16
Feb
2010

Dal Nimby al Nimto (Not in My Term of Office). Di Giovanni Galgano

Riceviamo e volentieri pubblichiamo da Giovanni Galgano.

Prendi un progetto che, come altri analoghi in pista, potrebbe svincolare l’Italia dalla spada di Damocle dell’approvvigionamento rigido di gas naturale attraverso i gasdotti, rendendo il mercato più libero e più competitivo. Sulla carta da 6 anni, non si vede ancora all’orizzonte alcun segnale di avvio dei lavori.  ERG e Shell avrebbero in animo di realizzare un rigassificatore nell’area industriale di Priolo, a un tiro di schioppo da Siracusa, in una zona a forte vocazione industriale e che sta trasformandosi da polo petrolchimico tout court a centro di produzione energetica multiforme. Quello di Ionio gas (la joint venture di ERG e Shell) è il classico esempio di opposizione territoriale ad un’infrastruttura energetica, un caso in cui fenomeno “Nimby” e opportunismo politico si mescolano per dar vita ad un incredibile quadro di ritardi, decisioni attese  e mancate, conflitti tra forze politiche locali, ricorsi alla giustizia amministrativa e referendum popolari più o meno attendibili. Il caso del rigassificatore siracusano può rappresentare un’ esemplare sintesi di tutto quanto emerge dal quinto rapporto  prodotto dall’Osservatorio Nimby Forum, che monitora e studia i casi di contestazione e opposizione territoriale ad impianti e infrastrutture su tutto il territorio nazionale e che oggi viene presentato a Roma da Aris.

Un quadro, quello confezionato dai dati dell’Osservatorio, tutt’altro che esaltante: 283 opere e impianti censiti (e casi di contestazione in aumento del 7% rispetto al 2008), 152 nuove situazioni di contestazioni, ovvero fresche, nate nel 2009. E ancora, trasversalità piena della protesta: prevalenza del Nord, distribuzione delle “lotte” attraverso tutta la filiera politica e amministrativa e, naturalmente, coinvolgimento di ogni colore politico.

Indipendentemente dall’analisi dei singoli casi,  sembra che il fenomeno continui a diffondersi interessando indiscriminatamente infrastrutture, settore dei rifiuti, centrali per la produzione di energia elettrica, rigassificatori, elettrodotti, e con crescente intensità anche gli impianti a fonti rinnovabili come i parchi fotovoltaici, che per la prima volta rientrano tra le tipologie degli impianti contestati.

Ai casi di rilievo nazionali si affiancano con maggiore frequenza focolai di forte dissenso contro impianti di piccole dimensioni, situazioni di conflitto che, pur non arrivando all’attenzione dell’opinione pubblica nazionale, contribuiscono al rallentamento del sistema- Paese. A leggere  i dati del rapporto, è facile osservare come le proteste colpiscano gli impianti indipendentemente dal loro stato di avanzamento. I media riportano infatti notizie di proteste nei confronti di  ipotesi di progetto, di impianti in corso di autorizzazione o già autorizzati, ma anche di opere per cui è stata avviata la fase di cantierizzazione o già esistenti.

Il rapporto di Aris ci colpisce per un dato: si evince chiaramente che il fenomeno delle opposizioni territoriali  sta  mutando rapidamente, e, come un virus che trova nuove alchimie per diffondersi e colpire, si ciba sì delle contestazioni dei cittadini (l’elemento che ha fortemente caratterizzato le prime edizioni del Forum), ma sempre più viene alimentato da una pervicace politicizzazione:  insomma, il fenomeno Nimby (“Not in my back yard”) evolve verso un più moderno “ Not in My Term Of Office” (“non durante il mio mandato elettorale”).

Gli studiosi della materia ci dicono oggi due cose: la paralisi che attanaglia il Paese si deve fondamentalmente alla voglia dei cittadini di essere ascoltati e di influire sulle scelte del loro territorio, opportunità che però non viene incanalata in un sistema di dialogo e di partecipazione integrato e regolamentato; ma soprattutto ci dice che il fenomeno si è fortemente politicizzato, e che la protesta viene non solo cavalcata, ma spesso generata e guidata a fini elettorali e di consenso.

L’analisi approfondita di questi indicatori ha permesso agli studiosi di Aris di rilevare oltre a una sostanziale trasversalità politica delle contestazioni, anche l’esistenza di incongruenze tra soggetti appartenenti alla stessa compagine politica che si esprimono sul medesimo impianto. Scorrendo il rapporto del Nimby Forum, si registrano episodi in cui, per esempio, la posizione favorevole assunta dallo schieramento politico a livello di governo centrale o regionale contrasta con l’opposizione manifestata dallo stesso schieramento a livello comunale o provinciale. Come del resto è possibile rilevare una comunanza d’intenti tra schieramenti politici opposti che sono in carica a diversi livelli. Il crescente ruolo assunto dagli enti pubblici nel farsi portatori di istanze contrarie all’insediamento di impianti sul territorio di riferimento emerge anche dai dati sulle tipologie di contestazione. Se è vero che nel 40,7% dei casi i principali fautori delle contestazioni sono sempre soggetti riconducibili a movimenti di cittadini (comitati, associazioni culturali o altre organizzazioni che agiscono sui territori), d’altra parte si osserva che gli enti pubblici con il 31,4% occupano il secondo posto e precedono, con un distacco di circa 15 punti percentuali, i soggetti connotati politicamente che agiscono a livello locale, come gli esponenti dell’opposizione all’interno delle diverse Amministrazioni.

In buona sostanza:  si sta facendo poco o nulla per favorire una partecipazione ampia ma regolamentata dei cittadini alle scelte che influiscono pesantemente sui territori (basterebbe prendere spunto da quello che avviene in Francia o in Inghilterra, dove le comunità vengono coinvolte nel dibattito ma con tempi certi e con strumenti di partecipazione trasparenti e definitori); il caos burocratico e la legislazione concorrente tra Stato e Regioni non può generare altro che tensioni e conflitti, anche istituzionali, in una materia che necessiterebbe  come il pane di una seria pianificazione; ai confini dell’impero la lotta politica senza quartiere e i localismi bloccano senza alcun pudore investimenti per puro calcolo elettorale, anche verso opere che sembravano immuni e politically correct, come gli impianti fotovoltaici ed eolici.

E in questo scenario pensiamo davvero di assistere alla rivoluzione nucleare italiana? 

Giovanni Galgano, esperto di comunicazione e public affairs.

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1 Response

  1. mattia de vecchi

    Bravo Giovanni, grazie.
    “il fenomeno si è fortemente politicizzato, e la protesta viene non solo cavalcata, ma spesso generata e guidata a fini elettorali e di consenso.”
    Qualcuno mi raccontò di una delegazione italiana guidata da investitori in LNG che portò alcuni esponenti delle amministrazioni locali in Francia per capiere come mai i loro omologhi francesi avessero accettato di buon grado la presenza dei terminali nel territorio da questi amministrato. La risposta, preceduta da occhi sgranati per l’ovvietà, fu “perchè me l’ha chiesto Parigi”.
    Cari politici locali italiani, sono certo che vi opponete perchè ve l’ha chiesto Roma.

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