28
Nov
2013

L’Unione che non c’è — di Gerardo Coco

Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Gerardo Coco.

Lo statista francese di origine tedesca Robert Schumann (1886–1963), aveva un sogno: realizzare l’Unione Europea. Alla fine della seconda guerra mondiale propose la formazione di una comunità del carbone e dell’acciaio tra i due vecchi antagonisti, Francia e Germania con lo scopo di riconciliarli definitivamente. L’idea di sfruttare l’interesse comune per la produzione di due materie prime essenziali allo sviluppo economico era efficace perché sopprimeva le barriere doganali, poneva i due paesi su un piano di parità e, europeizzando irrevocabilmente i tedeschi scongiurava nuovi conflitti. Poiché l’iniziativa, che ebbe l’approvazione degli Stati Uniti, prevedeva l’adesione degli altri paesi europei dava, specialmente al’Italia l’occasione di ristabilire le proprie credenziali compromesse dal ruolo avuto nel conflitto mondiale. Il Trattato di Parigi del 1951, sancendo la CECA, l’autorità sopranazionale del carbone e acciaio, fu il primo passo verso la Comunità Europea diventata poi Unione.

Ashoka Mody, visiting professor alla Princeton University, nel paper pubblicato dal think thank Brueghel, A Schuman compact for the euro area, si ispira al metodo dello statista francese per tentare di riabilitare il concetto ormai screditato di integrazione europea. A partire dalla crisi del 2008 infatti il quadro generale europeo è peggiorato perché nulla è stato risolto: debiti, squilibri finanziari ed economici sono rimasti e non c’è alcuna chiarezza su come uscire dall’impasse. In tale contesto l’euroscetticismo aumenta inasprendo i rapporti tra le nazioni, accentuandone divisioni e riattizzando nazionalismi. Secondo Schumann, una federazione poteva essere costruita solo con una politica di piccoli passi finalizzati prima di tutto a creare la solidarietà politica. Ignorando questa lezione, sostiene Mody, si è proceduto frettolosamente all’unione monetaria senza obiettivi intermedi capaci di rafforzare la governance dei paesi membri. E’ stato pertanto inutile in un fragile contesto ricorrere ai meccanismi di salvataggio che hanno solo favorito l’azzardo morale con la conseguenza di attivare il regime di controllo intrusivo e poliziesco dei tecnocrati lasciando loro l’iniziativa di intervento.

Per non ripetere gli errori bisogna ora invertire il cammino puntando sulla decentralizzazione, la sola che può stimolare l’incentivo al cambiamento e consacrare la legittimazione democratica dell’Unione. Poiché la solidarietà auspicata da Schumann per la costruzione di una federazione non può essere imposta con il metodo sovranazionale del bastone e della carota, fortificando le sovranità nazionali attraverso il principio di decentralizzazione si rimuoverà la frustrazione politica che non spinge ad adottare volontariamente quegli standard di condotta per incentivare e garantire le politiche economiche per le riforme. Con le forzature della UE non sarà mai possibile realizzare alcuna unità politica e fiscale. Come non condividere questa visione? Il funzionamento dell’euro stabilisce che la disciplina fiscale, istituzionalizzata dal patto di stabilità, fosse affidata alla commissione europea. Ma siccome tale struttura non era predisposta ad assorbire gli shock finanziari, ha dovuto inventarsi a posteriori, con il supporto della banca centrale europea, misure di salvataggio e imporre quelle di austerity umilianti per i partner che hanno dovuto subire obtorto collo il ruolo egemone della Germania.

