10
Ott
2012

E se mettessimo un economista alla guida della Scala?

È notizia di questi giorni la futura dipartita dell’attuale sovrintendente della Scala Stéphane Lissner dal più bel teatro del mondo. Lissner è stato scelto dal ministro della cultura francese per assumere le redini dell’Opera di Parigi. Sui giornali cominciano già a comparire i nomi dei possibili successori.

In pole position viene messo Salvo Nastasi, attualmente al vertice della direzione generale dello spettacolo dal vivo del Ministero per i beni e le attività culturali ed ex capo di gabinetto dei vari ministri che si sono succeduti alla guida della cultura nell’arco di questi ultimi anni. Nastasi ha anche un passato da “risanatore” del Teatro San Carlo, dove è stato chiamato qualche anno fa, in qualità di commissario straordinario, a mettere in ordine i conti dell’istituzione culturale napoletana.

A distanza seguirebbero i nomi di Sergio Escobar, attuale direttore del Piccolo di Milano, Carlo Fontana, da poco incaricato dal sindaco Pizzarotti di risollevare le sorti del Teatro Regio di Parma, e molti altri ancora. Un nome che viene fatto ma che parrebbe avere poche chance è quello di Antonio Cognata. Nonostante gli indiscussi successi gestionali alla guida del Teatro Massimo, Cognata non ha mai avuto vita facile nella conduzione della fondazione palermitana. Oggi è il neo-sindaco Leoluca Orlando a volerlo togliere dalla guida della fondazione lirica della sua città. I motivi appaiono pretestuosi, la realtà delle cose farebbe pensare a una certa determinazione da parte di Orlando nel mettere le mani sul Teatro Massimo, attraverso uomini di sua fiducia.

Uno dei maggiori problemi delle fondazioni liriche italiane è quello di una forte ingerenza della politica nelle scelte gestionali di tali istituzioni culturali. Quello che sta avvenendo a Palermo ne è l’ennesima conferma. Il sindaco è infatti per legge il presidente delle fondazioni liriche e la sua voce è particolarmente importante anche perché i soggetti pubblici sono i principali finanziatori delle fondazioni. La situazione è paradossale perché in questi anni Cognata ha svolto un ottimo lavoro, fatto di una proposta culturale di qualità e soprattutto di una sana gestione dei conti dell’istituzione che amministra. Tale situazione virtuosa è stata certificata di recente da una indagine della Corte dei Conti (7 agosto 2012):

i risultati economici complessivi delle Fondazioni risultano costantemente negativi, e mostrano nel 2010 l’esito peggiore, ancora più critico di quello del 2008. … Nell’intero periodo in esame [anni 2007-2010] registrano risultati positivi esclusivamente l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, peraltro con importi modesti, e il Teatro Massimo di Palermo, mentre le restanti Fondazioni hanno chiuso tutti o alcuni esercizi in perdita, contribuendo al complessivo disavanzo di 16 milioni di euro nel 2007, aumentato ad € 39,4 milioni nel 2008, regredito ai 9,2 milioni del 2009 e nuovamente cresciuto nel 2010, giungendo al deficit di più rilevante importo nel periodo, pari a € 39,5 milioni di euro.

Nell’indagine della Corte dei Conti si scrive inoltre che:

il Teatro Massimo ha recuperato negli ultimi esercizi 15 milioni di euro di perdite pregresse e, nonostante la contribuzione pubblica si sia ridotta di oltre 5 milioni di euro, ha prodotto più spettacoli con minori costi di produzione.

Insomma, la gestione di Cognata non potrebbe che dirsi virtuosa. Il sovrintendente ha avuto il merito di risanare le finanze del suo teatro, compiendo anche scelte difficili e pericolose, che hanno messo a rischio la sua stessa incolumità fisica: nel 2009 è stato infatti vittima di una aggressione. A seguito di quell’evento al sovrintendente è stata affidata una scorta. Anche questo rappresenta un altro paradosso italiano, per risanare i conti di una istituzione culturale occorre farlo protetti da una scorta. Oggi Cognata deve fronteggiare l’ostilità di sindaco e dipendenti, che si sostengono a vicenda per sfiduciare il suo operato: la sua colpa sarebbe quella di gestire il teatro in maniera efficiente.

