8
Apr
2021

Ever Given, o meglio: Ever Taken… for Granted

Cosa c’è di tanto singolare nella vicenda della portacontainer? Un motivo per ripensare dalle fondamenta il nostro modello di sviluppo o una dimostrazione (indiretta e paradossale) di quanto funzioni bene?

Se c’è un aspetto che colpisce nelle foto della enorme nave portacontainer Ever Given, incagliata nel Canale di Suez, è questo: la global supply chain come è un grande cinema, nel quale si entra attraverso una piccola porticina.

Figura 1 – La portacontainer Ever Given nel canale di Suez (credit: AP Photo/Mohamed Elshahed)

Ora che la nave è stata disincagliata e trainata verso il Grande Lago Amaro, il peggio della crisi è alle spalle e possiamo provare a mettere in fila alcune riflessioni.

Di solito non ci riflettiamo, ma tutto ciò che funziona e si muove intorno a noi è frutto di un sistema delicato e complesso. Il fatto è che quasi sempre gli ingranaggi che fanno muovere queste enormi macchine restano celati ai nostri occhi. Quanto torniamo a casa la sera, premiamo un interruttore e ci aspettiamo che la luce si accenda. Quando abbiamo sete, apriamo il rubinetto e l’acqua (adeguatamente purificata e trattata!) ne esce puntuale per riempire il bicchiere che teniamo in mano. Allo stesso modo: immaginiamo di volerci rimettere in forma dopo tanti mesi di lockdown (sì, all’inizio ci eravamo ripromessi che ci saremmo mantenuti attivi e che avremmo fatto attenzione alla dieta: ma si sa, dove porta la strada lastricata di buone intenzioni). Quale piccolo stratagemma può aiutarci a vincere l’inerzia accumulata? Per me, un trucco che funziona abbastanza spesso è la musica: se proprio dobbiamo faticare, almeno lo faremo ascoltando le canzoni che ci danno la carica! Che si fa? Andiamo in negozio a comprare un paio di cuffie Bluetooth? Macché! Il gesto è diventato così automatico che ormai non dobbiamo quasi più pensarci: andiamo su Amazon, scegliamo il modello che ci piace di più e facciamo click con il dito sul nostro smartphone. Neppure 24 ore dopo, le cuffie sono sulla soglia di casa nostra (e sembra che ci fissino un po’ arcigne ricordandoci dell’impegno preso: “adesso non hai più scuse”).

Come per la luce e per l’acqua, ciò che non vediamo è l’enorme complessità della catena logistica che porta quelle cuffie sulla soglia di casa nostra. E i trasporti navali sono un anello importante di questa catena.

Figura 2 – La nave Ever Given disincagliata (credit: Suez Canal Authority)

Quanto importante? Qualche anno fa, la giornalista Rose George si è posta questa domanda e per darle una risposta si è imbarcata a bordo della nave portacontainer Maersk Kendal. Nelle varie settimane necessarie a percorrere le 9’288 miglia nautiche tra Londra e Singapore, Rose George ha scoperto che ancora oggi il 90% delle merci viaggia esattamente come 500 anni fa: via mare. Solo che nel frattempo la tecnologia ha realizzato economie di scala che una volta sarebbero state folli, impensabili.

La Ever Given è lunga 400 metri (più della Torre Eiffel “coricata”) e può ospitare quasi ventimila container da venti piedi (pari a circa 6 metri): a pieno carico, può trasportare circa 200’000 tonnellate di merce con un equipaggio di circa trenta persone. Per avere un’idea: appena un mese fa, lo storico Yuval Noah Harari stimava che a fine Cinquecento la capacità dell’intera flotta commerciale dell’Impero Britannico fosse di appena 68’000 tonnellate. Grazie ada un numero totale di marinai che si aggirava sulle 16’000 unità.

Naturalmente ciò ha avuto i suoi impatti anche sull’ambiente. Come Rose George ha raccontato nel suo libro Ninety Percent of Everything, questa preponderanza del settore navale nei trasporti è avvenuta ada un prezzo: nel 2009 si è stimato che le 15 più grandi navi portacontainer emettessero una quantità di CO2  e particolato pari a quella prodotta da tutte le auto nel mondo.

Ecco dunque lo stupore. Dopo mesi di pandemia, nei quali siamo stati bombardati di informazioni su indice Rt, app di tracciamento, test molecolari  e vaccini, la storia della Ever Given ci ha disorientati. Siamo stati colti alla sprovvista, nello scoprire una parte del nostro mondo globalizzato che normalmente sta nascosta tranne che per addetti ai lavori: un po’ come la parte sommersa dell’iceberg, invisibile fino a quando non apre uno squarcio nello scafo. 

