28
Giu
2010

Spesa e tasse da paura: e in cambio?

L’aggiornamento dei dati di contabilità nazionale pubblica 2009 reso noto oggi dall’Istat fa una certa impressione. E’ vero, nel 2009 con i suoi 5,3 punti di Pil di deficit pubblico l’Italia è rimasta abbondantemente sotto la media dell’Europa a 27, che ha registrato un deficit del 6,8%, con punte come l’Irlanda al 14,3%, la Spagna all’ 11,2%, il Regno Unito all’11,5%, la Francia al 7,5%. Ma quel che deve farci riflettere più di tutto sono tre fattori. Il primo riguarda il totale della spesa pubblica. Il secondo, la pressione fiscale. Il terzo, che cosa otteniamo in cambio dalle amministrazioni pubbliche – Stato e Autonomie – come cittadini e contribuenti, rispetto agli altri Paesi avanzati, paragonando livelli di spesa, d’imposta e contributi, alla qualità e agli effetti concreti dei servizi offerti al pubblico.

Il totale della spesa pubblica, comprendendo spesa primaria e interessi passivi sul debito, tocca il 52,5% del Pil nel 2009. E’ superiore di 2 punti alla media dell’Europa a 27. Ma è superiore di 5 punti di Pil a quella tedesca, tanto per fare il paragone con il Paese leader dell’Europa. In Germania, nel 1995 la spesa pubblica era pari al 54,8% del Pil. In quello stesso anno, in Italia la spesa era esattamente al livello del 2009, il 52,5%. La differenza è che i tedeschi hanno piegato verso il basso la spesa pubblica, in 15 anni di continue riforme, di ben 10 punti di prodotto. Noi siamo virtuosamente scesi al 46% nel 2000, per entrare nell’euro. Ma, da allora, gli oltre 6 punti di Pil che abbiamo risparmiato in minori tassi d’interesse sul debito, grazie all’euro, li abbiamo tutti trasformati in spesa primaria aggiuntiva. Ci siamo bruciato il dividendo dell’euro, per via di una politica che – destra o sinistra – non è riuscita dire no alla tentazione di spendere di più.

Venendo alla pressione fiscale, somma di imposte e contributi, nel 2009 è stata pari al 43,2% del Pil. Un record battuto solo dal 1997, in cui ammontò al 43,7%. Siamo 3 punti sopra la media dell’Europa a 16, e 4 punti sopra la media dell’Europa a 27. E’ vero che ci battono Danimarca e Svezia, con il 49 e il 48%, e anche Belgio e Austria, con il 45,3% e il 43,8%. Ma poiché la pressione italiana va ritarata sottraendo al Pil il 17% di economia “in nero” stimata dall’Istat, ecco che siamo i primi in Europa, col 51,8% di pressione sopportata nel 2009 da chi è in regola con la legge. E’ questo il dato da confrontare con il 40,7% di pressione fiscale tedesca. E’ un divario fortissimo, che pesa come piombo nelle ali dell’economia produttiva italiana, soprattutto nel manifatturiero che esporta e deve confrontarsi con la concorrenza sui mercati internazionali.

Di fronte a questi dati, ripetere solo la tiritera della lotta all’evasione fiscale non basta. Solo incidendo energicamente nella spesa pubblica, più energicamente di quanto fa Tremonti che pure solleva infinite resistenze e polemiche nei mille centri di spesa pubblica italiana, solo così l’Italia può riavvicinarsi a un sentiero di crescita fatto di meno spesa e meno tasse. Non è agli Stati Uniti che tanti criticano, che dobbiamo avvicinarci. Ma innanzitutto alla Germania, la patria della previdenza sociale e del welfare con Bismarck, a quella Germania che nessuno può considerare un Paese liberista, visto che prima ha regalato al mondo lo Stato etico nelle varianti rosse e nere, per ripiegare poi nel dopoguerra sull’economia sociale di mercato di Konrad Adenauer, attenta al welfare ma mai separato dalla competitività e produttività dell’economia reale.