E’ logico che su tali basi non si può creare un regime stabile e tanto meno far sentire l’esigenza di un’unione politica. Insomma, per Mody, è il concetto di governance europea che è fallito: non solo non è riuscita ad assorbire gli shock che hanno colpito i paesi in modo asimmetrico ma ne ha minato ancora di più la stabilità finanziaria spostando, alla fine il peso della crisi sulle spalle dei contribuenti europei. Pertanto per creare un’unione fiscale efficiente è innanzi tutto necessario sottrarre alla commissione europea la delega alla governance fiscale (influenzata, tra l’altro, dai partner più forti) per riporla nelle mani di coloro a cui appartiene, gli stati membri che, conformemente al principi di sussidiarietà, ne hanno la responsabilità legittima. Tale approccio evita di intaccare il principio di sovranità perché l’interpretazione e l’implementazione del fiscal compact diventerebbe esclusiva prerogativa degli stati membri (per intenderci, i vari Olli Rehn non devono interferire nelle scelte di questo processo decisionale. NdR). Tuttavia per evitare i rischi da eccessi di indebitamento deve essere operante la clausola di no bail out già prevista nel trattato di Maastricht. Inoltre l’emissione di nuovo debito deve essere subordinata a clausole contrattuali di ristrutturazione o rinegoziazione fra i partner, finalizzate a ristabilire o migliorare la loro liquidità. Tale accordi a priori funzionerebbero meglio di quelli a posteriori rivelatisi devastanti. Ma per evitare i rischi, sempre presenti, i partner dovrebbero attenersi rigorosamente al principio di equilibrio di bilancio. Alla base di tutta la stabilità finanziaria vi è però la necessità di abbattere il potenziale di rischio sistemico di un sistema bancario diventato pletorico per l’elevata leva finanziaria e il compito di ridimensionarlo spetterà all’Unione bancaria con l’insieme di regole uniche per la sua supervisione e l’istituzione di un unico fondo di assicurazione dei depositi. Questo, a grandi linee, il Schumann Compact, la gestione integrata della fiscalità, del debito e dell’assetto bancario su basi decentrate e responsabili.

Rinnovamento o Requiem?
Se non si può dissentire dall’indirizzo pedagogico di Mody dobbiamo però chiederci se, come il professore afferma, è sufficiente a far uscire l’Europa dall’impasse, e poiché la formazione dell’unione bancaria sarebbe il banco di prova di tutta l’iniziativa di rinnovamento, valuteremo questa fattibilità per capire se nel concreto è realizzabile.

E qui, incontriamo subito difficoltà insormontabili. Innanzi tutto se Mody afferma che il problema europeo è squisitamente politico dimentica che in politica contano solo i rapporti di forza. Quando Schumann pronunciò il suo famoso discorso sulla solidarietà, la Germania aveva perso la guerra. Ma subito dopo avrebbe cominciato a vincere la pace e a dettare le condizioni. Non bisogna dimenticare che per realizzare l’unione monetaria si era puntato sulla trazione della potenza industriale tedesca e sul marco che doveva essere sostituito da un euro altrettanto forte per fare concorrenza al dollaro. Pertanto fin dal principio veniva riconosciuta la leadership della Germania che venne appoggiata dagli Stati Uniti come il fulcro e il garante dell’unione. Agli USA faceva comodo un’unione forte perché gli avrebbe assorbito l’export. Tutto questo è storia ed era scontato che, in Europa, il direttore d’orchestra sarebbe stata la Germania. Secondo punto. Se Mody avesse spinto le sue considerazioni fino in fondo avrebbe dovuto concludere che per fare seriamente gli stati uniti europei occorrerebbe eliminare 17 banche centrali ed istituire un unico tesoro per funzionare proprio secondo il modello statunitense cui il professore fa spesso riferimento. E’ questa infatti la singolarità della moneta unica: lasciare coesistere una Banca centrale europea con delle banche centrali nazionali libere di acquistare i debiti dei loro governi e usarli come collaterale per i finanziamenti dalla BCE creando quel sistema bancario pletorico a cui Mody non risparmia critiche. Per coerenza si dovrebbe ammettere che una vera unione politica e fiscale non può reggere una simile struttura bancaria. Ma quale paese accetterebbe di smantellare il suo più importante istituto di credito? L’unione bancaria è un compromesso che evita soluzioni così radicali, ma neppure essa è, secondo noi, percorribile.

E’ realistico pensare che la Germania, dopo aver fatto sottoporre a controllo il suo sistema bancario, accetti di trasferirne i poteri all’Europa?. E, per quanto riguarda il fondo assicurativo comune, è pensabile che Berlino accetti un sistema che può rivelarsi come un espediente ingegnoso per mettere le mani nelle tasche dei contribuenti tedeschi? Una crisi di un’istituto bancario in un paese più instabile della Germania equivarebbe ad un trasferimento fiscale dal primo al secondo paese. Infine, poiché l’unione bancaria riguarda tutta l’Europa è realistico pensare che la City londinese accetti di essere inclusa in questo nuovo schema europeo trasferendovi pure lei i poteri? La conclusione è che, da qualsiasi punto di vista si esamini la fattibilità dell’unione europea, si deve concludere che lungi da potersi basare su una futura decentralizzazione richiede invece nel lungo termine sempre più centralizzazione con conseguente rinuncia alle sovranità nazionali. Può darsi che in un lontano futuro si possa arrivare a questi cambiamenti ed è lecito continuare a studiare proposte di rinnovamento e nuovi modelli di intervento. Ma non si può accettare che intanto la casa bruci e siano sempre i contribuenti europei ad usare l’estintore. I veri problemi infatti sono quelli economici e nessun paese dell’unione può ormai più sopportare i tempi e i modi delle scelte europee.