Quanta fatica e quanta cooperazione sono necessarie, per portare quelle cuffie Bluetooth sulla soglia di casa nostra! Operazioni di carico al porto di origine e, simmetricamente, di scarico al porto d’arrivo. Settimane di duro lavoro per l’equipaggio dei marittimi, che lasciano le proprie famiglie per solcare sulla loro nave acque lontane (a volte, anche infestate da pirati). Quanta coordinazione, per far girare gli ingranaggi di questo antico meccanismo! Un rotismo silenzioso e ben oliato, così affidabile da essere riuscito a fare ciò che in apparenza diremmo impossibile: rendere invisibile ai nostri occhi il mare, che pure ricopre il 70% della superficie della Terra, e con esso le navi che lo solcano.

Ma il meccanismo è anche sorprendentemente semplice, dunque per alcuni versi fragile. 

Basta poco a produrre attrito, a fare inceppare le ruote. Specie nei punti nevralgici. Un collo di bottiglia, per esempio: un canale, come quello di Suez, attraverso il quale transita il 13% del commercio mondiale e il cui blocco (sia pure temporaneo) è bastato a far temere aumenti nei prezzi del petrolio, del gas e delle altre materie prime. Un po’ di vento, la conformazione particolare del canale in un certo punto, un errore umano nella manovra (?) ed ecco fatto: la Ever Given si incaglia per traverso e blocca altre 302 navi dietro di lei. Alcune rimaste in attesa per giorni, altre reindirizzate verso il Capo di Buona Speranza. 

O ancora in generale: la scarsità di risorse e attrezzature in grado di mettere in crisi persino i porti europei più grandi ora che la Ever Given si è disincagliata. Da Rotterdam a Genova, molte Capitanerie di porto hanno diramato comunicati di preallerta per gli uffici amministrativi e i servizi tecnico-nautici: i porti avranno anche spazio sufficiente ad accogliere l’arrivo di tante navi contemporaneamente ma le gru e le attrezzature per scaricare sono in numero limitato, giusto per fare un esempio.

Considerato tutto ciò, viene spontaneo chiedersi: come mai, allora, tanti in questi giorni se la prendono con il libero mercato e con il modello di sviluppo basato su di esso? Tutte le cose di cui abbiamo parlato sembrano avere molto a che fare con la realtà fisica e tangibile (i container, le navi, i canali, le banchine , le gru) e quasi niente a che fare con il mercato e con il libero scambio. Se ho il COVID o sospetto di averlo, posso andare su Amazon e farmi recapitare a casa un saturimetro con un paio di click: in un’economia con meno mercato e più Stato, trasportare quel saturimetro per mare costerebbe forse meno? Servirebbe forse meno carburante?

Naturalmente si può obiettare che non c’è scritto da nessuna parte che il saturimetro debba essere prodotto in Cina e poi caricato su una gigantesca nave (trattandosi di un saturimetro, potremmo dire: non l’ha ordinato il dottore!). Potrei benissimo comprare un saturimetro prodotto vicino a dove vivo. Tuttavia, è probabile che in tal caso finirei per pagarlo di più: proprio come posso avere energia elettrica prodotta esclusivamente da fonti rinnovabili, purché io sia disposto a ricevere una bolletta più salata.

L’impressione è che il mercato sia così efficiente a trovare la soluzione ottimale a questi trade-off da farcene dimenticare l’esistenza. Forse più che Ever Given, la nave avrebbe dovuto chiamarsi Ever Taken (for Granted). Non appena il rotismo si inceppa, non appena le ruote girano un po’ più lentamente del solito, ci facciamo nervosi e ce la prendiamo con il meccanismo stesso: “esiste ancora, questa cosa sgradevole e volgare detta realtà?” sembriamo dire. “Come osa, il mercato, non appianarne ogni difficoltà?”

Il mercato non è una bacchetta magica, bensì un meccanismo per allocare risorse basato sulla libera iniziativa e sulla competenza degli individui (inclusi quelli che vengono mobilitati in men che non si dica per risolvere il problema, una volta che questo si manifesta). Dunque il mercato ha delle imperfezioni, proprio come gli individui ne hanno. Ma tra queste non rientra quella di non poter fare sparire gli aspetti fisici o tangibili della realtà che non ci piacciono. Riesce, al massimo, a trovare dei work-around

In fondo potremmo ritenere tali critiche infondate e tali attacchi pretestuosi come i migliori complimenti che si possano rivolgere al mercato: l’impazienza e l’ingratitudine manifestate per il minimo malfunzionamento sono proprio indice del fatto che di norma il meccanismo lavora bene.

Riferimenti[1] George R. (2013) Ninety Percent of Everything. Picador USA

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