24
Lug
2013

Servizi idrici: dove c’è il privato, ci sono gli investimenti

Sui servizi idrici sono solo stati fatti passi da gambero enormi. E i risultati sono sempre più evidenti.

In particolare, due sono stati i grandi passi indietro: il primo, il referendum del 2011 (recentemente commentato anche da Alessandro De Nicola). In breve, ricordiamo che quel referendum ha eliminato l’obbligo di affidare la gestione dei servizi idrici tramite le gare. In altre parole, ha preferito la gestione pubblica politicizzata alla competizione, che avrebbe fatto emergere invece il gestore più efficiente, sia esso pubblico, privato o misto. In questo caso, il chi (ossia la forma proprietaria) era secondario, mentre contava il come, ossia il meccanismo concorrenziale dove, dovendo rispondere direttamente ai consumatori, si garantisce trasparenza, miglioramenti dei servizi e tariffe adeguate a coprire i costi degli investimenti: chi non è in grado di farlo, non rimane sul mercato.

In assenza di tutto ciò, si resta condannati a gestioni politicizzate opache, le quali sono invece soggette all’interesse politico e, quindi, con tariffe (in termini assoluti) anche più basse, ma incapaci di garantire un livello del servizio adeguato. Tuttavia, proprio perché si tratta di gestioni politicizzate, gli scarsi – in alcuni casi, anche allarmanti – risultati, non producono alcun effetto punitivo: in relazione al servizio ricevuto, quindi, i cittadini si trovano in realtà costretti a dover sostenere costi ben più alti.

Il secondo passo di gambero, come ha spiegato sulle pagine di questo blog qualche giorno fa Nicola Saporiti, è stato invece fatto dalla Commissione Europea che, sotto la pressione dei cittadini europei firmatari dell’iniziativa Right2Water, ha escluso i servizi idrici dalla Direttiva sulle Concessioni dei servizi pubblici, il cui fine, tra gli altri, è di garantire trasparenza in un eventuale processo di affidamento in concessione del  servizio. La direttiva, ben lungi dal voler privatizzare il servizio, lasciava invece la possibilità alle autorità pubbliche di scegliere la modalità di prestazione del servizio. Anche in questo caso, nessun passo in avanti.

Veniamo ora ai risultati ottenuti, emersi da un recente rapporto di Federutility: secondo la Federazione, si registra oggi nel settore un rilevante ritardo infrastrutturale, per cui sono necessari importanti investimenti, per garantire la regolarità del servizio (nel 2011, il 9,3% delle famiglie ha lamentato irregolarità), riduzione delle perdite, risparmio energetico e ampliamento della copertura dei servizi di fognatura e di depurazione che, secondo il Blue Book 2009,  dovevano essere estesi rispettivamente al 15% e al 30% della popolazione italiana. Si noti che il mancato adeguamento ha fatto scattare una serie di procedure di infrazione, a cui in parte è già seguita la condanna, per più di 1250 comuni: le penali potrebbero arrivare a 700 milioni di euro/annui per ogni anno di ritardo nell’adeguarsi agli obiettivi comunitari. È lecito aspettarsi che a copertura di tali sanzioni potrebbe rivalersi sulle tariffe, caso in cui l’aumento sarebbe effettivamente sgradevole, in quanto non orientato a rendere ai consumatori un servizio migliore, ma solo a pagare un disservizio con i loro stessi soldi.

In base alle previsioni del Blue Book 2011, per adempiere a tali oneri, serviranno oltre 65 miliardi di euro per i prossimi 30 anni (corrispondenti a poco meno di 40 euro/abitante/anno). Tuttavia, pare che si tratti di una stima molto generosa: in realtà, per essere in linea con il livello di investimenti degli altri paesi occidentali, gli investimenti dovrebbero ammontare a circa 4/5 miliardi di euro anno, ossia circa 80-120 euro/abitante/anno (come ad esempio in UK e USA). Se tale differenza fosse colmata, i 3-5 miliardi di investimenti aggiuntivi l’anno consentirebbero di adeguare le reti infrastrutturali alle normative europee e di promuovere il risparmio energetico e idrico.

La situazione non sembra però essere in linea con questi obiettivi: se, infatti, l’andamento passato degli investimenti mostra una stagnazione, anche la proiezione nazionale degli investimenti effettuati nel 2011 a valere sulla tariffa rivela un certo ritardo. Essa ammonta a 1,2 miliardi di euro: si tratta di una cifra inferiore, in media, del 40% rispetto agli investimenti programmati a livello nazionale.

Il rapporto, che prende in considerazione 110 operatori in tutto il territorio nazionale (sono coinvolte 16 regioni con una copertura di quasi l’80% del servizio a livello nazionale), non evidenzia grandi differenze di investimenti tra operatori grandi e piccoli: i primi sono responsabili del 56% degli investimenti e i secondi la quota residua del 44%.