Che cosa otteniamo in cambio, da livelli di spesa pubblica e d’imposizione tanto elevati e gravosi? Se avessimo i servizi sociali efficienti di Danimarca e Svezia, avrebbe ragione chi nega la ragione dei liberisti, chi pensa alla crescita anche con molto Stato. Ma i seguaci del modello scandinavo, nel nostro Paese, non sono mai riusciti a declinarlo in un sistema pubblico rigoroso come quello norderuropeo. La politica ha la cattiva abitudine di imporre sovraccosti molto più elevati, da noi. Giungendo in alcune Regioni del Sud a fare la differenza tra livelli ufficiali di reddito disponibile inferiori anche di più del 30% dalle punte più elevate del Paese, e livelli di consumo invece inferiori solo di 3 o 4 punti. A spiegare il paradosso non c’è solo mafia e camorra, in quelle Regioni. E’ la politica, il concreto funzionamento secondo logiche conventicolari e discrezionali delle pubbliche amministrazioni locali,a fare la differenza. Le massicce evasioni dell’IVA sino a oltre il 50% del gettito presumibile, la forbice di costi per servizi sanitari che in quelle Regioni supera anche del 60% quelli di Lombardia e Veneto, indica che in quelle Regioni è lo Stato ad essere corruttore, prima della malavita. O, se preferite, insieme. E sia detto con il massimo rispetto per l’abnegazione con cui moltissimi servitori dello Stato, in quelle Regioni, prodigano i loro sforzi.

Non è il caso di fare di tutt’erbe un fascio. Nelle graduatorie internazionali per tre settori diversi del welfare l’Italia ottiene valutazioni molto differenziate.

Nella sanità, l’Ocse attesta da anni la relativa eccellenza italiana. Continuiamo a essere tra coloro che spendono meno rispetto a Francia e Germania – noi 2700 euro in media a persona l’anno rispetto ai 3600 circa dei franco-tedeschi – ottenendo, malgrado i nostri sprechi tremendi in alcune Regioni, effetti migliori su aspettative di vita, contenimento di patologie, controllo epidemiologico.

Nelle politiche attive del lavoro, il giudizio comparato già ci vede superati non solo dagli scandinavi – che da decenni sperimentano tutele ai giovani e forme di workfare – ma anche dai tedeschi, assai più orientati a promuovere il lavoro che serve davvero alle imprese germaniche, a cominciare da quello tecnico-professionale.

Se poi guardiamo alla scuola, lì tutte le graduatorie internazionali attestano che proprio ancora non ci siamo. I giovani italiani restano in classe negli anni della scuola primaria e secondaria ormai quanto e più che negli altri Paesi avanzati, ma solo per giustificare il maggior numero di insegnanti assunti a misera paga comparata, piuttosto che per i risultati ottenuti. Continuiamo ad avere più abbandoni, più non diplomati disoccupati, e persino la Russia ormai ci ha superato per capacità di attirare studenti stranieri nelle nostre università.

C’è molto da disboscare e molto da cambiare, per la rivoluzione pubblica con meno tasse e meno spesa di cui ‘Italia continua ad avere bisogno.

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12 Responses

  1. michele penzani

    “Le massicce evasioni dell’IVA sino a oltre il 50% del gettito presumibile, la forbice di costi per servizi sanitari che in quelle Regioni supera anche del 60% quelli di Lombardia e Veneto, indica che in quelle Regioni è lo Stato ad essere corruttore, prima della malavita.”…Anche Angelo Siino confidò che si era giunti al punto che preferiva investire in appalti altrove che a casa propria…

  2. Attilio

    Lavorare in Italia è una missione sociale per la quale è richiesto il voto di povertà!
    Sono un consulente industriale la tassazione che subisco è questa :
    irpef 43%
    irap 3,9%
    inps 26,72 %
    Buona parte della mia attività è effettuata all’interno di una srl di cui sono socio di maggioranza, l’irap è quindi versata una prima volta come srl ed una seconda volta come consulente quando fatturo le mie prestazioni alla srl.
    Il lavoro è un male più represso che l’inquinamento dalla carbon tax o la speculazione dalla Tobin tax.

