26
Gen
2010

Davos, mito zoppo della governance globale

Festeggiamo il novecentesimo articolo del nostro blog dedicandolo al grande caravanserraglio dell’Uomo Globalizzato, il World Economic Forum che da domani sera a Davos apre la sua quarantesima edizione.  Il più grande merito di Klaus Schwab, è di averlo ideato riuscendo a farne dipendere ogni anno la crema del business e della politica mondiale come da una droga. Ma non mi pare, che quest’anno Davos sarà in grande spolvero.  Non si è ancora ripreso dalla botta terribile del 2009.

 Quella dell’anno scorso fu inevitabilmente un’edizione di guerra, per la portentosa macchina di leadership economico-politico-finanziaria messa in piedi dal professore svizzero di business strategy. Appena eletta l’amministrazione Obama, assenti tutti i suoi principali esponenti per la febbrile messa a punto dei primi provvedimenti con cui arginare la crisi e le emergenze internazionali, l’edizione dell’anno scorso fu consegnata alle cronache per le aspre accuse che proprio agli Stati Uniti e al suo modello banco-finanziario furono rivolte dal leader cinese Wen Jabao e da Vladimir Putin, con il primo che puntava il dito contro “un modello di sviluppo insostenibile, caratterizzato da un debole risparmio sul lungo periodo e da forti consumi nel breve”, e il secondo che esigeva dagli occidentali “l’abbandono dell’ideologia colonialista nelle relazioni bilaterali, economiche e finanziarie non meno che politiche”.

Gli effetti sono rimasti, sull’agenda del WEF. Che infatti quest’anno si ferma a 30 capi di Stato e di governo, rispetto ai 43 dell’anno scorso. Per carità, banchieri e Ceo del grande business mondiale ci sono come al solito tutti o quasi, tra i 2500 partecipanti. Ma lo speech di apertura a Sarkozy, con tutto che è la prima volta a Davos per un presidente francese, è una scelta di ripiego, la Francia non è proprio al top del potere mondiale. Né basta per elevare l’audience l’intervento di Zapatero, del presidente sudafricano Zuma, i reiterati interventi di Trichet, quello dell’ancora sconosciuta Mrs Pesc Catherine Ashton o di Almunia, nonché l’intera compagnia di giro dei capi delle ex istituzioni di Bretton Woords, FMI, Banca Mondiale, Ocse e ONU.

La lezione sino-russa – ! – sull’etica del business – !! – che deve tornare a orientare banca e finanza appare larghissimamente non recepita, un anno dopo.

La quarantesima edizione inizia sotto la sberla del rilancio polemico di Obama, proprio contro i banchieri del suo Paese. Colpito sotto la cintola dalle supplettive in Massachussetts e dalla vittoria del repubblicano Scott Brown che leva ai democratici la possibilità di far approvare la discussa riforma sanitaria, in crisi verticale di popolarità come nessun altro presidente USA al primo anno dall’elezione, Obama ha sparato a zero contro gli “osceni” bonus e lanciato l’idea di una megatassa da 90 miliardi di dollari in un decennio, che separi coattivamente le banche che fanno impieghi tradizionali a famiglie e imprese, rispetto a quelle – tutte le grandi, per altro – che continuano allegramente a fare il più di revenues e utili da proprietory trading, cioè dal vendere e acquistare per sé coi mezzi dei depositanti azioni e obbligazioni, futures e derivati su commodities, valute e indici. Per molti CEOs a Davos, un pugno in faccia.

A un anno di distanza, bisogna riconoscere che aveva ragione Timothy Garton Ash, e io non sono di quelli che glie la danno spesso. Dopo le accuse di Putin e Wen Jabao, scrisse che l’Uomo di Davos – l’idealtipo frequentatore dei corridoi più che delle sale in cui si tengono in questi giorni ben 225 diversi meeting tematici – ne usciva ferito a morte. Dopo anni di globalizzazione ormai galoppante, dopo l’ingresso della Cina nel Wto, la terribile crisi sembrava stoppare il più fermo credo della business community internazionale. La via del nazionalismo economico e degli aiuti di Stato ognun per sé e Dio per tutti inevitabilmenente levava a Davos priorità e status. Sarebbero stati gli oscuri leader politici nazionali, non i CEO arcimultiplurimilionari, a dettare un’agenda non più comune.

