E se il vero prezzo della Brexit fosse politico e riguardasse la Scozia?
Da pochi giorni Londra è ormai ufficialmente fuori dall’Unione Europea. Per il governo Johnson questa è stata una vittoria politica importante, avvenuta in un momento difficile per il Regno Unito, uno dei paesi più colpiti dalla pandemia che ad oggi registra oltre 75 mila morti a causa del Covid-19 e decine di migliaia di casi giornalieri.
Se da un lato, come ricorda l’Economist nel suo primo numero di questo 2021, l’accordo raggiunto tra Regno Unito ed Unione Europea ricorda in parte le disposizioni in vigore tra Bruxelles e Berna (Svizzera) ed è soltanto un primo passo verso nuove trattative per raggiungere un accordo economico e commerciale più completo; dall’altro lato, dopo oltre 45 anni di membership comunitaria, il Regno Unito avrà l’occasione di presentarsi al mondo come un paese pronto a cambiare e a proporre una nuova politica estera. Per riuscire a riformarsi nel migliore dei modi il Regno Unito dovrà però fronteggiare nuove sfide, soprattutto interne, come quella proveniente dalla Scozia.
Non è infatti un caso che alla mezzanotte del 31 dicembre, mentre Londra celebrava l’inizio del nuovo anno con fuochi d’artificio spettacolari, Nicola Sturgeon, l’attuale Primo Ministro della Scozia si affacciava sui social enfatizzando come la Scozia presto tornerà ad essere un paese europeo indipendente.
Seppur solo un breve ‘post’, le parole di Nicola Sturgeon sono certamente un piccolo segnale che il 2021 potrebbe presto trasformarsi in un altro anno politicamente caldo per il Regno Unito. Stando ai nazionalisti scozzesi dell’SNP (il partito guidato da Nicola Sturgeon), infatti, l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea ha completamente ribaltato la situazione politica interna e dunque la Scozia, che nel giugno 2016 votò in modo chiaro contro la Brexit (il 62% degli Scozzesi si schierò a favore della permanenza del Regno Unito nell’Unione Europea), avrebbe tutto il diritto di indire un secondo referendum per l’indipendenza da Westminster. Proprio per questo motivo, già nel gennaio 2020, il governo scozzese ha approvato un progetto di legge volto a stabilire le regole per lo svolgimento del secondo referendum per l’indipendenza. Al contrario, il governo britannico, timoroso che un secondo referendum possa questa volta risultare nella vera e propria uscita della Scozia dal Regno Unito, si è già schierato contro questa idea, spiegando più volte nel corso degli ultimi due anni come il voto referendario del 2014 fosse un voto generazionale (parole ai tempi utilizzate da Nicola Sturgeon stessa).
Nonostante la netta presa di posizione del governo Johnson, la battaglia per un secondo referendum sull’indipendenza è destinata ad accendersi sempre di più, già a partire dalle prossime settimane. Il 21-22 gennaio la Court of Session (la principale corte civile scozzese) sarà infatti chiamata ad esprimere un giudizio sui poteri del Parlamento di Edimburgo in materia di referendum per l’indipendenza. Se la Corte dovesse esprimersi a favore degli indipendentisti, dichiarando che il Parlamento scozzese ha il potere di richiedere un secondo referendum per l’indipendenza senza il consenso di Westminster, il governo britannico rischierebbe di trovarsi in difficoltà nel bloccare un secondo referendum, nonostante la possibilità di appellarsi. Viceversa, nel caso in cui la Corte dovesse esprimersi contro la possibilità da parte del Parlamento scozzese di richiedere un secondo referendum senza il consenso di Westminster, è molto probabile che il governo scozzese si rivolga in breve tempo alla Corte Suprema per continuare questa battaglia legale.
Perché questo scontro legale? Attualmente il Parlamento scozzese sembra non avere il potere di indire un secondo referendum senza il benestare di Westminster. Ai sensi dello Scotland Act del 1998, al Parlamento scozzese non è consentito approvare legislazione relativa a materie di competenza di Westminster, tra cui i temi riguardanti “l’Unione dei regni di Scozia e Inghilterra”. Seguendo questa linea di pensiero costituzionale, qualsiasi referendum riguardante l’indipendenza scozzese richiederebbe dunque l’approvazione di Westminster, come avvenuto per il referendum del 2014. Secondo, invece, un’altra linea di pensiero costituzionale, che riprende in mano l’originale Act of Unions del 1707, atto con cui Scozia ed Inghilterra si unirono formalmente nel Regno di Gran Bretagna, il Parlamento scozzese avrebbe tutto il diritto di indire un secondo referendum per uscire dal Regno Unito senza dipendere dal governo britannico. Ecco perché alcuni nazionalisti scozzesi, convinti della bontà di questo secondo tipo di pensiero costituzionale, hanno deciso ora di appellarsi alla Court of Session.
Oltre a questa importante battaglia legale, lo scontro politico per un secondo referendum avverrà anche sul campo. Tra 5 mesi, il 6 maggio 2021, gli scozzesi voteranno per il loro nuovo governo. Stando ai sondaggi più recenti, il partito di Nicola Sturgeon potrebbe ottenere la maggioranza assoluta dei seggi, rafforzando così il suo già ampio potere. L’SNP governa la Scozia ininterrottamente dal 2007, non ha veri e propri rivali, e nel corso di questa ultima legislatura ha governato insieme ai Verdi, anch’essi forza politica che sostiene l’indipendenza dal Regno Unito. Inoltre, gli stessi sondaggi mostrano un forte sostegno alla causa indipendentista. Da giugno 2020 ad oggi tutti i principali sondaggi sul tema hanno sempre indicato come una maggioranza degli scozzesi sia favorevole all’uscita dal Regno Unito.