Le scelte che guidano l’operato di un sovrintendente sono diverse da quelle che compie un sindaco. Se il primo agisce per attirare pubblico e offrire una proposta culturale di qualità con un occhio rivolto ai conti, il sindaco nelle sue scelte risponde ad altre logiche: innanzitutto quelle legate alla ricerca del consenso. La “vicinanza” che si produce fra dipendenti sindacalizzati e sindaco accondiscendente è una delle cause delle voragini nei conti delle fondazioni. La “vetrina” delle fondazioni liriche deriva dal prestigio locale e nazionale di cui godono. Maestranze che protestano contro la gestione del teatro rappresentano una pessima pubblicità per l’immagine del sindaco. Inoltre, la politica ha sempre dimostrato una forte tendenza a voler controllare le attività economiche e culturali locali attraverso la nomina di “propri” rappresentanti all’interno di istituzioni formalmente autonome ma che in realtà subiscono fortissime ingerenze “esterne” (nel caso delle fondazioni liriche non si può dire che siano così “esterne”, poiché pur essendo le fondazioni soggetti privati, vedono elementi del pubblico rappresentati nei propri organi decisionali).

Cognata ha grande cultura musicale ma soprattutto insegna politica economica all’università di Palermo e sa gestire istituzioni complicate (lo ha dimostrato). Alla Scala sarebbe l’uomo giusto al posto giusto. Ma proprio la political economy di queste istituzioni – la tendenza dei sindaci a preferire la lealtà su ogni altra qualità – gioca paradossalmente a suo sfavore.

15 Responses

  1. Massimo Manghi

    Caro Giannino

    ovviamente non è un paradosso in senso assoluto che un dirigente avente l’efficienza e buona gestione come obiettivo venga aggredito. E’ capitato anche ad un dirigente del Ministero dei Beni Culturali, così come riportato da un intervista apparsa sul “Giornale dell’Arte” tempo fa. La criticità che ha fatto temere al dirigente per la propria incolumità è stata provocata dalla sua intenzione a rivedere i contratti di fornitura, se ben ricordo.

    Questo è un paese anche di imprenditori disperati, ma anche di sedicenti imprenditori che vivono di Stato e non di mercato (e non mi tiri fuori il problema dei pagamenti, molte amministrazioni per fortuna pagano le forniture). Molti di loro sono attratti dal vostro movimento con le sue 10 proposte semplici e limpide. Quando capiranno (ma lo capiranno mai?) che essere imprenditori significa avere idee ed essere leader prima ancora di essere “capi di sè stessi”, allora vi abbandoneranno e si metteranno in fila dal politico clientelare di turno. Come sempre hanno fatto.

  2. Giorgio Azzalin

    Saro’ un po’ provocatore ma secondo me la Scala come moltissime altre istituzioni culturali Italiane andrebbero chiuse.Basta con il teatro Regio e tutti gli altri sparsi per l’Italia che usano soldi pubblici con la scusa della cultura. Preferisco vivere in un paese di ignoranti ,musicalmente o artisticamente, che in uno dove la gentenon riesce pagarsi il mutuo o la pizza ogni tanto . I soldi che vanno a questi incompetenti sono sfilati dalla gente comune ,che alla Scala non ci va , per il godimento di pochi .
    La festa e’ finita e tutti si devono pagare quello che usano incuso la Scala.
    Incomincino a gestire in pareggio , se non ci arrivano che chiudano e suonino per strada ,se sono cosi bravi ritorneranno ai vecchi splendori.

  3. VincenzoS

    @Giorgio Azzalin
    Essenzialmente concordo con quanto scritto, salvo il fatto che vivere in un paese di ignoranti poi fa decadere la qualità generale del paese e la sua capacità di crescita.. La natura più o meno pubblica dei teatri lirici risale a secoli fa, derivando in fondo dal “panem et circenses” di romana memoria, quando il teatro lirico era lo strumento con cui il principe si ingraziava i sudditi essendo la forma di svago più diffusa e più apprezzata.
    Oggi la lirica dal vivo è seguita o da appassionati melomani, che sicuramente sarebbero ben disponibili a pagare di tasca loro, o da VIP in cerca di passerella, i quali sono ben contenti di non pagare nulla per fare sfoggio della loro “vipperia” e che invece dovrebbero pagare cifre salate per farlo. Tra l’altro ormai non è più necessario andare a teatro per ascoltare buona musica, quindi chi vuole farlo deve pagare.
    Teatri lirici e di prosa non sono essenzialmente frequentati da ceti popolari. Non si capisce quindi perché debbano essere pagati con soldi pubblici. Al limite i soldi pubblici dovrebbero essere usati per le biblioteche.

