17
Mag
2016

Uso di suolo e consumo di libertà—di Marco Romano

Riceviamo e volentieri pubblichiamo da Marco Romano.

Questa del consumo di suolo è una delle molte trovate di un certo stile autoritario radicato nel solito principio di conoscere il vero bene collettivo e di imporlo ai legittimi desideri dei singoli cittadini.

In questo caso è il legittimo desiderio di possedere una casa, perché il possesso della casa è da mille anni la condizione stessa della cittadinanza, come oggi quando chiedi la carta d’identità ti viene chiesto il tuo indirizzo.

Succede anche da novecento anni che quanti sono già cittadini vogliano selezionare gli immigrati con il semplice espediente di far mancare il terreno edificabile dentro le mura, obbligandoli a costruire la casa nei sobborghi, finché poi il loro progressivo rilievo costringerà ad ampliare la cerchia delle mura, una due o tre volte.

Quando nel tardo Cinquecento le mura verranno demolite a Londra o a Parigi i sovrani metteranno cippi vietando di costruire lì fuori, salvo constatare dopo vent’anni duemila palazzi abusivi (gli stessi abusivi che negli ultimi decenni hanno costruito fuori da piani regolatori costrittivi).

Chi desidera una casa per diventare cittadino sono oggi gli immigrati meno abbienti che a parole si vorrebbero integrare, ma che non riuscirebbero mai a pagarsi una casa su edifici costruiti su aree dismesse e poi espropriate, che si presume invece sarebbero alla portata dei figli e dei nipoti di quei cittadini che vogliono limitare il consumo di suolo.

La soluzione più semplice sarebbe proprio quella di predisporre ampi piani regolatori per consentire anche agli immigrati meno abbienti di procurarsi una casa: con settemila euro potresti comperartene una prefabbricata, meno ancora se te la costruissi, il Comune potrebbe mettere a disposizione quelle che vengono chiamate aree agricole con prestiti rateizzati a lungo termine.

E poi se il 40% degli europei oggi abita in case unifamiliari a che titolo dovremmo farli accatastare in edifici alti che non tutti desiderano? Per destinare il suolo a un’agricoltura che non ne ha alcuna necessità?

La cosa curiosa è che l’articolo 47 della Costituzione incoraggia la proprietà della casa, e non vedo come ciò sia possibile senza mettere a disposizione nuove aree edificabili a un costo commisurato alla disponibilità degli aspiranti proprietari e cittadini: non è tanto una faccenda da affrontare sotto il profilo economico, ma soprattutto dal punto di vista della libertà.

Marco Romano, già professore di urbanistica all’IUAV, ha diretto il Dipartimento di urbanistica dal 1978 al 1982, poi a Palermo e Genova, è direttore della rivista “Urbanistica” e recentemente autore di “Liberi di costruire”.

7 Responses

  1. FR Roberto

    Al già Professore, voglio chiedere questo: cosa ce ne facciamo delle aree edificate e dismesse???? Lasciamo a perenne eredità del prossimo questi ruderi??? Ne accumuliamo altre da aggiungere a quelle esistenti??? Vogliamo adottare il modello favelas??? In certe aree urbane il livello di consumo del suolo è già a livelli elevati: a cosa si riferisce???

  2. Bobcar

    Discorso assai confuso, da una parte confonde “la residenza” con la “proprietà dell’immobile in cui si risiede” (non so se ridere o piangere) e si tira fuori questa idea che la proprietà della casa in cui si vive sarebbe “da mille anni la condizione per la cittadinanza” (ma quando mai! da secoli le vie maestre per ottenere la cittadinanza possono essere due, lo jus sanguinis o lo jus soli, onestamente lo jus domi non l’ho mai sentito) e poi sembra quasi che la Costituzione sancisca l’obbligo di adottare il “modello favelas” di sviluppo urbanistico, mentre invece la Costituzione all’articolo 9 (quindi addirittura nei Principii fondamentali) prevede proprio la tutela del paesaggio. Lasciamo perdere le favelas, e facciamo come nel resto del mondo civilizzato, ossia investiamo in edilizia sociale, disincentiviamo fiscalmente la proprietà di abitazioni oltre la prima, ed infine si favorisca il riutilizzo delle aree edificate e dismesse, piuttosto.

  3. Francesco

    Leggo spesso questo blog e mi trovo d’accordo con quanto scritto, ma questa volta proprio no. L’Italia ormai è stata devastata da permessi per costruire scriteriati, aree commerciali e industriali che si moltiplicano ovunque, capannoni costruiti a caso. L’intero nord è un’informe e orrenda periferia industriale. Per non parlare dell’abusivismo del sud. E qui si va contro una delle poche norme che tentano di porre un freno a tutto ciò?

  4. Ettore Menguzzo

    Il contenuto dell’articolo mi sembra assai lacunoso; a parte il tono storico/paternalistico il passaggio sulle “cosidette” zone agricole è veramente deprimente. Eliminiamole queste inutili zone agricole riempendole di case prefabbricate a meno di 7000 Euro (intende forse case mobili? perchè una vera casa prefabbricata che non sia mono-ambiente costa un filo di più) e lasciamo belle dismesse le aree fatiscenti che riempiono parecchie città, per non contare tutte le aree edificate abusivamente ecc. ecc. Visto il rispetto profondo che portiamo tutti verso l’IBL consiglierei un po’ più atenzione nel valutare un articolo prima di pubblicarlo. Se contiene delle provocazioni siano almeno provocazioni argute che non terminano con una contrapposizione assurda tra libertà e urbanistica/progettualità abitativa.

  5. Roberto B.

    Di vani disponibili ce ne sono fin troppi, spesso ruderi malsani ma spesso nuovi e senza acquirenti.
    Bisogna ridefinire gli oneri di urbanizzazione che rappresentano una droga per le casse municipali

  6. Andrea61

    Articolo scombiccherato, confuso e superficiale, totalmente inadeguato al livello del blog.
    Mi limito a far notare che tra case sfitte e invendute potremmo dare la seconda casa a metà paese salvando l’art. 47 della Costituzione. Date le condizioni credo il tema dell’uso dello spazio (finito) ancora disponibile meriti analisi un po’ più approfondite. Solo dove vivo gli ultimi tre progetti urbanistici sono o falliti o messinin stand-by ma il Comune sta pensando di autorizzarne un altro perchè così mette gli oneri di urbanizzazione a bilancio; se va bene arriveremo ad avere quattro cattedrali nel deserto.

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