4
Mag
2021

Maratona Pnrr. La salute non è una priorità

L’elenco degli articoli della Maratona PNRR è disponibile qui.

Ultimo e più breve dei sei capitoli dedicati alle missioni del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, quello della missione “Salute” non appare certo come un capitolo prioritario, visto anche l’ammontare degli investimenti a esso dedicato: 15,63 miliardi di euro di fronte a un totale di 191,5 miliardi (a cui si aggiungono le risorse di ReactEU e quelle del fondo complementare). Non fosse in corso una pandemia che ha sconvolto il nostro modo di vivere e che è essa stessa la ragione principale dell’esistenza del piano qui analizzato, verrebbe da pensare che del capitolo salute non ci saremmo nemmeno curati più di tanto.

Partiamo dalla forma. Ci sono diversi errori, troppi per un piano nazionale da cui dovrebbe dipendere il destino del Paese. Frasi senza capo né coda. Per esempio, a pagina 228: 

“Tra i servizi inclusi è previsto, in particolare, il punto unico di accesso (PUA) per le valutazioni multidimensionali (servizi socio-sanitari) e i servizi che, secondo un approccio di medicina di genere, dedicati alla tutela della donna, del bambino e dei nuclei familiari secondo un approccio di medicina di genere.” 

Ci sono informazioni fornite nel testo non coerenti con i grafici riportati. Per esempio, a pagina 225, si legge che il nostro Paese se la cava piuttosto bene quanto a salute della popolazione, “nonostante la spesa sanitaria sul Pil risulti inferiore rispetto alla media UE. .” (Il punto seguito da un altro punto non è un refuso di questo articolo, ma del documento). Nel grafico che segue si desume esattamente il contrario, cioè che l’Italia presenta una spesa sanitaria in rapporto al PIL (nettamente, seppur di poco) superiore a quella della media UE. Ci sono poi scelte curiose nel lessico, per cui in certi casi “infrastruttura tecnologica” diventa “infrastrutturazione tecnologica”. Insomma, si andava di fretta.

Nella sostanza, il capitolo sulla missione salute ha il compito di giustificare 15,63 miliardi di spesa distribuiti su due capitoli principali: da un lato le reti di prossimità, strutture intermedie e telemedicina al fine di migliorare l’assistenza sanitaria territoriale per un totale di 7 miliardi di euro, dall’altro lato 8,63 miliardi di euro da destinare a ricerca, innovazione e digitalizzazione.

Le proposte variano molto in termini di livello di dettaglio. Ai due estremi troviamo, da un lato, un punto molto generico che riguarda “la definizione entro la metà del 2022, a seguito della presentazione di un disegno di legge alle Camere, di un nuovo assetto istituzionale per la prevenzione in ambito sanitario, ambientale e climatico, in linea con l’approccio ‘One-Health’”; dall’altro lato, troviamo invece una proposta dedicata a 100 milioni di euro (0,7% della spesa inclusa nella missione salute, non si direbbe esattamente una proposta strategica) che verranno spesi in bandi di gara per la realizzazione di progetti “volti a ridurre il gap fra i risultati del settore della ricerca scientifica e quello dell’applicazione per scopi industriali”.

In merito all’assistenza sanitaria territoriale, si propone l’introduzione delle Case della Comunità, ovvero 1288 strutture in cui si coordineranno i servizi e le prestazioni sul territorio, soprattutto per i pazienti cronici. Inoltre, si tenterà di sfruttare la telemedicina per erogare molte prestazioni direttamente a casa dei pazienti. Si legge che “l’investimento mira ad aumentare il volume delle prestazioni rese in assistenza domiciliare fino a prendere in carico, entro la metà del 2026, il 10 percento della popolazione di età superiore ai 65 anni (in linea con le migliori prassi europee)”. Verrebbe da pensare che si poteva osare di più, dal momento che non pare un obiettivo particolarmente ambizioso quello di allinearsi tra sei anni alle “migliori prassi europee” di oggi. Infine, verranno attivati 381 Ospedali di Comunità, dotati di norma di 20 posti letto (fino a un massimo di 40), la cui funzione principale sarà quella di potenziare l’offerta dell’“assistenza intermedia”, per ricoveri brevi e destinati a pazienti che necessitano di interventi sanitari a media/bassa intensità clinica. Gli ottimisti vedranno in queste proposte la rinascita dell’assistenza socio-sanitaria territoriale, i pessimisti ci vedranno i criteri squisitamente politici con cui verranno collocate risorse e nuove strutture sul territorio. 

Quanto a ricerca, innovazione e digitalizzazione, gli interventi principali proposti riguardano una riforma della rete degli IRCCS, l’ammodernamento del parco tecnologico e digitale ospedaliero, investimenti nelle strutture ospedaliere al fine di renderle sicure e l’aumento delle risorse destinate alla formazione di nuovi medici. Stupisce che manchino del tutto i riferimenti alla medicina di precisione. La riforma della rete degli IRCCS è il punto che fa sorgere più dubbi e domande. Si sostiene di volerli differenziare in base alle loro attività senza spiegare che cosa “differenziare” debba significare, si sostiene che verrà rafforzata la governance aziendale degli IRCCS senza considerare che circa la metà di queste strutture sono private, si auspica una maggior integrazione di queste strutture nella rete del sistema sanitario senza spiegare come questo debba o possa accadere. Per il resto, si tratta di soldi che verranno aggiunti per mettere in sicurezza e modernizzare la rete ospedaliera, perché “gli ospedali rivestono un ruolo strategico in caso di disastro” e altri soldi che verranno aggiunti per aumentare le borse di formazione di medici di medicina generale e specialisti. 

Proprio quest’ultimo punto dovrebbe far riflettere sul fatto che il piano è temporaneo e queste risorse extra saranno a disposizione per sei anni. Un medico in più formato oggi è uno stipendio da medico in più da pagare domani. L’Italia è oggi più povera e le risorse per la spesa corrente sono diminuite. Se tutto va bene, tra sei anni potremo contare su un’infrastruttura sanitaria più ricca e moderna, ma se unitamente al piano nazionale non si faranno le riforme, il rischio è che poi ci accorgeremo di non potercela permettere. 

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