7
Giu
2014

L’aumento della spesa pubblica e la falsa austerity degli Stati

C’è un mito che aleggia sopra l’Europa e in particolare in Italia: l’austerity. Ma austerity cosa significa? Austerity delle famiglie e delle imprese o austerity da parte dello Stato?

Gli ultimi dati dell’ufficio di statistica dell’Unione Europea, Eurostat, smentiscono chiaramente quello che tutti i governi vanno ripetendo da anni.

Gli Stati hanno aumentato la loro spesa pubblica, anche nei famosi PIGS (Portogallo, Italia, Grecia e Spagna). Altro che austerity!

Questo aumento della spesa pubblica ha provocato uno squilibrio nei conti pubblici. Uno squilibrio che le famiglie e le imprese in qualche modo devono colmare per non fare fallire lo Stato sotto l’eccessivo deficit.

Il deficit si crea quando le spese sono superiori alle entrate, un po’ come quando le famiglie vedono i loro stipendi mensili essere inferiori alle loro spese familiari.

È chiaro se una famiglia guadagna 2000 euro e ne spende 2100 in un mese, andrà ad accumulare un deficit di 100 euro al mese, che in un anno fanno 1200 euro.

E gli Stati come si sono comportati tra il 2007 e il 2013, prima e dopo la crisi?

Tra il 2007, anno precedente all’inizio della crisi e il 2013, si è registrato un forte aumento della spesa pubblica sul prodotto interno lordo.

Chiaramente questo dato è “viziato” dal fatto che quasi tutti i Paesi presi in considerazione hanno avuto una forte contrazione del prodotto interno lordo.

È come se la stessa famiglia di prima, vede un membro licenziato e il reddito familiare viene ridotto del 10 per cento. Se la famiglia guadagna 1800 euro al mese, ma continua a spendere 2100 euro, è chiaro che il deficit aumenterà fino a 300 euro al mese (2100 euro di spese con solo 1800 euro di entrate).

Gli Stati si lamentano che la crisi è stata esterna all’Unione Europea e questo è in parte vero per la prima parte della crisi.

È indubbio che la caduta di Lehman Brothers e quella degli Stati Uniti sia stata una delle cause della caduta del prodotto interno lordo per il 2009, ma dal 2010 in poi, la crisi è stata solo europea.

Una crisi dettata proprio dal fatto dall’incapacità della “famiglia europea” di ridurre le spese pubbliche.

La spesa pubblica sul prodotto interno lordo ha infatti registrato aumenti tra il 25,5 per cento della Grecia (dove la caduta del PIL è stata maggiore) e il 5,4 per cento in Italia.

spesapil

Anche la Spagna e il Portogallo (la “S” e la “P” dei PIGS), hanno avuto un forte aumento della spesa pubblica sul PIL.

Ritornando all’esempio della famiglia, è chiaro che il deficit passa dal 5 per cento (100 euro di deficit su 2000 euro di stipendi) al 20 per cento (300 euro di deficit su 1800 euro di stipendi).

Una famiglia che cerca di gestire al meglio il proprio budget mensile, non aumenterebbe le proprie spese, ma cercherebbe ovviamente di ridurle almeno fino a 1800 euro, per non creare deficit.

Cosa hanno fatto invece gli Stati in questione?

Hanno tutti aumentato la spesa pubblica. Una gestione assurda che dimostra come l’austerity non sia una parola utilizzata dagli Stati in questione.

Anzi, hanno tutti aumentato la spesa pubblica e per spendere più soldi pubblici hanno chiesto ai cittadini di stringere la cinghia.

spesa

 

In tutti i Paesi in questione si sono registrati aumenti in valore assoluto della spesa pubblica, tra l’11 per cento della Spagna e lo 0,6 per cento della Grecia.

Al posto di tagliare le spese, vista la caduta del PIL, gli Stati hanno aumentato le spese. Sono anche aumentate le spese per gli interessi, ma questo è dovuto alla sfiducia che hanno avuto i mercati verso le politiche allegre di spesa dei Governi Europei.

È chiaro che se una famiglia vede ridotte le proprie entrate e invece di tagliare le spese, le aumenta, chi gli presta i soldi ha meno fiducia e gli aumenterà il tasso d’interesse.

Ma è tutta colpa dei tassi d’interesse? Assolutamente no.

La spesa pubblica per la protezione sociale e sanitaria, ad esempio, è continuata a crescere. Tra il 2008 e il 2012 (ultimo dato disponibile) nella zona Euro si è avuto un aumento di 300 miliardi di euro. E tra Francia, Italia, Spagna e Grecia nello stesso periodo queste spese sono aumentate di 146 miliardi di euro.

Quale famiglia adotterebbe una politica del genere? Quale famiglia quando vede il proprio reddito diminuire, comincia a spendere ancora più soldi?

Il pubblico e questi Governi hanno attuato una politica di public spending, cercando inutilmente di uscire dalla crisi economica, e affondando ancora di più le economie europee sotto il peso di un deficit cumulato (che diventa poi debito).

La parola “austerity” è dunque un falso giornalistico che fa molto comodo alla politica. L’unica austerity è stata quella delle famiglie e delle imprese che hanno subito un incremento delle tasse per coprire una maggiore spesa pubblica.

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104 Responses

  1. ALESSIO DI MICHELE

    E sono contento che le famiglie paghino la crisi ! Così, nella prossima vita, ci pensano bene e si informano, prima di votare.

  2. luca iezzi

    Obiezione di metodo. Il parallelo con lo stipendio della famiglia è sbagliato (e quindi non semplifica, al contrario mette fuori strada) perché il Pil contiene la spesa pubblica. Quindi seguendo il ragionamento dell’articolo, se la famiglia tagliasse le spese per pareggiare il suo nuovo reddito scoprirebbe che questo a sua volta si è ridotto almeno della stessa entità in una spirale infinita. Poi ci sono le spese incomprimibili (sia per uno stato che per una famiglia) che ovviamente fanno saltare il rapporto tra un Pil che si contrae anche per motivi esogeni e una spesa complessiva che ha tempi e necessità diverse.
    Per affermare che la spesa pubblica è aumentata non solo avrebbe più senso riferirsi ai valori assoluti e non al rapporto con il Pil, ma come si accenna, bisognerebbe togliere le spese fuori dalla sovranità dei governi come appunto gli interessi sul debito o anche gli impegni per il fondo salva stati. Per parlare di “miti” e “invenzioni giornalistiche” servirebbe qualche sforzo di ricerca in più

    Obiezione di merito. Perché lo Stato dovrebbe comportarsi come una famiglia? In realtà nascerebbe proprio per ottenere ciò che le unità sociali più piccoli non sono in grado di ottenere, come creare valore,sostenere il reddito oltre la congiuntura economica, redistribuire il reddito tra le varie fasce sociali, garantire livelli minimi di diritti ( Incolumità personale, diritti politici, istruzione di base, salute)

  3. Laurent

    Dato di fatto: nessuna minestra è gratuita.
    La spesa pubblica deve essere tutta pagata dai cittadini, subito o più tardi con gli interessi.
    Se si continua a spendere come pazzi si va in fallimento. Oltretutto per pagare le cicale si vanno a dissanguare le formiche. Prima o dopo il giocattolo si rompe. Solo degli economisti della Bocconi possono non capirlo.
    I tedeschi saranno anche dei cattivoni ma un debito pubblico colossale, spese pazze e una legislazione bizantina e terroristica sono tutte farine di sacco italiano.