  3. stefano

    Tagliare le spese = tagliare i politici.
    Non si è mai visto che questa classe parassitaria si autolimiti.
    Per cui possiamo pure continuare a sperare.

  4. Stefano

    @Attilio
    E’ pazzesco.. ho aperto 3 anni fa la mia attività. Una ditta individuale di import e distribuzione. Passo la vita a lavorare. L’insieme delle tasse supera ampiamente il 50%. Se lavoro bene non guadagno quasi niente. Se faccio qualche errore, passo la vita a pagare i miei errori.. boh. Vado a lavorare.

  5. Massimiliano Sardelli

    Il prelievo fiscale e contributivo è lo strumento principale per il sostentamento di uno stato e per un’equa redistribuzione dei servizi e degli interventi sociali. Il nostro attuale sistema triburìtario e la pressione fiscale incoraggiano e giustificano la nostra ormai galoppante evasione fiscale oltre a mortificare la buona impresa e l’investimento nella ricerca… Questa è la realtà che si protrae da mezzo secolo in Italia ed è questo meccanismo che deve essere riformato in modo profondo e strutturale ed è questo che nessun politico ha il coraggio di fare !…..

  6. Top

    Se “chi doveva” (indovinate a “chi” mi sto riferendo) avesse lasciato lavorare “in santa pace” Berlusconi e il Ministro del Tesoro Dini nell’autunno del 1994, allora nel 1995 avremmo avuto una VERA riforma delle pensioni (ovvero: abolizione delle pensioni di anzianità e innalzamento dell’età pensionabile – per la vecchiaia – a 65 anni, come in tutto il resto del mondo civilizzato) invece della “porcata” di Dini appoggiata da D’Alema che invece abbiamo dovuto subire e oggi, nel 2010, avremmo risparmiato molte decine di miliardi di euro, avremmo tasse più basse e il problema della spesa e del debito pubblico sarebbe assai minore…

  7. Top

    Nel 2004 Maroni varò lo “scalone previdenziale”, ovvero l’innalzamento dell’età pensionabile da 57 a 60 in un colpo solo. Berlusconi era insoddisfatto perchè sosteneva che era insufficiente: infatti serviva la proposta Berlusconi-Dini dell’autunno del 1994 (che NON è la Legge Dini del 1995 votata da D’Alema), ma il Cavaliere dovette soprassedere e accontentarsi… meglio questo che nulla!!!
    Follini (a quell’epoca Segretario UDC) propose di far entrare in vigore la nuova legge dal 1-1-2005: “Dini ha fatto entrare in vigore la sua riforma (quella del 1995 votata dalla sinistra) subito, ovvero il 1-1-1996, perchè <> e noi (Casa delle Libertà) dobbiamo fare lo stesso con la riforma Maroni”, ma Tremonti e la Lega dissero che era meglio aspettare il 2008… insomma, proprio l’UNICA VOLTA che Follini aveva detto una cosa sensata e giusta, non fu ascoltato…
    Nel 2007 si avverò la profezia di Follini (a propositi dei “ritardi”): Prodi fece la “contro-riforma”, ovvero si “dilatò” (gradualizzazione) dello scalone che fu diviso in tanti scalini, così la spesa pubblica è aumentata di 10 miliardi.
    Vi ricordo che la Legge Maroni prevedeva dei risparmi pari a 4,5 miliardi nel 2009 e di ben 9 miliardi annui dal 2012: quindi pensiamo un poco a quanti soldi che risparmieremmo se l’età pensionabile passasse a 65!!!

