3
Lug
2014

Euro-Union Bond? Meglio vendere davvero—di Lorenzo Romani

Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Lorenzo Romani.

In questi giorni si è tornato a parlare di Euro-Union Bond e mutualizzazione dei debiti nazionali. Soprattutto, qualche giorno fa è stato il Sottosegretario Graziano Delrio a lanciare la prima pietra in un’intervista al Corriere della Sera. Il meccanismo funzionerebbe così: gli stati “versano” in un fondo comunitario una parte del loro attivo (quote di partecipate, asset reali, etc). Il fondo utilizza questi beni come garanzia per emettere nuove obbligazioni europee. I capitali raccolti vengono utilizzati per ricomprare titoli pubblici dei paesi conferitari, che vedrebbero così ridotto lo stock del debito.

Uno schema di questo tipo ha senso nel 2014? E’ lecito nutrire dei dubbi: questo piano era stato ideato da Prodi e Quadrio Curzio nel 2011, in un momento in cui i tassi reali sulle nuove emissioni erano così alti da rendere, in prospettiva, insostenibile il debito pubblico di alcuni paesi. La proposta era quindi volta a varare un nuovo strumento debitorio comunitario che potesse godere di alta credibilità e quindi di alto rating, che permettesse di rifinanziare i debiti nazionali a costi ridottissimi con beneficio per le casse pubbliche e la sostenibilità del debito. Questo, ovviamente, nel lungo periodo, mentre nel breve la “promessa” di una mutualizzazione avrebbe raffreddato i mercati e portato gli spread a livelli accettabili. Come sappiamo, ciò andava (e va) contro gli interessi della Germania, che avrebbe pagato e pagherebbe anche oggi, su questi Euro-Union Bond, tassi maggiori di quanto sborsa oggi sui Bund decennali (che oscillano sempre intorno all’1,40%).

Inoltre, alla scadenza, questi titoli andrebbero comunque rimborsati agli investitori dagli stati conferitari, attraverso la fiscalità generale, dunque il beneficio reale non sarebbe un vero e proprio abbattimento del debito bensì una sostituzione di una quota del debito pubblico italiano con una quota di un nuovo debito pubblico “europeo”. Con benefici, certo, dal punto di vista del rifinanziamento, ma lo stock rimarrebbe sostanzialmente inalterato per la parte capitale. Si rischierebbe inoltre di creare un debito di serie A, quello mutualizzato, e uno di serie B, quello rimasto in carico agli stati, che potrebbe vedere un rialzo dei tassi tale da neutralizzare o quantomeno ridurre i benefici dell’operazione. Le garanzie pubbliche conferite al fondo, inoltre, verrebbero bloccate e rese di fatto indisponibili ad altre possibili misure di politica economica.

Si deve fra l’altro ricordare che oggi, da un lato, i tassi sulle emissioni dei paesi periferici non risentono più della tempesta finanziaria dell’autunno 2011 (anzi le aste dei Bot e Btp italiani macinano record storici quasi ogni settimana). Non ci sono quindi l’incentivo-emergenza ma nemmeno i presupposti politici europei affinché i paesi “virtuosi” accettino di sostenere una parte dei nostri interessi.

Sembrerebbe quindi più saggio, ma anche più coerente, che l’attivo venisse realmente venduto per abbattere lo stock del debito a livelli compatibili con il Fiscal Compact: Bruxelles pare proprio decisa a sbarrare la strada ad un allentamento dei vincoli sul deficit strutturale e sul debito pubblico, e l’obiettivo di una riduzione di quest’ultimo per 3,5 punti di Pil annui a partire dal 2015 sembra utopico con un’inflazione che stenta a decollare (speriamo nell’efficacia delle mosse di Draghi), un Pil che viene costantemente rivisto al ribasso e privatizzazioni (l’obiettivo del Governo è di 0,7 punti di Pil l’anno) che sono sempre un’incognita difficile da valutare ex-ante.

Se proprio si dovesse versare una quota del patrimonio pubblico in un fondo europeo, sarebbe allora più lungimirante che tale fondo venisse utilizzato per raccogliere capitali finalizzati interamente al rilancio di un grande piano continentale di opere pubbliche. Recentemente, al Consiglio Italia-Usa di Venezia, Roland Berger ha stimato in 1000 miliardi lo stock di investimenti necessario a rilanciare l’economia europea, con un piano massiccio di interventi in banda larga, energia, smart grid e autostrade.

Mutualizzare i costi di un intervento di questo tipo (scomputandoli magari dal deficit) è cosa buona e desiderabile, ma sul debito pubblico, qualora il Governo valutasse di poter varare una manovra straordinaria di abbattimento, sarebbe il caso che dimostrasse di esser disposto a passare di mano, definitivamente e non attraverso partite di giro, una quota significativa dell’attivo. Certo non potranno mai essere i fantomatici 400 miliardi paventati da ingenui “economisti”: ridurre lo stock al di sotto del 100% del Pil sembra impossibile, sarebbe già molto riuscire a vendere un centinaio di miliardi per non farci incorrere in una procedura per debito eccessivo. Il tutto dando per scontato che l’autorevolezza del governo Renzi non sia sufficiente a smuovere qualcosa a Bruxelles, non appena si insedierà la nuova Commissione.

Lorenzo Romani collabora con il Consiglio per le Relazioni Italia-Usa e con FIRSTonline.info, quotidiano di economia e finanza.

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3 Responses

  1. E’ la solita truffa delle oligarchie che dirigono l’economia. Niente di nuovo, ma ci stanno riprovando, come dicevo qui

    http://lafilosofiadellatav.wordpress.com/2014/03/05/leonardo-becchetti-su-avvenire-le-mezze-verita-sul-p-a-d-r-e/

    citando Quadrio Curzio:

    siccome i Governi UE di soldi per fare grandi opere anche inutili non ne hanno più, con gli eurobond prenderebbero i soldi dai risparmiatori delle banche, incaricandole di infilare gli eurobond nei portafogli delle famiglie. Tutto qui.
    Interessante notare come il sistema lo stia già facendo da tempo, in Italia, con NTV Italo Treno e le nuove autostrade lombarde:
    http://lafilosofiadellatav.wordpress.com/2014/03/31/paolo-viana-su-avvenire-il-quotidiano-e-attendibile-su-infrastrutture-e-project-financing-brebemiteem/
    E’ questa, anche, la “crescita” di Renzi. Troppo facile, troppo furbo… meditate, gente, sul silenzio mediatico e istituzionale che accompagna l’operazione… ;-))),,,,

  2. ALESSIO DI MICHELE

    Non venderemo mai significativamente nostra sponte. L’ Europa dovrebbe costringerci ad emettere obbligazioni al 2 per mille convertibili in caserme, case vuote, partecipazioni di controllo, società concessionarie dello sfruttamento di Pompei, ecc., e col ricavato ricomprare ed annullare debito vecchio, ma figurarsi, anche perché dopo qualcuno potrebbe chiedersi, ad esempio,cosa voglia fare al riguardo la Francia.

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