Tuttavia si osserva una differenza tra  i gestori ex Cipe (7,1% della popolazione servita), che investono in media 11 euro per abitante all’anno, mentre i gestori che hanno accesso a prestiti di finanza strutturata (project finance) (7,4% della popolazione servita) investono in media 39 euro per abitante all’anno. Una differenza notevole.

Il project finance è un’operazione che vede coinvolto quale soggetto finanziatore un privato (spesso affiancato da istituti di credito), in un progetto, per cui la PA ha indetto una gara pubblica, finalizzato a creare un’opera rientrante nella categoria di beni di “interesse generale”. Questo strumento consente alla PA di risparmiare i costi di costruzione, mentre il privato può gestire e sfruttare economicamente il bene realizzato (sebbene anche questo strumento vada utilizzato con attenzione, soprattutto alla luce delle esperienze passate nel nostro paese che non sempre hanno prodotto risultati sperati. Qui un paper dell’Istituto Bruno Leoni a cura di Alesandro Viotto per approfondire luci ed ombre dei progetti di finanza).

Se, quindi, la dimensione dei gestori conta poco, non si può dire altrettanto dell’efficacia organizzativa e delle condizioni tariffarie, sottolinea correttamente la Federazione. Infatti, a fronte della sempre più precaria situazione delle finanze pubbliche, soprattutto in un settore come quello idrico che necessita di numerosi e urgenti investimenti, servono capitali privati, che arrivano solo dove ci sono regole certe sulla restituzione e rendimento dei debiti contratti. In altre parole, dove la gestione è affidata a criteri economici certi e non alla volontà del politico di turno, essa sarà condotta in modo più efficiente e adeguato, consentendo così che sia meglio assicurato ai privati il rendimento dei propri capitali. Ciò, inoltre, assicurerà che siano effettuati quegli investimenti che consentono di rendere ai cittadini un servizio migliore, ossia adeguato a quanto pagato, e in linea con gli standard europei. E’ del resto ovvio che nessuno investirebbe i propri capitali se non è certo che questi gli saranno restituiti: per ciò sarebbe stata auspicabile una riforma, ad oggi invece affossata, orientata a garantire maggior trasparenza, chiarezza e rispetto delle più banali regole di efficienza, ossia la copertura dei costi con i ricavi e la remunerazione del debito.

Tra l’altro la finanza di progetto (se fatta per bene e in modo trasparente) consente anche una miglior distribuzione delle risorse, dal momento che richiede meno contributi pubblici: ad oggi, infatti,  questi ultimi sono dislocati in modo disomogeneo. Essi ammontano, in media, a più del 16% (sugli investimenti totali): sono tuttavia pari a poco più del 10% al Nord e al Centro, mentre il Sud assorbe il 44% dei fondi. Quindi una quota di popolazione si trova a dover contribuire per un servizio di cui non usufruisce.

Fino a che il servizio sarà sottoposto alle leggi di una gestione pubblica e politicizzata, il servizio continuerà a essere inadeguato, sia per i consumatori, che rispetto agli standard e normative europee. Anche se oggi le tariffe sono basse, tutto si paga: vuoi con un servizio inefficiente oggi, vuoi con prezzi altissimi domani.

7 Responses

  1. Gianfranco

    Senta, Dottoressa, veniamo direttamente al punto.

    Mi reputo una persona intelligente in modo decente e con pochissimi dogmi.

    L’acqua e’ un prodotto naturale che ha come unico costo di trasformazione, il cloro.

    La distribuzione e’ un costo infrastrutturale.
    Prendo una bella montagna, col suo bel fiumiciattolo, ci faccio una diga in mezzo, un tubo sotto e quel tubo lo porto nelle case.
    Che poi e’ la storia della valle in cui vivevo dove tutti i torrenti sono spariti e la popolazione e’ aumentata parecchio anche grazie all’urbanizzazione selvaggia (di un posto che, in 20km di valle, ha una sola industria).

    Sempre nella stessa valle, durante le siccita’, i sindaci emanavano direttive sul risparmio idrico, vietando ad esempio l’irrigazione dei giardini domestici.
    Perche’ dato che l’acqua scende dal cielo, se non c’e’ non c’e’ e non si puo’ fabbricare.

    Ora qualcuno mi spieghi cosa c’e’ da investire, ricavare e gestire di una cosa che e’ automatica, una volta messo giu’ un tubo.

    O lei mi dice: “Caro Gianfranco, guardi che il problema e’ che lo stato non ha i soldi per mettere giu’ i tubi.” e potrei capire.

    Altrimenti, e sarebbe da stupidi presumere il contrario, una volta privatizzato il tubo, la resa finanziaria dello stesso non sarebbe piu’ dipendente da quanta acqua ci passa, ma da quanto l’investimento deve rendere.
    Quindi io dico che quest’anno voglio il 3% e l’acqua la faccio pagare 10. Poi l’anno venturo aumento gli stipendi del CDA e l’acqua la faccio pagare 11 e cosi’ via.

    Ridiamo pure assieme delle commissioni di controllo che multano le societa’, che rincarano poi i prezzi.