Il WEF 2010 non vuole ammetterlo, visto che è come riconoscere una sconfitta epocale, che mina il pingue business che Schwab condivide con la moglie Hilde. Ma è avvenuto ciò che Ash temeva. L’unica agenda davvero condivisa, in materia finanziaria, è quella affidata alle mani di Mario Draghi e del Financial Stability Board che egli coordina. Per il resto, l’America ha cambiato tre volte strada sul TARP e oggi Obama cambia direzione per l’ennesima volta, quasi disposto a sacrificare gli stessi Bernanke e Geithner. I salvataggi bancari in Europa sono avvenuti con ciascuno che ha pensato ai propri confini, e al massimo un coordinamento di massima tra le rinazionalizzazioni avvenute a palla in UK, Olanda, Belgio, Francia, Germania. La nascita del G20 è stata positiva, anche se resta un G2 – inefficiente – travestito. Ma al di là dell’agenda Draghi c’è solo la Banca dei Regolamenti Internazionali di Basilea – l’unica grande istituzione mondale che vanamente per anni, proprio a Davos, mise in guardia contro gli effetti del denaro facile praticato da Gresnspan e delle deregulation finanziarie adottate negli Usa – a lavorare seriamente a a chiedere alle banche di ricapitalizzare, senza scuse. Non c’è ombra del grande accordo valutario che servirerebbe tra dollaro, yuan ed euro, perché i cinesi hanno rimandato a casa a mani vuote Obama, alla sua prima grande uscita internazionale dopo il discorso egiziano ad Al Azhar che non gli è valso né consenso nei Paesi musulmani, né di evitare l’aggravamento in Afghanistan, né meno tensioni con l’Iran di Ahmadinejad.

E’ la sessione con Bill Clinton sui Haiti, una delle punte di attenzione a Davos. Ma anche ad Haiti ha ragione Bertolaso, al di là dell’inopportunità di puntare il dito a voce alta contro gli USA: di coordinamento internazionale vero, non ce n’è stato neanche l’ombra. Quanto allo spolvero che Davos quest’anno dedica a James Cameron e al suo Avatar, è singolare omaggiare il polpettone ambientalista concepito evidentemente senza immaginare il buco nell’acqua in cui per fortuna si è risolto il summit “epocale” di Copenhaghen sul clima.

“Rethink, Redesign, Rebuild”, recita il motto di Davos 2010. Già dal wording, si direbbe l’insegna di un’officina di riparazioni, più che la Camelot della sfolgorante globalizzazione. Eppure eppure, bisogna evitare di buttare il bambino con l’acqua sporca. L’errore è stato l’eccesso d paillettes del passato, non è il mondo s sbagliare. Per fortuna, al di là di tutto, la globalizzazione regge alla crisi finanziaria, e il commercio mondiale dopo il meno 15% del 2009 guadagnerà nel 2010 oltre la metà di ciò che aveva perduto. Con Cina, India e Brasile a tirare mentre l’America ristruttura e aumenta la produttività, e l’Europa spera. A non reggere non è il commercio globale, ma l’illusione che esistano valori universali, e governance condivise. E’ su questo, che l’Uomo di Davos ha sbagliato ricetta. Lo stesso sondaggio globale messo in rete all’inizio del WEF dice che se i due terzi degli intervistati ritiene che la crisi sia nata da mancanza di etica e valori, oltre il 50% nega che esistano però valori universali. Sì, la politica resta ancora nazionale, e i politici non vengono a farsi dare i voti dai CEO, preferiscono prenderli alle elezioni. Chi avesse dubbi, pensi al ferrigno Tremonti e al suo bando contro le tecnocrazie-oclocrazie.