  4. Giuseppe Cernuto

    Caro Andrea,
    purtroppo affermazioni del tipo:

    “Quale famiglia quando vede il proprio reddito diminuire, comincia a spendere ancora più soldi?”

    fanno molta presa sulla gente comune. E dico “purtroppo”, perché sono affermazioni che si basano su un’assunzione falsa: quella che lo Stato sia come una famiglia che spende i propri soldi a beneficio di elementi esterni alla famiglia.

    Non è così. Se proprio vogliamo fare un paragone più calzante, dovremmo dire:
    “Quale padre di famiglia si indebiterebbe per permettere ai propri figli che hanno perso il lavoro di sopravvivere?”.
    La risposta allora sarebbe verosimilmente: TUTTI.

    Lo Stato è alla base di un ecosistema. La sua spesa diventa il reddito dei suoi membri, dei cittadini. E se nei momenti di difficoltà lo Stato, invece di aiutare i propri cittadini investendo sul loro lavoro si mette a fare il ragioniere, l’unico risultato che si ottiene è impoverire tutta la comunità che sulla capacità di spesa dei cittadini in difficoltà contava.

    Prendersela poi con gli Stati in difficoltà che avrebbero aumentato la spesa pubblica quando il PIL è diminuito, significa anche ignorare (o far finta di ignorare) un meccanismo base di ogni economia: quello degli stabilizzatori automatici. Ogni volta che un’economia entra in recessione, esistono dei meccanismi di spesa pubblica che tendono a invertire questo ciclo. E sono positivi, proprio perché hanno questo scopo. Esempi ne sono la cassa integrazione e le indennità di disoccupazione. Sostenendo il reddito, tendono a opporsi al ciclo recessivo impedendogli di avvitarsi rapidamente e trasformarsi in depressione.
    http://en.wikipedia.org/wiki/Automatic_stabilizer

    Questi stabilizzatori sono per l’appunto “automatici”, perché non richiedono un intervento governativo o legislativo per entrare in funzione. Sono sempre operativi e per questo hanno il vantaggio di agire in maniera immediata. Di conseguenza, l’aumento della spesa pubblica all’abbassarsi del PIL è in una certa misura sempre da imputarsi a questo meccanismo.

    Mi sono fatto due corsi di macroeconomia per riuscire a interpretare in maniera corretta questi fenomeni. E credo sarebbe utile che anche molti commentatori economici, su stampa e blog, facessero lo stesso prima di proporre paralleli incongruenti.

  5. sergio

    pensare che in italia tagliando la spesa pubblica il pil si riduce della stessa entita’ in una spirale infinita e’ fanatismo ideologico. meno male che ogni tanto una piccola percentuale dei casi mose viene alla luce (se qualcuno mi parla di moltiplicatore keynesiano li’ mi metto a ridere).l’italia non e’ la svezia. chi parla di limitare fortemente l’uso del contante quando gia’ in italia la limitazione e’ massima rispetto agli altri paesi per la peculiarita’ italiana dell’evasione fiscale dovrebbe allo stesso modo per la peculiarita’ italiana della corruzione cercare di limitare al massimo rispetto agli altri paesi la spesa pubblica.

  6. Grazie all’ottimo Giuricin, che ricordo ancora con stima per l’eccellente lavoro sulle finte privatizzazioni di Poste ed ENAV http://lafilosofiadellatav.wordpress.com/2014/01/28/poste-e-enav-le-finte-privatizzazioni-da-leoni-blog/.

    Sul tema, rispondendo anche ai commenti degli altri lettori, annoto che la vicenda della deflagrazione dei mega-debiti pubblici, per essere compresa appieno, deve essere considerata scientificamente, nell’ambito del keynesismo che l’ha generata, come dico qui, sulla scorta della lezione di Pier Luigi Zampetti:

    http://lafilosofiadellatav.wordpress.com/fiatpomigliano-darcomelfi-come-mettere-a-frutto-la-lezione-di-pier-luigi-zampetti-per-risolvere-il-conflitto-tra-capitale-e-lavoro/

    qui, una attualizzazione sul keynesimo di Renzi:

    http://lafilosofiadellatav.wordpress.com/2014/05/27/renzi-lha-ridetto-faremo-operazione-keynesiana-ecco-perche-cadra-li/

  7. Francesco_P

    In Italia, dal 1992 in poi (governo Amato), si è praticata l’austerità solo nei confronti della spesa per investimenti e dei ceti produttivi attraverso la iper-tassazione. Ma il male della spesa pubblica clientelare e l’aumento del potere delle burocrazie è di lunga data: prima si erodevano i risparmi con l’inflazione e le “svalutazioni competitive”.
    Vorrei fare un appunto ai keynesiani che sostengono la necessità di aumentare la spesa pubblica in Italia.
    Dove va a finire la spesa pubblica in Italia? Forse non va a finire nella burocrazia che blocca tutto e che crea la necessità di oliare cento ingranaggi per riuscire a fare qualsiasi cosa? Il MOSE, di cui si parla tanto in questi giorni, è un esempio perfetto: pagare maggioranza, opposizione ed una pletora di funzionari pubblici e commissari per riuscire a fare un’opera necessaria. Sono effetti della spesa pubblica e della ipertrofia burocratica anche la sanità, la morte delle imprese, la fuga degli investitori esteri (- 58% secondo il Censis negli ultimi 6 anni), gli oneri aggiuntivi per le imprese per svolgere compiti amministrativi che rappresentano una tassa sulla tassa, ecc.
    Cari keynesiani italiani: Keynes sosteneva che in tempi di crisi lo Stato avrebbe dovuto pagare i lavoratori disoccupati per scavare una grande buca e poi riempirla allo scopo di sostenere la domanda, ma non ha mai affermato che i lavoratori dovevano buttarcisi dentro per morire schiacciati dai piedi dei burocrati. Prima di parlare di spesa pubblica in Italia, a) state attenti ai mostri generati dall’ipertrofia della macchina pubblica, b) state attenti al volume del debito accumulato che già ci costa il 5,5% del PIL di soli interessi in un irripetibile periodo di tassi infimi!

  8. Laurent

    … e quale padre di famiglia si metterebbe a rapinare i figli che lavorano per pagare i vizi dei figli lazzaroni ?!

