22
Ago
2013

Venditori di tappeti (persiani) — di Reza Ansari

In Iran si levano voci a favore del libero scambio e della cooperazione con gli Stati Uniti

Riceviamo e volentieri pubblichiamo da Atlas Network.

L’elezione del moderato Hassan Rouhani alla presidenza della Repubblica Islamica dell’Iran è un chiaro segno che tanto il popolo iraniano quanto l’establishment politico vogliono che le sanzioni economiche occidentali che danneggiano il paese vengano eliminate grazie ad un cambiamento di rotta nella disputa nucleare con l’America. Ora che Rouhani ha assunto la carica, importanti esponenti iraniani stanno promuovendo il tradizionale messaggio che la libertà dei commerci favorisce la pace, oltre che la prosperità.

In un fondo pubblicato il mese scorso nel giornale Donya-e Eqtesad, il professor Mousa Ghaninejad, una eminente voce nel dibattito pubblico, si è appellato all’autorità di Montesquieu (uno dei pensatori che hanno ispirato la fondazione della repubblica americana) per spiegare che il libero scambio crea ricchezza e – aumentando l’interdipendenza – favorisce la correttezza, il rispetto per i diritti altrui e la pace. Ghaninejad, che da una ventina d’anni è un instancabile paladino del liberalismo e della libera impresa in Iran, ha aggiunto che le sanzioni sono improduttive e illegittime, concludendo chiedendo al popolo iraniano di appellarsi al mondo per ottenere la fine delle sanzioni.

Il messaggio di Ghaninejad ha avuto vasta eco in Iran. Giorno dopo giorno nei giornali compaiono articoli e interviste contrari alle sanzioni. Una pagina Facebook di protesta contro di esse ha registrato oltre 10.000 fan. L’8 agosto, 55 importanti prigionieri politici iraniani si sono aggiunti alla campagna inviando una lettera aperta al presidente Obama (pubblicata sul Guardian) in cui se ne chiedeva l’eliminazione, chiedendo al presidente di cogliere l’occasione presentata dall’elezione di Rouhani al fine di dare al conflitto una risoluzione reciprocamente accettabile.

Le sanzioni non sono una novità per l’Iran e la storia ci dice che non hanno mai funzionato.

Quando l’Iran nazionalizzò la Anglo-Iranian Oil Company nel 1951, la Gran Bretagna congelò immediatamente i beni iraniani, proibì le esportazioni verso il paese e bloccò le navi che vi erano dirette facendo operare la Royal Navy nel Golfo Persico. L’embargo ebbe pesanti conseguenze per la popolazione iraniana, ma non riuscì a mutare la politica di nazionalizzazione del governo, anzi, accrebbe l’autorità dei politici che si opponevano a qualsiasi compromesso. Ad un certo punto dell’arbitrato condotto dagli Stati Uniti e dalla Banca Mondiale le due parti si trovarono molto vicine ad un accordo, ma a quel punto i sentimenti nazionalistici e il desiderio di inflessibilità nella popolazione erano talmente accesi che gli esponenti più radicali riuscirono a convincere il Primo Ministro Mohammed Mossadeq a rifiutare ogni accordo. Ne conseguirono il colpo di stato del 1953 contro Mossadeq (con l’aiuto della CIA), venticinque anni di governo autoritario dello Scià e la rivoluzione islamica del 1979.

Anche nel 1979, quando il personale dell’ambasciata americana a Tehran venne preso in ostaggio, le autorità degli Stati Uniti congelarono i beni iraniani e imposero sanzioni, che da allora non sono mai cessate e si sono anzi ulteriormente intensificate. Certamente la crisi degli ostaggi esigeva una energica reazione da parte degli Stati Uniti, ma si può dire che le sanzioni abbiano portato al rilascio degli ostaggi? Certamente no, anzi, si è sostenuto che, anche in assenza di sanzioni, le pressioni diplomatiche sul governo rivoluzionario iraniano (la cui credibilità come membro del Movimento dei Paesi Non Allineati era stata gravemente danneggiata) avrebbero condotto al medesimo esito.

È il caso di chiedersi: che sarebbe accaduto se, nei 24 anni passai, il popolo americano fosse rimasto un forte partner commerciale del popolo iraniano, a dispetto di tutti i conflitti politici? Non avremo una situazione in cui i due paesi si troverebbero in una posizione più favorevole a risolvere le loro dispute?

Per il popolo iraniano si tratta di una questione urgente: il Fondo Monetario Internazionale afferma che le sanzioni (che gli Stati Uniti vorrebbero vedere adottate anche da altri paesi) rappresentano il principale motivo della contrazione dell’economia iraniana. Nel 2012 il PIL iraniano si è ridotto dell’1,9 per cento e il FMI prevede che quest’anno la riduzione sarà pari ad un ulteriore 1,3 per cento.

In questa sventurata situazione c’è solo una cosa di cui essere lieti. La campagna popolare iraniana contro le sanzioni, che gode del sostegno di tutte le forze politiche, si fonda sull’antica verità che dice che limitare il commercio ci rende tutti più poveri. È una lezione che si impara ogni giorno sul mercato. Come evidenzia Ghaninejad, il decano del liberalismo classico in Iran, ne consegue che, grazie ai benefici della divisione del lavoro e alla benevolenza prodotta dalla cooperazione economica, liberare gli scambi ci rende tutti più ricchi.

Questo rimane sempre vero, sia quanto le limitazioni ai commerci vengono dalle sanzioni americane, sia quando ciò avviene in virtù delle tariffe e delle quote alle importazioni imposte dall’Iran.

Reza Ansari è direttore di Cheragh-e Azadi (La lampada della libertà), che è la piattaforma iraniana della Atlas Economic Research Foundation. Cheragh-e Azadi diffonde le idee del liberalismo classico tra la popolazione di lingua iraniana in Iran e Afghanistan.

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1 Response

  1. Certo, indipendentemente da questioni storiche o politiche, il tappeto persiano rimane “il tappeto”, proprio per una questione legata all’immaginario collettivo. È quello del genio, quello di Aladino, quello del principe di Persia (no, lui forse andava a piedi). Ne apprezzo in particolar modo la presenza in arredamenti moderni, proprio per il contrasto.

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