15
Giu
2010

Ue: microleader, micropolitiche, Deutschland über alles

Ha ragione o torto Wolfgang Munchau, il prestigioso editorialista del Financial Times, che all’indomani dell’ultima bombastica uscita di Herman Van Rompuy, presidente del Consiglio Europeo, ha perso la pazienza e scritto nero su bianco che a furia di avere leader espressi da piccoli Paesi, l’Unione Europea non può che avere piccole politiche? Temo abbia ragione da vendere, e non per pregiudizio nei confronti dei piccoli Paesi. Anche perché alcuni di essi, come il Belgio di cui Van Rompuy è stato primo ministro, hanno in effetti dato tanto all’Europa, all’affermarsio originario della sua idea e poi al suo progresso istituzionale e politico. Ma la realtà dell’Europa odierna è quella che è. Nessuno regge ai tedeschi. Se fossi tedesco, me ne compiacerei. Ma non sono tedesco. Né europeista all’italiana, quella peculiare versione del federalismo irreale, invocato per non affrontare intanto la nostra realtà, di ritardi e inefficienze.  Belgio e Olanda sono politicamente implosi, sotto il peso della divisione tra valloni e fiamminghi il primo – a un passo dalla separazione ormai, con toni che al confronto quelli della nostra vecchia Lega di 15 anni fa sembrano da consumati statisti – e per l’ondata di nazionalismo e xenofobia la seconda, per reazione a decenni di buonismo con pessimi effetti sull’integrazione di tanti immigrati musulmani. In Spagna Zapatero è ai minimi di popolarità, con la crisi al galoppo delle casse di risparmio, verso le quali gli intermediari di grandi Paesi come Germania e Francia e Stati Uniti sono esposti per oltre 150 miliardi di euro a testa. Idem dicasi per Sarkozy in Francia, che non avrà la crisi bancaria dopo le nazionalizzazioni ma in compenso mal controlla un’esplosiva situazione sociale. Non se la passa meglio il Regno Unito, dove l’inedito governo di coalizione Tory-LibDem il 21 giugno è atteso a una manovra correttiva che difficilmente sarà in grado di fermare davvero un deficit pubblico a doppia cifra di PIL da due anni.

In questa situazione, l’unica vera strategia si qui messa in campo con ostinata determinazione da un anno e mezzo è stata quella tedesca. Un ferreo no a politiche europee condivise tanto per il sostegno alla domanda, in settori  come l’auto come in qualunque altro a cominciare dai salvataggi bancari, fino al no a strumenti finanziari condivisi per il sostegno ai pPesi il cui debito balla sui mercati, e a qualunque idea di debito comune europeo, per finanziare la crescita attraverso investimenti in infrastrutture e ricercam o per interventi di ultima istanza alla FMI. La Germania è l’unico Paese europeo in forte attivo commerciale e di bilancia dei pagamenti. Per questo, tende a capitalizzare al massimo la ripresa del commercio mondiale incamerandone per sé la quota maggiore, e aggiudicandosi il più del vantaggio competitivo conseguente al deprezzamento dell’euro sui mercati per effetto dell’eurocrisi. Tanto, il flight to quality degli eurotitoli pubblici premia in ogni caso il BUND tedesco: il debito sovrano germanico paga oggi un interesse pari a meno della metà sui due anni dell’equivalente tasso d’interesse della BCE all’1%, rispetto ai 320 punti base punti irlandesi, ai 340 spagnoli, e ai 790 greci. Che cosa può fare, in una situazione simile, un esangue ex leader del partito cristiano democratico fiammingo come Van Rompuy, scelto per la presidenza del Consiglio europeo apposta per non turbare la leadership di fatto solo tedesca?

La prima strada, quella seria, implicherebbe coagulare una maggioranza del Consiglio europeo, incardinata sui due pilastri della Francia e dell’Italia, i due maggiori Paesi che chiedono alla Germania politiche europee davvero condivise per alimentare crescita aggiuntiva. Il presupposto di questa exit strategy – tentare di aggiungere un punto di Pil di crescita potenziale all’esangue un per cento di crescita atteso se va bene per il 2010 dall’euroarea – è mettere la Germania con le spalle al muro, di chiederle esattamente quello che gli USA chiedono alla Cina . Riequilibrare i suoi surplus commerciali dando più spazio alla propria domanda interna, per aprire spazio all’export dei Paesi più deboli. La Cina, malgrado le polemiche sul cambio fisso dollaro-renmimbi, lo sta facendo a vantaggio di tutti i Paesi asiatici alle cui esportazioni ha aperto il proprio mercato, assai più di quanto la Merkel invece vi resista in Europa. Alla Germania bisognerebbe dire che la sua domanda interna va sostenuta non con più deficit pubblico, ma con liberalizzazioni interne e una grande pulizia degli attivi delle banche tedesche, che restano al parte più opaca del credito europeo.