  9. Giuseppe Cernuto

    Non so se vale la pena di interloquire. Vedo un approccio molto ideologico ma soprattutto basato su una visione molto parziale dei fenomeni economici (e monetari in particolare).
    Vi consiglio questo corso, che è iniziato da poco.
    https://www.coursera.org/course/money

    Anche se un livello intermedio di macroeconomia è considerato un prerequisito.

  10. sergio

    il consulente finanziario che cerca di consigliare al risparmiatore degli investimenti “fregature” che convengono solo alla banca a un certo punto usa il trucchetto dell’argomentare che lui e’ l’esperto, conosce la materia e ha fatto i corsi. ma qui la “fregatura” e’ talmente grossa che tantissime persone senza fare nessun corso se ne sono accorte. ora, intendiamoci, e’ chiaro che, nell’ambito della spesa pubblica, tagliare stipendi o ammortizzatori sociali e’ esattamente equivalente ad aumentare le tasse, perche’ vuol dire togliere direttamente soldi ai cittadini, ma se, per fare un esempio, lo stato eroga annualmente 10 milioni di euro ad un’azienda per salvare 100 posti di lavoro da 1000 euro al mese (totale 1 milione l’anno), c’e’ veramente bisogno di fare un corso di economia per capire che era meglio una diminuzione delle tasse di 10 milioni di euro o basta una licenza elementare? e’ ovvio che tagliare la spesa pubblica ha effetti recessivi, ma e’ anche ovvio che nella particolare situazione italiana, se le manovre dal 2011 in poi fossero state di soli tagli, l’economia italiana sarebbe andata molto meglio (anzi meno peggio) e con una seria politica di taglio della spesa del 5% del pil e diminuzione tasse del 5% del pil l’italia andrebbe molto meglio. che questo sia meglio in tutti i paesi e’ certo un dibattito aperto e non concluso tra esperti, questo si che sarebbe ideologico, ma col livello di corruzione, sprechi e spesa pubblica improduttiva che c’e’ in italia, ASSOLUTAMENTE INCREDIBILE che tra i cittadini il partito della spesa pubblica sia cosi’ forte.

  11. Giuseppe Cernuto

    Caro Sergio,
    non so se ti riferisci a me quando parli di “esperto che ha fatto i corsi”. I corsi li ho fatti, è vero, ma per interesse personale e poter valutare le soluzioni con un minimo di consapevolezza di come funzionano le cose da noi, di come funzionano altrove e di come potrebbero funzionare secondo vari modelli. Però non sono un consulente finanziario, faccio tutt’altro lavoro. Un lavoro in cui la logica e la razionalità è il pane quotidiano.
    Tu dici che tagliare la spesa pubblica è esattamente uguale ad aumentare le tasse. In realtà non è esattamente così: la spesa pubblica incide direttamente sul PIL (ne è una componente) mentre le tasse incidono indirettamente sotto forma di consumi. Ma non tutto il risparmio fiscale viene convertito in consumi. Una parte viene accantonato sotto forma di risparmio privato e non entra in circolazione nel circuito dell’economia. E’ per questo che le due operazioni hanno moltiplicatori diversi e l’incidenza della spesa pubblica sul PIL è maggiore di quello delle tasse.
    Questo ovviamente non significa che agire sulla spesa sia sempre la strada migliore. Oggi abbiamo un livello di tassazione assolutamente folle, quindi con me sfondi una porta aperta quando parli dell’opportunità di agire su un taglio deciso delle tasse. Quello che non condivido è compensare i tagli delle tasse (che comunque non ci sono stati) con un taglio della spesa pubblica, perché a parità di bilancio (di tot taglio e di tot riduco), l’effetto è recessivo, proprio in virtù dei moltiplicatori che dicevo. Ciò non significa che la spesa pubblica non si possa riqualificarla, cioè impiegarla meglio. Ma se si riduce, con l’obiettivo di avere un surplus di bilancio, l’effetto recessivo è un fattore aritmetico.
    Bisogna anche fare attenzione alla definizione di spesa pubblica improduttiva. Da un punto di vista macroeconomico, nessuno ha introdotto questo concetto. Ci sarà una ragione, no?
    Il punto è che anche uno spreco genera un aumento del PIL. Mettiamo ad esempio che lo Stato decida di acquistare 1000 auto blu di cui si può benissimo fare a meno. La spesa dello Stato, oltre a incidere direttamente sul PIL (componente G, spesa Governativa), genera fatturato per i produttori e le officine di manutenzione, stipendi per gli autisti, ecc. Questi, col loro potere di acquisto consumeranno a loro volta beni e servizi che dovranno essere prodotti e quindi impiegheranno personale, riducendo la disoccupazione.
    Viceversa, un taglio agli sprechi, per quanto eticamente virtuoso, può creare qualche disoccupato in più e quindi una riduzione della domanda aggregata, una diminuzione della produzione, una riduzione degli occupati e così via.
    Naturalmente, non sto dicendo niente di nuovo. Ma sembra che a molti i concetti base di come funzioni il flusso circolare macroeconomico sfugga.

  12. John

    @iezzi e Cemuto, Lo Stato deve sicuramente garantire la sicurezza, sostenere il reddito per disoccupazione (meglio se universalmente senza distinzione di tipo di contratto firmato), ecc. Ma c’è una larghissima parte di spesa pubblica che potrebbe essere risparmiata e che quasi sicuramente comporterebbe (almeno nel lungo periodo) un aumento di PIL. Per fare un esempio si stima che ci sono 12,4 mld di Euro che è possibile risparmiare dalla copertura di perdite di aziende partecipate e controllate che non forniscono servizi pubblici.
    http://www.confindustria.it/studiric.nsf/All/A6998B12B70C6F28C1257C970032DD33?openDocument&MenuID=42257EA28EF90910C1257547003B2F89
    Come sopra molti servizi pubblici potrebbero essere offerti da privati con una bella liberalizzazione (fatta bene, non come negli ultimi 20 anni in Italia) e una vera privatizzazione delle aziende (vendendo tutte le quote/azioni), se qualcuno le vuole. Ciò comporterebbe una riduzione di spesa pubblica (magari con contestuale diminuzione dell’imposizione fiscale), prezzi di mercato per i servizi offerti (che in tantissimi casi sono inferiori a quelli proposti dalle aziende pubbliche), aumento delle entrate erariali e aumento del PIL.

  13. pablo

    Abolendo solo il fondo salvastati, il fiscal compact e il signoraggio bancario nei confronti della bce , si risparmierebbero oltre 100 miliardi l’anno che potrebbero essere usati per ridurre tasse su cittadini e imprese,Se non andiamo alla radice del problema (la dittatura finanziaria della troika) metteremo una pezza là e una lì , ma il problema resterà irrisolto, anzi lieviterà e si rischieranno solo inutili guerre tra poveri lungo il viale verso la miseria diffusa, ingrassando all’infinito solo una ristretta categoria di persone.

