni la Repubblica federale sembra infatti aver trovato il proprio Sonderweg nell’export, mentre la sua domanda interna ha continuato inesorabilmente a stagnare. Molti economisti individuano nel meccanicismo della teoria dell’equivalenza ricardiana la spiegazione razionale a consumi tanto asfittici.

“I tedeschi non sono convinti che riduzioni di imposte o trasferimenti sociali più elevati aiutino più di tanto i consumi. È un fatto che i consumi privati si sono ridotti proprio quando la Germania aveva un deficit superiore al 3 per cento. Il fatto di trovarsi sotto procedura europea ha stimolato il risparmio cautelativo” (Antonio Pollio Salimbeni)

Può essere che ciò sia in parte vero. Nulla va apoditticamente escluso. In realtà non si deve dimenticare che corposi tagli di tasse in Germania non si vedono da decenni, che ad aver soffocato la pulsione all’acquisto ci ha pensato anche l’aumento dell’IVA dal 16 al 19% voluto dalla grande coalizione ad inizio legislatura e che il determinismo del moltiplicatore del reddito fa gola a chi vuole risposte semplici ed immediate da propinare agli elettori… In ultimo qualche dato. La Germania non rientrerà sotto quota 3% del rapporto deficit/Pil prima del 2014 (questo, secondo le stime più ottimistiche del Finanzministerium). Quella del pareggio di bilancio è insomma la più grande promessa mancata dell’esecutivo rosso-nero. Il Ministro delle Finanze Steinbrück, un Visco in salsa teutonica, si è prima reso responsabile di un considerevole aumento delle imposte e poi, messo alle strette, ha dovuto mollare gli ormeggi, sacrificando il mantra del “Pareggiamo i conti!” a pacchetti congiunturali da miliardi di euro. Senza dimenticare che in questi anni, la spesa pubblica tedesca non è mai calata. Si mettano a confronto i dati del 2005 con quelli del 2009. La Germania è stata il paese del tassa e spendi. E oggi può vantare anche un altro primato: il più alto debito pubblico dal dopoguerra. Che fare? La ricetta che alcuni economisti liberal sembrano proporre è: rilanciare la domanda interna a suon di stimoli evitando il “paradosso del risparmio”, prelevare i soldi dalle tasche dei ricchi e nel frattempo costringere ad abbandonare la via delle delocalizzazioni “selvagge e predatorie”. L’idea non è nuova. Sta nel programma di Die Linke.

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10 Responses

  1. Poiché le famiglie tedesche hanno livelli contenuti di debito, il “paradosso del risparmio” non c’entra, essendo peraltro relativo a periodi recessivi, e la Germania non è stata in recessione negli ultimi dieci anni. Il fenomeno potrebbe invece essere spiegabile in termini del teorema dell’equivalenza ricardiana.

  2. Vero, ma del paradosso del risparmio si parla ora che la Germania è in profonda recessione… e se ne parla con riferimento al fatto che il governo è stato troppo prudente a non azionare la leva della spesa pubblica per disincagliare il risparmio delle famiglie tedesche in un periodo di vacche magre. Detto ciò, la questione di fondo resta; mandare all’aria i vincoli di bilancio sperando nel moltiplicatore del reddito?

  3. Beh, se la definizione di “paradosso del risparmio” che attualmente gira in Germania è questo, direi che non hanno capito granché del concetto. Detto ciò, il moltiplicatore del reddito è una relazione empirica esistente e testata nei decenni, pur se con parametri ovviamente variabili nelle diverse situazioni storiche, non un’invenzione di Krugman o di qualche comunista. Se la Germania ha costruito il proprio modello economico basandosi sull’export e non sulla domanda interna, ora che l’export è evaporato ci sono due strade: pregare che qualcuno nel mondo torni a importare (magari la Cina) e nel frattempo stimolare la domanda interna, magari tollerando per qualche tempo il deficit, oppure tentare di rispettare i vincoli di bilancio di fronte al crollo del gettito fiscale indotto dalla crisi, ed alla maggiore spesa indotta dagli stabilizzatori automatici (i.e., sussidi di disoccupazione ed altre misure di welfare). Il che vuol dire semplicemente distruggere il paese.

  4. Tutto è possibile. Basta individuare le priorità. Si può tollerare il deficit (o meglio, continuare a tollerarlo), oppure dare un taglio deciso alle tasse e, contemporaneamente, alla spesa pubblica, che non è mai diminuita. L’unico partito che si propone di mettere in pratica una ricetta banale quanto vuoi, ma chiara nei propri intenti, è quello liberale, l’FDP. E infatti a torto o a ragione è accusato di voler fare “macelleria sociale”. Io resto dell’avviso che i modelli econometrici e il puro empirismo possano servire, ma non debbano guidare le scelte economiche di fondo. Abbassare le tasse, oltre a consentire di aumentare lo stock di capitale, è giusto. Punto.

  5. Anch’io sono un convinto sostenitore del modello meno tasse-meno spesa pubblica. Ma in un contesto come l’attuale il rischio che il taglio delle tasse finisca tesaurizzato in riduzione dello stock di debito privato è molto alta, e quindi il taglio d’imposta non darebbe trazione alla crescita.

  6. @Mario Seminerio

    Dato il livello medio-alto di debito privato (almeno così mi pare dai dati letti in giro), non credo che si potrebbe biasimare una scelta simile. D’altronde che cosa dovrebbero fare i cittadini?

    L’alternativa qual è? Pompare denaro pubblico in maniera “mirata”?

  7. Se il debito privato è medio-alto, la proposta di taglio delle imposte non avrebbe effetto alcuno. Ora però mi fermo qui, per evitare una ridondanza stucchevole che non interessa neppure noi due, immagino i lettori.

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