  4. Giorgio Andretta

    Per come sono organizzati e pensati, i teatri, li ritengo anacronistici.
    Le spese voluttuarie, mediamente destinate da ogni cittadino, sono enormi, basti pensare ai giochi d’azzardo o all’assunzione di sostanze stupefacenti, oltre che a marchingegni elettronici, e il conto è presto fatto.
    Quindi ognuno si paghi i propri piaceri e diletti.
    Alla luce di ciò quoto sia il sig.Azzalin che il sig.VincenzoS.

  5. gug

    L’Italia senza la Scala sarebbe veramente troppo, ma ormai come tutti gli organi pubblici si è incancrenito dietro risse politiche e sindacali, gli organici degli enti lirici sono ingolfati da gente inutile, le assunzioni clientelari continuano. Ogni nuovo sovrintendente è bravo se ha tanti soldi da coprire anche la spesa assistenziale. Il San Carlo artisticamente è chiuso da 4\5 anni alza il sipario 6\7 volte al mese per spettacoli degni del suo nome, guardate la stagione di concerti di quest anno venduta in abbonamento a quasi 1000 euro. Ci vogliono molti soldi, ma molti, devono essere spesi con grande perizia risparmiando su tutto il superfluo e l’inutile, poi si può anche decidere di bloccare tutto, teatro musica danza cinema, saremo l’unico paese occidentale, e parlare solo di mutui,di tempo per arrivare al lavoro, di tempo per tornare, di quanto mi costa la scheda telefonica,e della raccolta punti del mio supermercato.

  6. Gian Luigi Capriz

    Caldeggio l’ipotesi di ridurre gradualmente i contributi pubblici ( ad esempio del 5% all’anno) per abituare poco alla volta queste strutture a camminare sulle proprie gambe, in quanto se ben gestite possono produrre reddito invece che distruggerlo.
    Perchè non prendere esempio (e scegliere nel caso i manager) da quelle istituzioni nel mondo che generano cultura e ricchezza?

  7. DINO DARIOL

    Concordo in toto con l’articolo di Cavazzoni. Solo rendendo questi enti e teatri liberi dal giogo della politica, dei sindacati attuali e del malaffare essi possono produrre cultura.
    Basta pagare tutti per pochi privilegiati che sfilano alla prima solo e puramente per farsi vedere millantando passione culturale.

  8. Giorgio Azzalin

    Mi sono sempre chiesto perche alla prima della Scala ci va gente che non paga. Si potrebbe fare un asta internazionale per i biglietti della prima e loro li regalano al vari potenti e famosi( incluso nani e puttane) dell’ultima stagione .Se vogliono usare la Scala come loro palcoscenico se la paghino .
    Il fatto poi che l”italia senza la Scala sarebbe troppo , e’ una stupidaggine,quello che e’ troppo e che un camion stia 3 ore in coda tutti i giorni in tulle le circonvallazioni d’Italia. La cultura della musica o artistica ben venga , la paga chi la usa .Mi piacerebbe anche che si smetta di parlare della cultura della Scala ,quando i partecipanti alla Scala ,sono per la maggioranza dei bugiardi ,ladri ,senza alun riguardo per il prossimo,gente che usa le cose di tutti come fossero proprie.Per ma cultura e’ avere la maggioranza delle persone che possano leggere un decreto, che mantenessero la parola data e che si sentano “in peccato” quando non pagano i fornitori .

  9. Giorgio Azzalin

    E per finire chi e’ “un economista”? Chi e’ laureato in economia … ne conosco di completi asini ,che insegna economia idem. Chi studia i modelli economici ,beh in questo caso devono studiare lungo poiche’ non c’e’ un economista escludendo quelli che invece prevedono catastrofi tutti gli anni , che abbia previsto la crisi attuale. Insomma io mi fideri di piu di chi fa l’economia di chi solo ne parla. Avete presente quando si mette un commercialista a capo di un azienda cosa succede? Libri perfetti e la ditta chiude.L’unico “economista” di cui mi fideri e’ Giannino e non perche’ e’ un economista ma perche’ ha dei valori in fondo al suo cuore che probabilmente non calpestera’ mai ( almeno questa e’ la mia impressione”.

  10. @ Azzalin , Andretta, Vincenzo, nick 1964

    Ehi ma che vi prende???
    Ma parlate sul serio?
    Ma vi piazzicato la Tarantola?
    Lo sapete che una delle poche ragioni al mondo per uno straniero di conoscere la nostra lingua, se non fa parte del mondo della mafia o del business del sesso, è proprio la lirica?
    Ma avete presente chi sono Rossini, Verdi, Mascagni, Leoncavallo e via dicendo?
    Accidenti, ma nemmeno Calvino (e non Italo) avrebbe scritto “meglio ignoranti con la pizza che colti senza…”
    Ma che siete bogomili, dolciniani o che?