  14. John

    @pablo Abolire il fiscal compact? Così possiamo spendere e spander a deficit incontrollato, indebitarci oltre l’insostenibilità e magari poi parliamo di default…
    Sul signoraggio bancario, poi, forse si ignora che oltre il 90% di esso viene trasferito direttamente dalla BCE al tesoro degli Stati europei (non alle banche centrali nazionali), in proporzione al PIL.

  15. sergio

    Caro Giuseppe,
    il mio esempio del consulente finanziario era soltanto un esempio del fatto che purtroppo non ci si puo’ fidare dei cosiddetti “esperti” per 2 motivi fondamentali 1)ideologia 2)disonesta’ intellettuale dovuta a vari conflitti d’interessi, per cui l’errore piu’ grosso che si possa fare e’ lasciarsi intimidire dalle loro competenze tecniche.Non so che mestiere fai, quindi non so se fai parte del “partito della spesa” che campa prevalentemente grazie alla spesa pubblica. Da persona che ragiona con la propria testa e si informa sui dati posso dire: 1)non so come calcolare i moltiplicatori, ma se qualcuno mi dice che il taglio della spesa ha un effetto piu’ recessivo del taglio delle tasse, devo dedurne che alzando il piu’ possibile le tasse e la spesa e’ l’optimum per l’economia, quindi il comunismo (o quantomeno una forma simile in cui sia tutto pubblico) sarebbe il massimo a cui possiamo auspicare. semplice deduzione logica senza essere un esperto. e’ chiaro che la curva non e’ lineare. riguardo il risparmio privato c’e’ veramente da incazzarsi. per colpa di questi pseudo-esperti ideologici sinistrofili stanno massacrando di tasse il risparmio proprio perche’ dovrebbe essere “improduttivo” rispetto ad altri impieghi. cosi’ il popolo bue dovrebbe accettare di buon grado il salasso per il bene comune. allora perche’ nel documento di programmazione economica che va in commissione europea l’effetto della riduzione irap 10% aumento tasse risparmio 26 % e’ stimato in +0,1% e -0,1% pil rispettivamente fino al 2018? cioe’ l’effetto netto sul pil e’ 0, non hanno nemmeno avuto il coraggio di taroccare i dati come fanno sempre.

  16. Giorgio

    “Il punto è che anche uno spreco genera un aumento del PIL.”
    Ma allora è tutto risolto! Facciamo a comprare allo Stato tutto il sovrappiù che il nostro sistema industriale non riesce a vendere e avremo una crescita del PIL da fare invidia alla Cina! Come non averci pensato prima!

  17. Marco O.

    @Giuseppe

    “Il punto è che anche uno spreco genera un aumento del PIL. Mettiamo ad esempio che lo Stato decida di acquistare 1000 auto blu di cui si può benissimo fare a meno. La spesa dello Stato, oltre a incidere direttamente sul PIL (componente G, spesa Governativa), genera fatturato per i produttori e le officine di manutenzione, stipendi per gli autisti, ecc. Questi, col loro potere di acquisto consumeranno a loro volta beni e servizi che dovranno essere prodotti e quindi impiegheranno personale, riducendo la disoccupazione.”

    E lei farebbe un lavoro in cui “la logica e la razionalità sono il pane quotidiano”? Seguendo il suo ragionamento, lo Stato dovrebbe allora cominciare a scavare buche e rompere finestre. Sa quanto lavoro si creerebbe per costruttori di pale e vetrai? Ha mai sentito parlare della fallacia della finestra rotta? ( http://it.wikipedia.org/wiki/Racconto_della_finestra_rotta ).

    In quanto al risparmio, non è affatto vero che esso non entra in circolazione nel circuito dell’economia. Da dove pensa che vengano gli investimenti necessari al funzionamento dell’economia, se non dal risparmio? ( http://www.teapartyitalia.it/index.php/articolo/le-cause-della-crisi ).

    Mi pare che lei sia un inguaribile keynesiano…

  18. pablo

    @John, massimo rispetto per le sue opinioni, ma non condivido assolutamente,Quello che Lei afferma è quello che vuole farci credere la troika!La realtà è un’altra, purtroppo !

  19. pablo

    @john, Tra l’altro ,sempre per dialogare cordialmente gentile John,l’80 % dei profitti bce derivanti dal signoraggio bancario vengono destinati agli azionisti, vale a dire le Banche Centrali Nazionali (bankitalia,bundesbank,ecc) e non ai ministeri del Tesoro dei vari Paesi dell’eurozona.Lei sa meglio di me,inoltre,che tali Banche Centrali Nazionali sono Istituti di diritto pubblico solo sulla carta,ma di fatto sono delle private spa.Basti vedere gli azionisti di bankitalia (a parte il 5% in mano all’Inps)o della bundesbank. Distinti saluti.

  20. John

    @pablo, Ringrazio per il rispetto riservato alle mie opinioni, che riservo anche alle sue (cosa rara ultimamente online e anche nella vita quotidiana, purtroppo).

    Leggendo i bilanci di Bankitalia, si scopre che i conferimenti allo Stato degli ultimi anni varia dal 73% al 98% dell’utile lordo, a seconda di quanto viene accantonato a riserva (l’aumento di capitale gratuito di BI è stata una porcata, su questo credo concordiamo). Agli azionisti viene confderita una parte modesta degli utili netti.
    Comunque di fatto i proventi da signoraggio vengono distribuiti per circa il 90% al tesoro degli Stati. Su questo consiglio la lettura dell’ottimo Prof. Lippi:
    http://noisefromamerika.org/articolo/signoraggio-svalutazioni-sovranita-monetaria-6
    Ad ogni modo il signoraggio non arriva al 1% del PIL, non si può credere che possa influire molto sulle entrate dello Stato.

    In merito al fiscal compact, prevedere di non spendere in deficit (spendiamo quello che possiamo permetterci), di ridurre il debito pubblico sotto un soglia sostenibile, il 60% sul PIL potrebbe essere discutibile, ma di certo il nostro debito è al limite della sostenibilità e, infine, di rendere tutto strutturale, quindi sostenibile. Le critiche di economisti keynesiani sono abbastanza labili, in quanto il pareggio di bilancio (che pareggio non è) può essere calcolato sul PIL potenziale, in caso di recessione. Ergo, c’è la possibilità di andare in deficit e aumentare il debito in caso di congiuntura econimica sfavorevole.

    Poi che io non sia d’accordo con la crescita finanziata con sprechi di spesa pubblica e a debito e che mi piacerebbe dare la possibilità alle imprese italiane (o straniere che lavorano in Italia) di aumentare la crescita con l’efficienza, l’ammodernamento anche dei servizi pubblici e l’innovazione, è un altro discorso

  21. Giuseppe Cernuto

    @Sergio,

    concordo con te sul fatto che non ci si possa fidare degli esperti. E’ proprio per questo motivo che, da non esperto, mi sono avvicinato al mondo della macroeconomia, mi sono fatto alcuni corsi e ora ne sto facendo uno sulla moneta e il sistema bancario. Adesso ho un po’ di strumenti per valutare con la mia testa.