Ma ciò implicherebbe esporsi a scontri molto seri. I tedeschi, su questo, non fanno prigionieri. Così Van Rompuy preferisce la seconda strada. Traccheggiare dicendo che occorre un Patto di Stabilità più serio, ma nessun nuovo strumento comune. Dire sciocchezze contro la speculazione che attacca l’euro. Pur al contempo riconoscendo che, in dieci anni, la forza relativa dell’euro ci ha impedito di vederne le debolezze. Sbaglierò, ma attualmente l’exit strategy tedesca sull’euro è, se le cose continuano così, di una moneta comune entro pochi anni solo per sé e i Paesi in cui ha delocalizzato a Est e che ne accettano la leadership. Tutti gli altri, semplicemente, non ne hanno una. Tranne lo stellone. Vedremo giovedì al Consiglio Europeo se, con questi chiari di luna, passa la proposta italiana di introdurere come cioterio nel Patto di stabilità invece del debito pubblico sul PIl il DIL, il debito interno lordo fatto per somma di quello pubblico, delle famiglie, delle imprese non finanziarie e di quelle bancarie.

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9 Responses

  1. Enzo Michelangeli

    Va bene, l’Europa politica e’ morta, ma perche’ piangerci sopra? Il fatto che i governi detengano il monopolio in vari settori che richiedono l’uso della forza e’ un male necessario, ma non vedo perche’ peggiorare il male creando un monopolio su scala continentale anziche’ lasciare tanti fornitori di servizi governativi (gli stati nazionali) agire in concorrenza tra di loro per capitale e talento umano. Delors diceva che non si puo’ innamorarsi di un mercato singolo, ma sicuramente non parlava per il sottoscritto, e non credo di essere l’unico.

    Certamente il patto di stabilita’ e’ una sciocchezza che e’ impossibile far rispettare, ma per far durare l’Euro come moneta comune (con tutti i vantaggi che ne derivano per i rapporti commerciali in termini di stabilita’ dei cambi) basterebbe trattarlo come una valuta “esterna”, la cui quantita’ non puo’ essere manipolata per via politica – un po’ come accadeva ai tempi del Gold Standard. E se alcuni paesi diventano insolventi, cosi’ sia: peggio per chi ha prestato loro soldi a tassi irragionevolmente bassi ben sapendo che la parola di un politico greco (o italiano, se e’ per questo) non vale l’aria usata per esprimerla. Se a prestar soldi sono state banche tedesche, saranno problemi la cui risoluzione spetta al governo tedesco, che dovra’ anche spiegare ai suoi elettori le ragioni di un cosi’ clamoroso fallimento nella supervisione delle proprie istituzioni finanziarie.

  2. Luciano Pontiroli

    Bisogna intendersi: quale Europa politica è morta? quella, idealizzata da alcuni, che avrebbe dovuto pian piano assumere le fattezze di un vero e proprio stato federale (i mitici Stati Uniti d’Europa)? o quella reale, cioè un sistema di governo a molti livelli? a me pare che questa, pur con tutte le sue pecche, sia meno oppressiva di uno stato nazionale pienamente sovrano e che, sotto diversi aspetti, abbia reso migliore la condizione dei cittadini. Del resto, nel dibattito sull’art. 41 della Costituzione italiana si è generalmente riconosciuto che gli aspetti più inquietanti di quella norma erano stati cancellati proprio dall’integrazione europea.
    Non mi sembra casuale che Giannino affidi le sue speranze all’azione concertata di Stati nazionali: l’Europa è questo, non Van Rompuy.

  3. Paolo

    “una grande pulizia degli attivi delle banche tedesche, che restano la parte più opaca del credito europeo”. Sarebbe il caso di ricordarglielo quando verrà il momento della nomina del nuovo governatore delle BCE!

  4. Paolo

    Btw come Mr. Pesc noi avevamo proposto un ex presidente del consiglio ed ex ministro degli esteri che, con tutte le critiche che gli si possono fare, ha sicuramente più esperienza di un ex ministro della gioventù come la Ashton.

  5. Luca G.

    Gentile Giannino, la ringrazio per l’articolo sempre molto lucido. Ma mi chiedo perché mai noi italiani dovremmo contrastare la politica tedesca? Non ci converrebbe forse seguirne l’esempio? Se le nostre economie sono simili (in quanto sono entrambe manifatturiere e hanno un forte export), perché mai dovremmo contrastare una politica come quella tedesca (che mira alla stabilità finanziaria e all’euro debole) che possono favorire il nostro export?
    Se l’Europa politica è morta, tanto meglio: il progetto era macchinoso e un po’ opaco (il parlamento non conta nulla, la commissione non è eletta direttamente etc.). L’Europa del futuro, un Europa di stati, non avrebbe da guadagnare da una politica economica concordata fra Italia e Germania, i cui interessi sono simili?

    Cordialmente, Luca G.

  6. Fabio Fazzo

    Deutschland sarà pure über alles, ma anche la Merkel pare avere i suoi problemucci interni. Governi e banche centrali si muovono come impazziti seguendo linee diverse, si immaginano manovre che non si riescono ad attuare e sulla cui utilità si nutrono molti dubbi. L’impressione è che il debito globale sia ormai giunto a livelli tali che non sia solo ormai impagabile, ma anche ingestibile.

  7. pier

    Comunque l’Europa continuerà, perchè non esiste alternativa al caos che ne deriverebbe.
    Fa specie leggere opinioni di persone presumibilmente colte che con leggerezza affermano che la soluzione miglore sia di mandare l’EU a catafascio.
    Pur elettore critico del PDL mi pare simile ai vagheggiamenti dei discorsi Leghisti sulla secessione ed altre bazzecole simili.
    La Germania e la Merckel cercano di fare il loro interesse come più o meno tutti e anche con difficoltà troveremo sempre un equilibrio, a meno che non si voglia tornare agli anni 1900-1945.
    Pier

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