Infine, il mio personale programma a Davos. Prima i meeting a cui non andare, inutili dal mio punto di vista. Quello sulla nuova idea di “crescita normale”, per esempio, dove non ha avuto senso far parlare Roubini col suo Cigno Nero, che riguarda tutt’altro. Quello sui “nuovi valori”, dove pontificato il solito Nobel Yunus: ma la sua Grameen Bank ammettere con successo al credito coloro che ne sono esclusi dalle banche, nulla può per piegare le banche stesse a diverse soglie di rischio dalle attuali. Quello sulla credibilità dell’economia: i nemici di Eugene Fama e della sua Efficient Market Hyphotesis, come Stiglitz, sono troppo in vantaggio nel panel (ma wqui da noi ormai anche il Corriere della sera dice che la scuola di Chicago è morta, e lo fa dire a una firma considerata evidentemente insospettabile di pendenze a sinistra,. come quella di Michele Salvati). Quello sui bonus ai banchieri: dove, appunto, brilla l’assenza dei banchieri stessi. Quello sulla Nuova Europa, riedizione di mille dibattiti già visto. Quello sulla exit strategy governative dai maxisalvataggi puibblici: parlano svedesi e israeliani, ma nessun politico europeo o americano.

Da sentire, invece. Larry Summers sul disastro americano, innanzitutto. Poi Profumo e Howard Davies, sula riforma dei mercati dei capitali. Il direttore generale della BRI, Jaime Caruana, sui rischi finanziari sistemici. Cheng Siwei e Yuan Xetong, su come ridare senso al rapporto tra USA e Cina. Non troppo altro. Capisco i premier che sono rimasti a casa.

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4 Responses

  1. eonia

    Si dice che a Davos dominerà la saggezza irrazionale dello “squilibrio globale”.
    E’ poco ma sicuro che se la finanza non si fosse legata a doppio filo con la politica e viceversa i criteri che BRI ribadisce costantemente non sarebbero disattesi anche nei regolamenti delle banche centrali e nelle pratiche “sinistre” che la politiche richiede dalla finanza “strutturata”.
    Per cui ha ragione Tremonti a dire fuori le tecnocrazie e men che mai le oclocrazie.
    L’Italia è il paradigma numero uno del dominio delle oclocrazie e della sua condizione subalterna ai loro dettami.
    Paradossalmente a Davos l’Italia si presenta con le carte in ordine e senza scadenze per l’immediato futuro.
    Più urgentemente invece devono dare risposte e proposte il Regno Unito –oggi King, trovava fondamenti all’isteria obamiana di venerdì- insieme all’America di quali riforme pensano che realmente necessitano i loro sistemi banco/finanziari.
    Per quanto attiene la Cina bisogna dire che impara alla velocità della luce.
    Dal 19 gennaio sono partite le restrizioni di credito al suo sistema bancario, riguardo i crediti.
    Accodi fra dollaro yuan euro semplicemente non possono esistere, almeno per ora.
    Se l’economia cinese continua ad avere il peso che ha nell’interno del FMI sicuramente non ci saranno accordi né oggi, né domani.
    Interessante sarà analizzare quello che il team del dott. Draghi presenterà e quanto tempo sarà ancora lasciato alla politica per correggere gli squilibri causati.
    Spero che le venga lasciato un tempo congruo rispetto ai suoi impegni elettorali, ma non oltre.
    Inventare slogan e priorità è compito dei politici non dei banchieri.

  2. Gabriel

    MA QUALE DAVOS!

    http://www.kitco.com/ind/Field/nov112009.html

    L’uovo di Colombo…come non averci pensato prima?

    E’ TUTTO RISOLTO!

    il grande Ben Bubble Bernanke l’aveva capito al volo…

    Il grande Ben non ripone grande fiducia nei libri…all’università, si è limitato a studiare la prima metà dei libri, quelli relativi alla deflazione…quando si sarebbe dovuto passare alla seconda metà dei libri, quelli relativi all’inflazione, il promettente Ben Bubble ha ritenuto che lo sforzo non fosse “worth it”…

    e come noto, si dedicò al “blind dating”, gli appuntamenti alla cieca, nel corso dei quali ha trovato moglie…

    ora la storia, nella sua infinita saggezza, gli ha offerto la soluzione:

    lo ZIMBABWE del grande statista Mugabe, è stato lo straordinario laboratorio economico-finanziario, più efficiente e risolutivo di tutti i think tanks del mondo:

    ad oggi, lo Zimbabwe

    NON HA PIU’ DEBITI: è l’unico Paese al mondo PRIVO di debito, pubblico e privato!