    Intuitivamente, sei arrivato a una conclusione corretta. Ha anche un nome: teorema del pareggio in bilancio. 🙂
    il succo è che, grazie alla differenza dei moltiplicatori, aumentando la spesa pubblica e le tasse di pari importo, otterrai una crescita del PIL mantenendo il bilancio in pareggio.
    Qui puoi vedere i dettagli. Ti ho evidenziato in giallo i punti chiave.
    http://marker.to/XqrbRW

    Ma allora, se è così semplice, perché non lo fanno tutti?
    Perché non è semplice: le tasse sono un argomento politicamente impopolare. Ma, soprattutto, non è possibile aumentarle all’infinito. La curva di Laffer ci mostra che, superato un certo limite, le tasse soffocano l’economia riducendo il gettito fiscale (e noi abbiamo già varcato il picco della parabola, come i dati recenti dimostrano).
    E’ quindi una politica che può essere attuata, per un periodo limitato, da un governo stabile non vicino a elezioni e quando il livello di tassazione è sufficientemente basso.
    Quindi, per concludere, oggi noi non ci possiamo permettere di bilanciare con aumenti di tasse un aumento della spesa pubblica. Ma, ancora peggio, attuare una politica di riduzione delle tasse finanziata dalla riduzione della spesa pubblica è l’applicazione inversa di quel teorema: recessione a parità di bilancio. E questa è una cosa di cui bisogna rendersi conto.

  22. Giuseppe Cernuto

    @Marco,
    conosco la “fallacia della finestra rotta”. Ne ho discusso recentemente nel forum del mio secondo corso di macroeconomia. Solo che la fallacia… è fallace. 🙂
    L’errore di fondo è che si considera la quantità di moneta costante. In realtà la quantità di moneta si può e si deve espandere (o anche contrarre all’occorrenza) per essere adeguata al numero di transazioni commerciali che l’economia richiede. In tal caso, quando lo Stato “rompe le finestre” e offre lavoro per aggiustarle, sta semplicemente usando un pretesto per immettere liquidità nel sistema.
    Questo tipo di finanza, che ad alcuni sembra strana, improbabile e assurda è in realtà molto concreta ed è stata impiegata molto dagli Stati Uniti: si chiama war finance. In questo caso, le finestre che si rompono sono quelle degli altri. E gli operai (le imprese) che si mandano a per ripararle sono i propri.
    Io non mi considero un keynesiano. O, almeno, non solo. Lo sono al momento opportuno. La macroeconomia si preoccupa di fornire strumenti. E la scelta di questi strumenti dev’essere scelta in accordo ai propri valori e alle soluzioni che questi strumenti propongono.
    In fase di espansione mi sentirei un neoclassico. Mai e poi mai applicherei una politica keynesiana (intesa come spesa pubblica), perché chiaramente surriscalderebbe il livello dei prezzi e mi darebbe poco margine per intervenire quando il ciclo si inverte.
    In una fase di recessione sicuramente mi sento un keynesiano, perché sostenere i redditi quando le strutture produttive esistono e sono in sofferenza per carenza di domanda viene incontro, da una parte alla soluzione economica di riportare il PIL al livello di quello potenziale, dall’altra al mio valore etico di offrire alla gente uno standard di vita dignitoso. Questo non avrebbe nemmeno un effetto significativo sul livello dei prezzi perché l’accresciuta domanda viene prontamente soddisfatta dalle strutture produttive che hanno i magazzini pieni e gli impianti che girano a regime ridotto.
    Optare per un approccio neoclassico in fase recessiva funziona ugualmente. Ma ha un effetto che è in contrasto con i miei valori. L’approccio prevede una riduzione del costo del lavoro, per aumentare la produttività. Deregolamentazioni, liberalizzazioni, ecc. Tutto ciò da un lato aumenta la produttività, dall’altro questo processo avviene a scapito dei redditi dei lavoratori. Questo non è un elemento neutro, perché agisce sulla domanda aggregata, riducendola.
    I risultato è uno scenario incerto sul PIL, in un contesto di deflazione e di diminuzione dello standard di vita dei cittadini.
    Vi mostro un grafico che ho usato nel corso di una discussone nel corso di macroeconomia, per spiegarvi il perché. Chi non è interessato ai dettagli tecnici può saltare questa parte.
    —————————————————————————————————-
    https://docs.google.com/file/d/0B3iuWO_eBRftelRnUExRYVdZZWs/edit

    Sulle ascisse c’è il PIL, sulle ordinate c’è il livello dei prezzi.
    La curva AS (Aggregate Supply) rappresenta l’offerta aggregata, cioè la quantità di beni che il sistema produttivo è in grado di offrire. La curva AD (Aggregate Demand) rappresenta la domanda aggregata, ossia la quantità di beni che il mercato è in grado di assorbire.
    Il punto in cui le due curve si incontrano, rappresenta l’equilibrio. E determina il valore del PIL (asse X) e il livello dei prezzi (asse Y).
    Quando la produttività di un’azienda aumenta, è in grado di offrire più beni a parità di costo e la curva AS si sposta verso destra. Se le cose si fermassero così, come direbbe la mia insegnante, saremmo nel migliore dei mondi possibili: l’offerta aumenta, i prezzi diminuiscono (come si può osservare) e la domanda (quindi il potere di acquisto dei cittadini) rimane stabile.
    Il problema è che l’aumento della produttività (e di competitività) oggi passa tramite la riduzione di personale (esuberi), la riduzione del costo del lavoro (cioè dei salari), spesso ottenuto mediante l’impiego di lavoratori temporanei o la delocalizzazione degli impianti produttivi. In questo modo, chiaramente AS slitterà sempre a destra. Ma siccome il potere di acquisto dei cittadini diminuisce, sia per effetto della disoccupazione generata, sia per effetto della riduzione dei salari, che in parte avviene proprio grazie alla disoccupazione (quando uno non ha lavoro, accetta qualsiasi livello retributivo e perdita dei diritti, pur di mangiare), la domanda aggregata diminuirà anch’essa. E quindi la curva AD slitta verso sinistra (io l’ho evidenziata in rosso).
    In questo scenario, otterremo un nuovo equilibrio. Il PIL potrà essere più o meno positivo rispetto al punto di partenza (dipende da quanto si è ridotta la domanda aggregata) e i livello dei prezzi sarà ancora più ridotto. E’ uno scenario molto attuale, indotto dalle attuali politiche europee: quello della deflazione.
    Quindi da un punto di vista macroeconomico abbiamo trovato un nuovo equilibrio, il PIL potrebbe anche essere moderatamente cresciuto (se AD si contrae meno di quanto si espanda AS) e il livello dei prezzi si è abbassato.
    —————————————————————————————————-

    Chi ci guadagna in questo scenario?
    Ci guadagna chi ha più soldi e ha delle rendite finanziarie (in deflazione la moneta si apprezza rispetto ai prodotti).
    Ci perde chi vive solo del proprio reddito, perché i redditi diminuiscono, anche se la riduzione dei prezzi ne attutisce l’effetto.
    La distribuzione della ricchezza tende a polarizzarsi verso i più ricchi (le cui rendite finanziarie non subiscono i tagli dei redditi).
    E’ uno scenario distante dai miei valori e dalla mia visione del mondo. Ecco perché, per risolvere una crisi recessiva, preferisco un approccio keynesiano.