    Poi che non siamo in grado di gestire il pubblico degnamente è un’altra faccenda, che non si riesca a fare una politica di promozione, prezzi e sviluppo dignitosa della lirica è vero, che tutto diventa un carrozzone pubblico da mungere zeppo di clientele è sacrosanto… ma l’idea di mettere a dirigere la Scala un’economista è più o meno come mettere come A.D. di mediobanca un pianista…
    Diciamo che le poltronissime dovrebbero essere stracare (e magari ogni tanto regalate a qualche giovane e meritevole musicista o appassionato), in modo da sostenere parte cospicua dei costi (notevoli).
    Ci manca solo che abbandoniamo del tutto la lirica e poi rimaniamo solo col rigore e l’equita(lia)…
    Perdonatemi la franchezza… ma nel 2012, ovvero il mondo del know how come fonte principale di potere e denaro, abbandonare gli asset culturali non è davvero lungimirante…

  11. Giorgio Azzalin

    @Abate di Thélème
    Con tutto il rispetto Abate ,questo e’ il motivo per cui in Italia non cambia mai nulla.Quando si tocca qualcosa ,si incomincia con la retorica ,in questo caso Verdi ,Rossini. Un po’ come essere dalla parte delle donne,i giovani ,il sud ,i lavoratori la liberta’ e la democrazia ….. tutte menate ipocrite. Io non vorrei vietare la lirica ,vorrei soltanto che se la paghi chi la segue.Lo stesso per il calcio ,o per tutto il resto . E anche basta dire che senza “cultura” diventiamo dei trogloditi.L’Italia e’ un paese indebitato dobbiamo tagliare, le pare giusto di prendere dei soldi dalla busta paga di chiunque ,che non riesce a pagare il mutuo ,per in parte pagare la Scala o la produzione di questi film italiani rididicoli ,vedi Moretti e compagni?Chi ama la musica e la lirica puo’ anche andare a sentire questi artisti in un parco o in in un capannone abbandonato ( non ne macheranno),o secondo lei solo nel lusso la musica si sente bene?
    La “cultura” in Italia e’solo un altro modo ,magari elegante per frodare la maggioranza dei cittadini a favore di una piccola minoranza .Per finire, io a differenza di Calvino non credo nella sovranita’ di Dio ,ma in quella dell’individuo ,e come tale non voglio che si usino le mie risorse ,per cose che non siano di uso comune ,ma di minoranza organizzate.
    Abate sa come finira ? a forza di tentare di mantenere le posizioni ,in tutti i settori , un giorno il sistema saltera’ e la Scala andra’ fuoco , come sempre e ‘ stato quando i problemi si nascondo e rimandano.
    Anche a me piace la musica , quanche anno fa sono andato al Metropolitan a New York ad assistere un concerto il mio amico medico newyorchese appassionatissimo di musica mi ha detto che Lui versa il 10% del suo reddito alla fondazione del Metropolitan dicendomi testuali parole” la musica e’ la mia chiesa”.Oltre al versamento ha pagato il suo biglietto e il mio !

  12. Giorgio Azzalin

    @DINO DARIOL
    Dino e’ come dire di liberare la RAI dalla politica! Smettiamo di credere alle favole .Se ci sono soldi pubblici la politica ci mette mano e gli amici non c’e’ soluzione. L’unico modo e’ toglire i fondi ed immediatamente tutto diventa reale. Se non c’e’ denaro pubblico nessuno mette un deficiente a capo perche’ perderebbe i suoi soldi .
    L’uomo e fatto cosi finche non gli metti le mani nel suo portafoglio non sente male.

  13. Giorgio Andretta

    @Abate di Thélème
    mai stato più serio.
    Inoltre penso che farmi rientrare nel bogomilismo sia un marchiano errore dal momento che mi son sempre dichiarato anarchico.
    Non ho mai sostenuto di posizionare un economista al vertice degli enti lirici, e sono altresì convinto che un musicista debba essere un buon padre di famiglia, quindi come può attuare delle preferenze tra figli?
    Considero che la globalizzazione e la libertà nel mondo finanziario non siano mai esistiti, inevitabilmente il banco sarebbe saltato e non drogato.
    Sarà un piacere rileggerla.

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