Robert Schumann aveva compreso che per realizzare la solidarietà fra le nazioni bisogna partire dall’economia perché sono i successi in questo campo che poi promuovono e legittimano le unioni politiche e non il contrario. Si è voluta invece fare un’unione monetaria senza prima pensare se era possibile quella economica e così la questione tra integrazione e sovranità, sempre pendente, continua a minare il progetto europeo dalle fondamenta. Quando i federalisti di seconda e terza generazione, ossessionati dalla centralizzazione a tutti i costi, lanciarono nel 1999 l’euro non potevano ignorare che stavano integrando aree non omogenee governate da politiche assistenziali. Solo dopo qualche anno infatti si violava il patto di stabilità e subito dopo anche la clausola di no bail out. La crisi epica che oggi l’Europa affronta non è quella di un’unione politica ma quella conseguente ai danni economici reali inferti dall’unione monetaria, aggravata dalla politica di governi inetti e irresponsabili. In tale situazione è lecito pensare che il solo «compact» che possa affermarsi sia quello già sperimentato a Cipro.

Alla fine, quando tutto è stato detto, la lezione da trarre è sempre la stessa. L’economia creata in laboratorio e imposta d’autorità con mezzi politici ne mette gravemente a repentaglio la produttività e competitività. Le ingiunzioni dei governi e dei tecnocrati non sono compatibili con la logica economica. A nuove ondate di crisi il rimedio proposto è stato sempre lo stesso: più Europa, più integrazioni. E oggi, avanti con nuove unioni. Tutta la storia dell’unione europea ci rimanda dunque al paradosso della pianificazione che agendo in nome della razionalità è essa stessa priva di razionalità economica.

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2 Responses

  1. LucaS

    Gentile Gerardo Coco,

    Leggo sempre molto volentieri i suoi articoli e anche in questo caso sono totalmente d’accordo con lei. Il report cui accenna per me è fuori dal mondo: ma come si fa a proporre, IN QUESTA FASE, la decentralizzazione, sostenendo che siano i singoli governi nazionali i responsabili della loro politica economica e dell’equilibrio dei conti, quando sono stati proprio loro a scassarli in tutti questi anni? Ma se persino oggi che hanno i mercati contro e la troika che vigila non tagliano le spese e riducono le tasse al prezzo di fallimenti societari e disoccupazione di massa.. come si può pensare che lo facciano autonomamente, senza condizionamenti esterni e un’opinione pubblica fermamente contraria? Aggiungerei anche che le riforme liberali in un contesto come quello attuale probabilmente necessiterebbero di molto tempo per produrre dei risultati apprezzabili per la popolazione… persino in Germania che ha attuato le riforme negli anni del boom economico i costi sociali di breve sono stati molto pesanti… di conseguenza come si può pensare che la gente appoggi queste riforme e rielegga chi le attua… il risultato sarà la vittoria delle forze populiste che bloccheranno definitivamente le riforme. Purtroppo il tempo utile entro il quale vararle e implementarle è scaduto a causa della governance dei processi politici che prevedono purtroppo il suffragio universale. Per me non c’è una più via d’uscita: che facciano le riforme o continuino con questa austerity tutta fatta di tasse e zero riforme, l’economia per alcuni anni continuerà a peggiorare… e questo determinerà la vittoria di forze populiste come Grillo con conseguenze imprevedibili e molto probabilmente devastanti. L’alternativa non so quanto probabile è che la BCe cambi politica moneraria con conseguenze altrettanto devastanti, anche se a più lungo termine ma spero che i tedeschi non lo permettano. Mi piacerebbe molto sapere cosa ne pensa, grazie.

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