  23. Giuseppe Cernuto

    Mi sono accorto di aver lasciato un po’ a metà la prima parte del discorso. Così sembra che io sia per la guerra. 🙂
    Non lo sono affatto . Volevo solo confutare la fallacia delle finestre rotte e far capire che il suo limite è l’idea che la quantità di moneta resti costante.
    La provocazione dello “spreco utile” serviva a dire che, quando c’è una crisi di domanda, un’immissione di liquidità, anche se inizialmente impiegata male e in modo non etico, alla fine da un punto di vista macroeconomico riequilibra la quantità di moneta disponibile per gli scambi. Mentre un taglio alla spesa, sia pur dettato da principi nobili ed etici, può essere dannoso.
    La spesa pubblica improduttiva è fondamentalmente un mito. L’unica spesa improduttiva è quella che lascia il circuito economico. E questo restringe il campo a due sole opzioni:
    – quella che va all’estero
    – i rimborsi di prestiti.

    Quest’ultima cosa potrebbe disorientarvi, ma per come funziona il sistema monetario oggi (e infatti lo cambierei) la moneta viene sempre emessa a fronte di un debito. Se è contratto dallo Stato, è debito pubblico, altrimenti è debito privato.
    Dev’essere chiaro a tutto che aumentare la ricchezza significa aumentare la moneta (che ne è anche misura). E se aumenta la moneta aumenta anche il debito. La crescita quindi si può ottenere solo aumentando il debito complessivo. Se vogliamo ridurre il debito pubblico, dobbiamo allora aumentare il debito privato. Ma vi invito a riflettere sul fatto che tutte la crisi è frutto del collasso e dell’insolvenza del debito privato. Basti guardare al livello di insolvenza dei prestiti bancari. Nessuno Stato invece finora è fallito, nonostante abbia assorbito (e pagato con i soldi dei contribuenti) le insolvenze del settore privato.

  24. John

    @Giuseppe Cemuto, E’ vero che la crescita può essere finanziata dalla spesa pubblica, non solo a pareggio di bilancio, ma anche a deficit, ergo a debito (con esternalità negative: concetrazione del potere economico in mani governative, che se mal gestito – e usualmente lo è – comporta corruzioni e concussioni del caso).
    Ma è anche vero che è possibile ridurre la spesa pubblica e contestualmente aumentare il PIL, attraverso una legislazione che tolga i limiti che generalmente esistono quando lo Stato è attore economico diretto, mettendo in concorenza imprese private, offrendo servizi migliori e aumentando il gettito tributario.
    So che probabilmente abbiamo due scuole di pensiero differenti, ma credo che le discussioni siano più produttive se avvengono fra due punti di vista diversi.

  25. Marco O.

    @Giuseppe

    La pensiamo proprio all’opposto. La invito a questa riflessione: lei afferma che la spesa pubblica improduttiva è un mito, e che quindi aumentare la spesa pubblica (specie durante una recessione) è una cosa auspicabile. Bene: allora seguendo il suo ragionamento, ne dovremmo concludere che i corrotti e i corruttori sono dei benefattori dell’umanità! Non è infatti grazie a loro se la spesa pubblica di Expo, Mose, etc. è aumentata a dismisura? Che dice, una medaglia non se la meritano?

  26. sergio

    @Giuseppe
    dato che immagino tu abbia un background matematico dal link che mi hai postato, dovresti sapere che un teorema e’ giusto nei limiti della validita’ delle ipotesi e approssimazioni fatte. nel momento in cui “il pil puo’ essere definito come somma di consumi, investimenti e spesa pubblica”(l’ho preso dal link), noi potremmo immaginare l’italia aumenti le tasse per 30 miliardi e con quei soldi compri palloncini da un paese straniero che vengono poi liberati in aria. il pil aumenta secondo questa definizione; e’ evidente che c’e’ qualcosa che non va.
    e poi un altra cosa: e’ altrettanto evidente che in prossimita’ del massimo della curva di laffer, un elevato aumento di aliquote fiscale corrisponde a un piccolo aumento di entrate (con cui si potrebbe fare un piccolo aumento di spesa pubblica). secondo questo modello il pil in questo caso dovrebbe ancora aumentare. evidentemente il modello varra’ solo nei tratti in cui la curva di laffer approssima una retta

  27. John

    @Giuseppe Cemuto, post del 11.06.14

    Per quale motivo deregolamentazioni e liberalizzazioni contrastano con i suoi valori? Capisco la riduzione dei redditi da lavoro (che forse sarà comunque necessario, anche con politiche di alta spesa pubblica).

    Trasferire competenze dallo Stato al mercato, porta ad una gestione migliore del settore di riferimento, con crescita del PIL, diminuendo la spesa pubblica.

    In uno scenario dove lo Stato riesce a liberalizzare e privatizzare (due cose che sono interconnesse, se manca una si hanno i risultati che hanno portato al fallimento della maggior parte delle privatizzazioni degli ultimi 20 anni), questo potrebbe avere le risorse per ridurre l’imposizione fiscale sul lavoro e quindi diminuire il costo di quest’ultimo, senza diminuire le retribuzioni.

    Per quanto riguarda gli esuberi questi esistono perché la produzione si è ridimensionata, a causa della recessione, ma attraverso le liberalizzazioni il PIL torna a crescere, perché si aprono nuovi mercati prima di appanaggio statale o mono-oligopolistico.