Ammettiamo per un istante che la Court of Session scozzese dichiari che il Parlamento scozzese abbia potere di indire un secondo referendum sull’indipendenza, che il 6 maggio 2021 l’SNP ottenga una maggioranza assoluta, e che – tra fine 2021 e inizio 2022 la maggioranza degli scozzesi voti a favore dell’uscita del Regno Unito.
In questo caso, il governo scozzese ed il governo del Regno Unito entrerebbero in una fase di negoziati simili a quelli avvenuti tra Regno Unito ed Unione Europea tra la seconda metà del 2016 e la fine del 2020. Queste trattative risulterebbero essere particolarmente complesse perché il futuro, probabile, governo Sturgeon e l’attuale governo Johnson sarebbero chiamati a negoziare molti punti sensibili come, ad esempio, la divisione delle attività e delle passività dell’attuale stato britannico, le nuove disposizioni per il confine tra Scozia ed Inghilterra, il futuro del programma nucleare britannico che attualmente ha sede nella baia di Faslane (sulla costa occidentale della Scozia), i limiti delle acque del Mare del Nord dove giacciono numerose piattaforme petrolifere e l’utilizzo della sterlina da parte della Scozia, almeno nei primi anni di indipendenza.
Un’altra grande domanda riguarda poi il ritorno della Scozia nell’UE. Se da un lato Nicola Sturgeon ha espresso la volontà di far rientrare la Scozia nell’Unione Europea, una Scozia indipendente dal Regno Unito verrebbe probabilmente considerata da Bruxelles un paese terzo e dovrebbe quindi presentare una domanda di adesione ai sensi dell’Articolo 49 del trattato sull’Unione Europea. Dunque, il rientro di Edimburgo nell’UE richiederebbe non solo lunghi negoziati di adesione (che però potrebbero risultare più rapidi rispetto a quelli di altre nazioni a causa del fatto che la Scozia, dopo oltre 45 anni di membership comunitaria, risulti essere già in linea con quasi tutti i parametri imposti da Bruxelles) ma anche il consenso di tutti i 27 Stati membri dell’Unione.
A questo proposito, molti analisti britannici si interrogano su cosa possa decidere la Spagna vista la complicata situazione legata alla Catalogna. Altri ancora, invece, si chiedono a quali condizioni economico-finanziarie una Scozia indipendente possa rientrare nell’Unione Europea. Edimburgo, infatti, potrebbe non essere in grado di rinunciare all’obbligo di adottare la moneta unica (l’euro) una volta soddisfatti determinati criteri, tra cui il rispetto dei parametri di Maastricht. Al momento, però, il governo scozzese non si è mai espresso con molto entusiasmo verso l’adozione della moneta unica. Nel maggio 2018, ad esempio, la Commissione per la Crescita Sostenibile dell’SNP ha raccomandato l’utilizzo della sterlina per un periodo di transizione “particolarmente esteso” prima di introdurre una propria valuta.
Infine, è giusto ricordare come una Scozia indipendente dovrà necessariamente affrontare scelte molto difficili sulla spesa e sul deficit pubblico, voci attualmente troppo alte e fuori controllo. Stando ai dati più recenti, infatti, secondo l’Office for National Statistics, la spesa pubblica pro-capite (inclusa la quota della spesa del Regno Unito per ambiti come la difesa) è di circa il 12% più alta in Scozia rispetto al resto del paese, mentre il gettito fiscale stimato è di circa il 3% inferiore rispetto alla media del Regno Unito. Il deficit pubblico, invece, è ben oltre il paletto del 3% richiesto dall’Unione Europea. Secondo l’Institute for Fiscal Studies, nel 2019-2020, prima della crisi legata al Coronavirus, il deficit del governo scozzese era pari all’8,6% del pil, circa 6 punti percentuali in più rispetto al deficit del Regno Unito. A causa dell’emergenza Covid-19 si prevede per il 2020-2021 un deficit pubblico scozzese pari al 26%-28% del pil. Dal 2007-2008, anno in cui l’SNP ottenne il primo incarico di formare un suo governo e anno dello scoppio della grande crisi finanziaria ad oggi, la Scozia sempre fatto registrare un deficit pubblico di oltre il 6% del pil.
L’uscita di Edimburgo dal Regno Unito rischia quindi di trasformarsi in una piccola caporetto, soprattutto dal punto di vista economico e finanziario. Ciò non significa che la Scozia non possa farcela nel lungo periodo. Avendo istituzioni politiche secolari particolarmente salde, un buon sistema educativo, università di alto livello, una popolazione specializzata, alcuni settori fortemente competitivi a livello globale, la Scozia avrebbe tutte le carte in regola per riuscire a costruirsi la propria posizione di paese indipendente al di fuori del Regno Unito. Se mai la Scozia raggiungerà questo obiettivo, i suoi futuri governi dovranno sicuramente trovare un nuovo equilibro economico che porti il paese a controllare in modo migliore le sue finanze. Se l’idea dei nazionalisti è quella di trasformare la Scozia in una nazione indipendente, dentro il mercato unico europeo, che prenda spunto dai paesi scandinavi (Svezia e Danimarca in primis), allora questi ultimi dovranno concentrarsi su ciò che ha veramente reso i paesi scandinavi forti: libertà d’impresa, riforme pro-mercato, finanze sotto controllo e mentalità capitalista.