    Quindi le rinnovo la domanda: perche’ vogliamo estendere il cartelli ed i trust di tutte le aziende “privatizzate” d’Italia anche all’acqua? Me ne frego bellamente dei concetti astratti della “natura” e quisquilie consimili.

    Vorrei sapere come potrebbe esistere concorrenza e come evitare di privatizzare un bene assolutamente vitale, piu’ del pane.

    Cordialmente.

  2. Caro Gianfranco,
    Le consiglio di studiare un po’ il “ciclo produttivo” dell’acqua, che comprende, oltre al suo tubo, altri tubi per gli scarichi, i depuratori, gli impianti di pompaggio, le centrali di controllo, etc. etc.
    Ora, una città media spende qualche milione ogni anno solo per la gestione del servizio idrico e fognatura, manutenzione, nuovi allacci, rotture…
    Se a Lei una manciata di milioni per città, quindi parecchi milioni per regione, sembrano “quisquilie”, mi dica dove lavora che mando un curriculum e chissà di poter avere in futuro lo stesso metro di misura!!
    Solo per farLe un esempio, Le dico che per fare un nuovo allaccio acqua ad una abitazione, servono :
    – 2 uomini per almeno 6 ore
    – camion patente C con cassone ribaltabile
    – mini escavatore con martello pneumatico
    – taglia-asfalto e vibrocostipatore
    – terra, sabbia, asfalto
    – raccordi e valvolame
    – autorizzazione al trasporto rifiuti
    – un deposito rifiuti e un centro di trattamento
    – chiudere un pezzo di strada per 6 ore
    – pacchi di carte sulla sicurezza, autorizzazioni, contro autorizzazioni
    – una buona dose di self control per rispondere agli abitanti ai quali è stata chiusa l’acqua

    Faccia Lei 2 conti…
    Saluti

  3. Gianfranco

    Grazie della Risposta, Roberto, ma non sposta il centro del problema.

    L’Italia e’ afflitta da gravissime carenze culturali e la situazione attuale, con tutti i problemi che abbiamo in ogni settore, e’ solo conseguenza di queste.

    Io non sto affatto dicendo che esiste il kit dell’acquaiolo di Ikea, a 9,99 euro, contenente un muro, un tubo e un rubinetto.

    Quello che sto dicendo e’ che i costi di cui lei parla sarebbero ribaltati sulle utenze, sacrosanto, ma che non sarebbero in alcun modo controllabili, poiche’ sarebbe difficilissimo entrare nel merito, e sarebbe impossibile rivolgersi ad un sistema di fornitura concorrenziale.

    E’ inutile fare finta che concorrenza e privato siano sinonimi e la storia italiana di tutte, letteralmente tutte, le privatizzazioni e’ essenzialmente la sostituzione di un cartello di stato con un cartello di privati. E’ inutile ragionare da liberisti quando la realta’ ci sta dicendo una cosa completamente diversa.

    Se dobbiamo entrare in contabilita’, sposteremmo una perdita statale in un ricavo privato, ma per il cittadino non cambierebbe nulla se non in peggio: si troverebbe a pagare le stesse tasse ed in piu’ l’acqua privata.

    Per questo non sono nemmeno andato a votare al referendum sull’acqua. Non perche’ non trovo giusto privatizzarla, ma perche’ non ne saremmo capaci in nessun caso.

    Purtroppo vengo da un’esperienza pluriennale negli Stati Uniti. C’era un’agenzia di gestione delle utilities ed i contratti non erano gestiti da un’ente che sostituiva il governo federale: erano assegnati a privati, anche piccolini – aziende familiari – abilitati e certificati a svolgere i lavori di cui lei parla.
    Pero’ non ho mai pagato piu’ di 250 dollari acqua, luce e gas. Qui sono riuscito a pagare 440 euro di bolletta del gas e 100 e passa euro di bolletta della luce.

    Mi spiace.
    L’acqua va privatizzata dopo aver capito cosa vuol dire privatizzare. Qui, siamo lontani milioni di chilometri da questo.
    Quindi e’ inutile fissarsi sul particolare dell’acqua, perche’ e’ solo una foglia di un albero malato.

    A meno che qualcuno, con grazia e pazienza, riesca a dimostrarmi il contrario e che il cittadino risparmierebbe e non sarebbe in balia del cartello dei gestori.

    Cordialmente e, nonostante il tono, con un sorriso
    Gianfranco.

  4. Luciano

    I miliardoni (pubblici) x comprare aerei da guerra si trovano però!!…invece l’acqua va privatizzata xchè i soldini non ci sono; ma che strano!?

  5. Gianfranco

    Cosa cazzo c’entrano gli aerei da guerra con l’acqua? Dobbiamo fare propaganda inutile anche su questo blog?
    Lo dite e vado via, se ad ogni cosa che viene pubblicata arriva il ritardato di turno a parlare di ius soli, F35 e signoraggio.

    Saluti

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