    Tutto questo (unito al fatto che i soldi risparmiati dal calo dei tassi di interesse sono stato buttati via in altre spese inutili) spiega le difficoltà dell’economia italiana provocate da una spesa inutile, da un debito eccessivo e da tasse assurde.

  8. stefano

    @Massimiliano Sardelli
    Equa redistribuzione dei servizi e degli interventi sociali?
    Galoppante evasione fiscale?
    Stai facendo sicuramente delle battute.
    Non so dove tu viva, ma ti assicuro che qui da me (prov. Vicenza) è difficile evadere. Almeno per quanto ne so.
    C’è stato un bellissimo caso di evasione IVA, parlano di 25 milioni, in cui era dentro fino al collo l’Agenzia delle Entrate di Arzignano (VI), commercialisti e GdF.
    Per cui se hai un grande giro d’affari riesci a scappare, ma i piccoli (l’idraulico, l’elettricista, il meccanico) magari riescono pure a fare del nero, ma è molto limitato. In effetti mi sembra che il Veneto sia allineato con i paesi nordici quanto a evasione (piaccia o non piaccia a Visco che sostiene che siamo patologicamente evasori).
    Ovvero se i grossi riescono a evadere molto, i piccoli pagano eccome.
    Ci sono gli studi di settore e alcuni, pur di evitare i controlli, pagano più del dovuto.
    Tu mi dirai: “Ma se hanno la coscienza a posto, perché pagare di più?” Perché con certa gente la ragione non basta: sono burocrati, devono farti la multa e, prima o dopo, qualcosa trovano.
    Mai provato ad avere il fisco che ti controlla, vero? Prova e poi mi dici.

  9. bruno

    Cinicamente…
    Sulla spesa sanitaria: l’80% della spesa è relativo al 20% della popolazione negli ultimi due anni di vita.

    Se si facesse più prevenzione ed educazione alla salute, e si facessero morire serenamente gli anziani terminalmente malati anziché fare accanimento terapeutico su scala industriale (così il PIL aumenta!) si potrebbe diminuire la spesa “sanitaria” almeno della metà.

  10. bruno

    Ah, appena saliranno i tassi lo stato Italiano farà bancarotta.
    Un solo punto percentuale in più su 1.800 miliardi di debito fa 18 miliardi in più (all’anno).

  11. angelo carbone

    Comunque la spesa pubblica considerarla al lordo degli interessi passivi sul debito non mi sembra molto corretto e stiamo parlando di circa 7 punti percentuali…
    A mio avviso il governo dovrebbe venire fuori e fare un discorso serio alla nazione e dire agli italiani che detengono i bot,btp e cct: volete che io continui ad onorarli oppure un futuro per questo paese? Essendo la metà circa del debito in mano ad italiani (sia persone fisiche che giuridiche) ci sarebbero 3-4 punti di pil che si libererebbero.Da destinare un 2 punti alla riduzione del debito (quindi avanzo primario) un altro punto per investimenti in ricerca (da fare seriamente) facendo tornare chi la fà all’ estero, un altro punto deve servire anno per anno a mettere in sicurezza l’ intero patrimonio pubblico nazionale(edifici scolastici,strade,etc.) nel giro di 10 anni le cose cambierebbero e di molto.In pratica sarebbe giusto ed equo fare pagare le conseguenze del debito pubblico alla generazione che lo ha causato,questo sarebbe una assunzione di responsabilità ed un insegnamento alle generazioni future.

  12. angelo carbone

    Ovvio che cosi facendo non si creerebbe il panico sui mercati internazionali in quanto il debito detenuto fuori dai confini sarebbe onorato.Ciò porterebbe nel breve periodo a ridurre anche il differenziale con i bund attuali e quindi altro risparmio,magari con tale altro risparmio fare un patto sociale ed aiutare chi percepisce pensioni da 400 euro.Gradirei una risposta in merito grazie

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