    NON HA BANCA CENTRALE! è l’unico Paese al mondo privo di una Banca Centrale…la moneta accettata è il dollaro, l’euro, il rand sudafricano, e altre ancora, con squisito gusto al benvenuto ed elegante assenza di discriminazioni economico-finanziarie…i politici locali, lo stesso grande statista Mugabe, non possono richiedere rapacemente la stampa di banconote, i loro istinti predatori sono soffocati sul nascere

    LE BANCHE LOCALI SONO LE PIU’ PRUDENTI AL MONDO NELL’ASSUNZIONE DI RISCHIO! basta coi prodotti finanziari tossici, basta coi mutui subprime elargiti anche a chi non ha stipendio o entrate di sorta, basta coi derivati e la leva e i CDO, MPO, CDS,MGA, etc etc in assenza di un prestatore di ultima istanza, le banche sono eccezionalmente prudenti nell’assunzione di ogni rischio di sorta…

    NO ISTAT E NO CONTROLLO SUI CAMBI! lo Zimbabwe non calcola più le variazioni dei prezzi, l’ISTAT locale è stato cancellato, e sono stati aboliti tutti i controlli sui foreign exchanges!

    IL TASSO DI CRESCITA ECONOMICO E’ FRA I PIU’ ALTI DELL’ AFRICA E DEL MONDO ! It is fascinating to see how rapidly the economy is recovering…in a free enterprise environment by the elimination of controls combined with the institution of new money that people trust

    ABOLIZIONE DELLA ZECCA DI STATO sono accettate solo banconote delle quali la popolazione ha fiducia!

    ELIMINAZIONE DI TUTTE LE “TOO BIG TOO FAIL ” ISTITUZIONI! “The alternative option for eliminating excessive debt is to take the tough political decision of allowing ‘too big to fail” companies to fail and accept the unpleasant economic consequences. Excessive Government spending should be curbed. A sound currency, elimination of all rules and controls in a completely free market will produce a much better result in the long term”

    NUOVO MODELLO ECONOMICO CHE HA FATTO STRAME DI TUTTI I PRECEDENTI MODELLI ACCADEMICI ! “Zimbabwe may yet prove to be a role model, demonstrating how rapidly a country can recover from the devastation of hyperinflation and the elimination of debt”

    ITALIANI! EUROPEI! AMERICANI! fatevi alfieri e vessilliferi di questa nuova strordinaria esperienza economica finanziaria!

    portate il busto del grande statista MUGABE in processione, fra cori di fanciulle e petali di rose!

    preparatevi ad adottare una nuova brillante moneta, come fase di transizione verso la sospirata libertà e il benessere economico per tutti e per sempre:

    il dollaro zimbabwiano!

    VIVA MUGABE E IL SUO EPIGONO BEN BUBBLE BERNANKE!

  3. andrea lucangeli

    “A non reggere non è il commercio globale, ma l’illusione che esistano valori universali, e governance condivise.”.- (fine della citazione): bene, allora sino adesso abbiamo scherzato, due guerre mondiali, la shoah, milioni di morti, l’ONU, la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo etc. etc. e finalmente abbiamo capito che nella nostra sventurata umanità non esistono valori universalmente condivisi…- Potevano dircelo prima così noi occidentali ci risparmiavamo un mucchio di seccature….- Quindi che si fa adesso? Liberi tutti, anarchia globale, il più prepotente vince e gli altri “si attaccano”? Non mi sembra un gran che come soluzione dei problemi….- Certo che se i “soloni” di Davos sbagliano così clamorosamente “ricetta” e meglio chiudere “baracca e burattini” per evitare ulteriori danni: ci pensera la Natura (il buon vecchio Darwin) a fare un pò di selezione naturale….(ad Haiti ha già cominciato…).-

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