12
Ott
2018

Chiusura alle 21 dei negozi “etnici”? Una misura incostituzionale e controproducente

Il ministro dell’Interno, Matteo Salvini, ha annunciato che con il c.d. decreto “sicurezza” sarà introdotto l’obbligo di «chiusura entro le 21 dei negozietti etnici che diventano ritrovo di spacciatori e di gente che fa casino». Provando ad anticipare le più ovvie obiezioni, il vicepremier si è affrettato a sottolineare che «non è un’iniziativa contro i negozi stranieri, ma per limitare abusi di certi negozi che diventano ricettacolo di gente che fa casino».

Questa breve dichiarazione è tutto ciò che il ministro ha offerto nel chiarire contenuti e finalità della nuova misura, di cui quindi sappiamo ancora poco: quel poco, però, che è sufficiente per individuarla come potenzialmente “incostituzionale” e “controproducente”.

L’incostituzionalità è palese in ordine al carattere “discriminatorio” del divieto: come ha immediatamente ricordato il segretario generale della Confesercenti nazionale, «non si può fare una norma che discrimina determinati imprenditori rispetto ad altri. Chi ha un’attività commerciale ha diritti e doveri: il dovere di rispettare le regole e il diritto di restare aperti, sia che siano esercizi gestiti da stranieri, sia che siano esercizi gestiti da italiani». La violazione dell’art. 3 Cost. rileverebbe poi non solo in quanto lesione dell’uguale trattamento degli individui davanti alla legge, ma anche in ragione della evidente vaghezza del divieto: cos’è, infatti, un negozio “etnico”? Un negozio gestito da cittadini stranieri? O un negozio in cui è possibile comprare prodotti di origine non italiana? E, sia nel primo che nel secondo caso, il divieto colpirebbe qualsiasi “etnia” o solo alcune di esse?  Come è chiaro, dunque, siamo di fronte a una norma che sarebbe applicata in modo così discrezionale da risultare arbitrario, oppure risulterebbe del tutto inapplicabile.

Ma l’ineguale trattamento degli individui non sarebbe, a parere di scrive, l’unico profilo di incostituzionalità della misura. Ve ne sarebbe un altro – e altrettanto rilevante: quello della lesione della libertà di iniziativa economica privata consacrata dall’art. 41 Cost. E, come nel caso della “Ausverkaufte Heimat” in Alto Adige, l’intrusione dello Stato nelle attività economiche non sarebbe indebita solo dal lato di chi vende, ma anche da quello di chi compra: perché, infatti, un cittadino “non etnico” (perdonate l’orrenda espressione, ma serve a rendere immediatamente chiaro il concetto) dovrebbe vedersi privato della possibilità, dopo le 21, di entrare in un negozio “etnico” e comprare ciò che desidera? Il ministro Salvini ha fatto appello a ragioni di ordine pubblico: ebbene, se dette ragioni sono reali, esistono già i rimedi necessari per farvi fronte. D’altro canto, lo stesso ministro ha annunciato un piano straordinario di assunzioni nelle forze di polizia: è questo il genere di risposta che ci vuole per la prevenzione e la repressione di reati più o meno gravi, non varare divieti-spot che colpiscano, indiscriminatamente, tanto gli “onesti” quanto i “disonesti”, sol perché questi condividono tra loro alcuni tratti caratteristici.

In ultimo, al netto dei profili di potenziale incostituzionalità che si sono affrontati, è anche il caso di riflettere sull’utilità, in termini di public policy, di un tale divieto: ci si lamenta spesso – e a ragione – del fatto che l’immigrazione italiana sia una di “basso” livello, in quanto composta da persone “non qualificate” e che il nostro sistema economico fatica a riassorbire. Se questo è uno dei grossi problemi del nostro tempo, perché mai lo Stato dovrebbe deputare energie e risorse a scoraggiare quei pochi che, invece di restare ai margini della strada a mendicare la carità dei passanti, si rimboccano le maniche e riescono a mettere su una piccola attività economica? Il costante ricorso alla propaganda elettorale è comprensibile: sarebbe il caso, però, una volta giunti al governo, di smettere di praticare almeno quella i cui risultati potrebbero essere così controproducenti.

@GiuseppePortos

You may also like

Punto e capo n. 46
La riforma fiscale: dopo il cattivo esempio i buoni (?) consigli
Quest’estate andremo tutti al cinema?
Taglio del cuneo fiscale: utile, ma non risolutivo

Leave a Reply