  28. Giorgio

    Il problema è che è utopistico pensare di poter essere neoclassici la mattina e keynesiani il pomeriggio.
    In teoria sembrerebbe ragionevole: sono neoclassico nelle fasi di espansione e keynesiano in quelle recessive, laddove una politica keynesiana ben condotta riuscirebbe a smussare le asperità dei periodi di contrazione addolcendone gli effetti socialmente più sgradevoli.
    Peccato che una simile condotta funzioni solo sulla carta, mentre nei fatti ci ha lasciato in eredità l’attuale situazione, fatta di spese pubbliche fuori controllo, debiti giganteschi e inefficienze endemiche.
    Una volta slegata la bestia della spesa pubblica, è arduo rimetterla ini gabbia e, nei fatti, non ci si riesce.
    Prendere la strada dello stimolo pubblico dell’economia significa far proliferare un sottobosco di clientele e settori che di pubblico ci campano, e che si opporranno con tutte le loro forze al loro ridimensionamento durante le fasi “neoclassiche”. La realtà ci dice infatti che la spesa pubblica è sempre costantemente cresciuta, indipendentemente dai cicli economici.
    Poi, è irrealistico pensare di poter liberalizzare, deregolamentare, privatizzare e successivamente regolamentare e statalizzare a cicli, specie se consideriamo che i cicli economici si vanno viepiù accorciando. Che facciamo? Privatizziamo e statalizziamo un’azienda ogni tre/quattro anni?
    Ricordiamoci anche un’altra cosa: ammesso che fosse possibile passare dalla fase neoclassica a quella keynesiana con un interruttore magico, le fasi del ciclo economico bisogna anche identificarle con precisione ed entrarci con una tempistica altrettanto precisa, e qui casca l’asino. Per una serie di motivi, dalla decisione alla sua implementazione passa un mucchio di tempo e il risultato è che l’intervento governativo avviene o in ritardo o in anticipo, producendo effetti opposti a quelli prefissi.
    Posso concordare sul fatto che applicare alla lettera i principi della scuola neoclassica possa comportare conseguenze sgradevoli nelle fasi di riequilibrio in seguito a una fase recessiva, ma anche i percettori di salario devono rendersi conto che le loro retribuzioni sono funzione della produttività e della congiuntura economica, non una “variabile indipendente” gestita artificialmente da Mamma Stato.
    Vivo in Svizzera, un paese dove le retribuzioni sono mediamente molto superiori di quelle Italiane ma dove, strano ma vero, da svariati anni sono in diminuzione nei settori (come quello bancario) investiti da un (lungo) periodo di calo della produttività. In Italia la sola idea che uno stipendio possa scendere è considerata una bestemmia e si indicono scioperi quando si rimane per troppi anni senza gli avanzamenti automatici. Eppure, tra Italia e Svizzera, qual è il paese dove i lavoratori stanno meglio?
    La dura realtà è che, laddove lo Stato ha un peso eccessivo nell’economia (e grazie ai venti “keynesiani” questo fenomeno sta crescendo a livello globale), proliferano inefficienze, corruzione, clientele e l’impresa privata viene non di rado schiacciata. Questo porta a un iimpoverimento generale e non c’è domanda aggregata artificialmente stimolata che tenga.
    Che la spesa improduttiva sia un “falso mito” qualcuno me lo deve spiegare. Mi chiedo a che servano studi e analisi di marketing, nonché le ingenti spese in ricerca e sviluppo che le aziende compiono per innovare e cercare di incontrare i gusti dei consumatori con la miglior combinazione di prezzo e qualità, quando basterebbe produrre alla Boia d’un Giuda e poi farsi comprare tutto dallo sSato che si foraggia tramite la fiscalità generale. Anzi, mi chiedo a che serva produrre quando basta spendere. Mi sa che qualcosa non torna.

  29. Giorgio

    Anch’io mi scuso per qualche refuso (e strafalcione). Purtroppo non è possibile correggere il testo una volta inserito.

  30. Giuseppe Cernuto

    @John,
    le nostre scuole di pensiero forse sono meno diverse di quello che pensi. A me piace definirmi un liberale, nel senso che vedo nell’individuo e nella sua possibilità di autodeterminare il suo futuro e perseguire i suoi obiettivi personali uno dei valori fondamentali. Il benessere collettivo, nella mia visione è la somma del benessere individuale di tutti i cittadini.
    Un cittadino può raggiungere i propri obiettivi personali se è messo in condizione di pari opportunità rispetto agli altri. E’ una visione che comporta una mobilità sociale molto alta, ossia la possibilità per un cittadino qualsiasi di raggiungere qualsiasi gradino della scala sociale, in base alle proprie aspirazioni e abilità. Queste opportunità non possono essere autotutelate dal mercato, perché il mercato è per sua natura selettivo e competitivo. Polarizza, non redistribuisce.
    L’impresa, per missione, si pone l’obiettivo di massimizzare i profitti. E’ giusto che sia così, è il motore della competizione. Ma proprio per questo motivo, gli effetti della sua azione sono quelli di far crescere il divario fra ricchi e poveri. Se non si inserisce un elemento in grado di riequilibrare questa tendenza, lo stesso benessere individuale che ho posto come valore viene fortemente minacciato. Il rischio è infatti quello di fare crollare i redditi della classe media al punto da impedire limitare l’accesso all’informazione e alla formazione, impedire la libertà di occuparsi delle proprie aspirazioni per la necessità di doversi occupare dell propria sopravvivenza e di bloccare la mobilità sociale, creando di fatto una società elitista che rischia pure di diventare autoreferenziale perché chi è al potere diventa espressione delle elite, non della collettività nel suo insieme.
    Allora serve nella società un elemento che possa agire come bilanciatore della tendenza alla competizione e alla polarizzazione della ricchezza che contraddistingue il libero mercato. Un redistributore che, agendo nell’interesse della collettività, assicuri quello standard di vita sufficiente a rendere l’individuo veramente libero di compiere le proprie scelte, senza farsi calpestare dalle libertà altrui. Un compito che vede nello Stato il naturale organismo sociale.
    Se quindi le imprese hanno la mission di aumentare l’offerta aggregata (con la tendenza, come effetto collaterale, a ridurre la domanda aggregata), lo Stato dovrebbe assicurarsi di mantenere sempre un adeguato livello della domanda aggregata, in modo da far crescere contemporaneamente il prodotto nazionale e lo standard di vita dei cittadini. E così facendo si assicura il corretto funzionamento del ciclo macroeconomico, evitando che la natura profittevole delle imprese finisca per danneggiare, insieme alla collettività, le imprese stesse.
    Dopo questo lungo preambolo, ritornando in ambito economico, lo Stato certamente può spendere anche a deficit. Tu scrivi “ergo a debito”. Beh, questo non è necessariamente vero. Lo è in questo sistema monetario, ma se la funzione della generazione di moneta rimane dello Stato, la spesa a deficit può anche tradursi in un atto di creazione di moneta. Tecnicamente può essere rappresentato come una voce a debito del Tesoro verso la banca centrale. Ma se quest’ultima è comunque dello Stato, creditore e debitore sono la stessa entità e quindi in effetti il saldo è zero.
    Purtroppo negli ultimi 30 anni si è scelto di privare lo Stato di qualsiasi funzione di regolazione. Di fatto lo si sta quasi annullando di ogni libertà di azione. Da un punto di vista economico, oggi lo Stato è ridotto a consumatore di risorse. Non solo non ha più la possibilità di creare la moneta ma non ha neppure la possibilità di finanziarsi presso la banca centrale agli stessi tassi delle banche commerciali (che tutti noi sappiamo quanto siano “fallibili”) e possono invece approvvigionarsi solo sul settore privato.
    Questo spostamento della funzione di generazione di moneta dal settore pubblico al settore finanziario, oltre a porre una domanda di ordine politico (se la banca centrale non risponde più allo Stato, che è espressione dei cittadini, a chi risponde?) rende la banca centrale inadeguata a reagire a un problema di crollo della domanda. Perché anche le cosiddette “misure non convenzionali”, che sostanzialmente si traducono in finanziamenti diretti al settore privato, non riescono ad affrontare il problema dal lato dei consumi ma possono solo fornire liquidità sul fronte degli investimenti.
    In pratica, ancora una volta, agisce sull’offerta aggregata, mentre a noi serve sostenere la domanda aggregata.
    In conclusione, viviamo in un sistema economico che, per come si è strutturato negli ultimi decenni, è fortemente sbilanciato a vantaggio del mondo produttivo e finanziario. Un vantaggio che alla fine mette in crisi il sistema stesso perché nel flusso circolare viene pompatopiù liquido da una parte e meno dall’altra. E se non si pongono dei correttivi strutturali sul piano del sistema monetario e bancario, secondo me, rischiamo una crisi veramente epocale.

  31. John

    @Giuseppe Cemuto, post del 12.06.2014

    Io credo che se l’individuo deve essere libero di scegliere lo Stato deve essere minimo, è un dato di fatto che lo Stato troppo forte (ed interventista) tende a sopprimere le libertà individuali, soprattutto quella economica.

    Posso anche essere d’accordo che lo Stato faccia politiche di redistribuzione, ma partendo dal concetto che “le imprese hanno la mission di aumentare l’offerta aggregata”, si fa un errore di fondo. Le imprese tendono a massimizzare i profitti, non l’offerta. La loro offerta è volta a coprire la domanda aggregata, al prezzo che consente di scambiare la maggior quantità di beni o servizi.

    Io credo che la mobilità sociale sia più garantito in condizioni di libero mercato (ricordiamoci che il mercato siamo noi, un incontro fra consumatori e produttori. Lo Stato al contrario non siamo noi, ma un potere elitario, che decide in base ad interessi clientelari), con minime, se non nulle, interferenze statali sull’economia. Questo è storicamente suffragato, la globalizzazione ha portato una riduzione drastica della povertà nel mondo, dando più possibilità di dimostrare di essere adatti all’economia globale e di avere successo.

    Dal canto mio meno lo Stato ha potere, meglio è.

    Per quanto riguarda la sovranità e la svalutazione monetaria, ci sarebbe molto da dire, mi limito a riconsigliare la lettura del post del Prof. Lippi:
    http://noisefromamerika.org/articolo/signoraggio-svalutazioni-sovranita-monetaria-6

  32. Giuseppe Cernuto

    Vorrei rispondere a Giorgio e a tutti quelli che pongono la questione delle liberalizzazioni e delle privatizzazioni.
    Intanto io non ho mai detto di essere contrario. L’unico principio di precauzione che osserverei è quello di lasciare gli asset allo Stato, mentre i servizi li darei in gestione. Con qualche specificità su alcuni servizi essenziali (e magari strutturalmente in perdita ma necessari) che possono essere lasciati allo Stato e alcuni asset non fondamentali che possono essere concessi ai privati.

    Però vorrei che uscissimo dalla logica dello “Stato brutto e cattivo e privato bello ed efficiente”. Alcune conclusioni secondo me sono piuttosto sommarie. Ad esempio l’idea che la spesa pubblica sarebbe fuori controllo e che il settore pubblico sia ineluttabilmente preda della corruzione. La corruzione e le malversazioni esistono e sono un problema serio di ordine etico più che altro. Ma sono molto diffuse anche nel settore privato. Potrei citare (ma solo a titolo esemplificativo) il caso di MPS. Nomine, posti di lavoro, incarichi, ecc. sono assegnati in base a logiche di convenienza personale (alias mazzette) in moltissime aziende private, specialmente quelle di medio-grandi dimensioni. Recentemente sono anche state varate misure legislative sul reato specifico di “corruzione privata”.
    Allora, posto che il marcio e i malfunzionamenti esistono ovunque (e che bisogna cercare di sanarli), proviamo ad distaccarci da questa logica di caccia al cattivo e cerchiamo di ragionare sul sistema nel suo insieme e sui meccanismi di funzionamento.
    Inizierei a mostrarvi un grafico che mostra l’andamento della spesa pubblica.
    http://www.unich.it/docenti/bagnai/blog/Spes_02.JPG

    La prima cosa che possiamo notare è che la spesa primaria, nei vent’anni precedenti alla crisi, è rimasta sostanzialmente costante e compresa fra il 35% e il 40% del PIL. Se tracciate delle linee di tendenza, dal 1960 al 1982 abbiamo una linea di crescita, dal 1982 al 2008 una linea piatta.
    La spesa in conto capitale, non ha mai subito variazioni significative.
    La spesa per interessi è molto bassa fino al 1980 (inclusi i roboanti anni della grande inflazione quindi) e sale dall’inizio degli anni ’80 per raggiungere un picco a metà degli anni ’90.
    Una prima considerazione che possiamo fare è che non è vero che la spesa pubblica sia sempre aumentata. I dati ci dicono altro.
    Un’altra correlazione che possiamo fare è che il periodo in cui la spesa pubblica cresceva (’60 – ’80) era quello di maggior benessere e prospettiva di miglioramento economico per i cittadini.
    Ma è interessante chiedersi: come mai questa curva di crescita della spesa primaria si è appiattita? E come mai la spesa per interessi quando la spesa primaria cresceva, nonostante l’inflazione a due cifre, era molto bassa (più bassa dell’inflazione!) mentre quando la spesa primaria si è appiattita quella per interessi è esplosa? Cosa è cambiato?
    C’è stato un cambiamento strutturale molto importante. Nel 1981, con il famoso divorzio fra Tesoro e Banca d’Italia, vengono sanciti due principi che hanno trasformato il meccanismo macroeconomico:
    1) lo Stato non può più decidere i tassi di interesse dei finanziamento della spesa pubblica
    2) lo Stato non può più decidere la quantità della liquidità da immettere nel sistema economico.
    I tassi adesso vengono stabiliti dal mercato, che sono diventati l’unico possibile finanziatore della spesa pubblica e la liquidità viene decisa autonomamente dalla banca centrale.
    Gli effetti sono quelli che abbiamo visto: la spesa primaria (che è quella spesa in servizi per il cittadino) si è fermata mentre quella per interessi è cresciuta rapidamente. Come in ogni cambiamento, ci sono dei vincitori e dei perdenti:
    – vince chi fonda il proprio benessere sulle rendite finanziarie (cioè i più ricchi, quelli che hanno capitali da investire)
    – perde chi fonda il proprio benessere sui redditi da lavoro e sui servizi pubblici (cioè la gran parte dei cittadini).
    Ma per capire pienamente l’impatto di una simile scelta e verificare se è un effetto transitorio e se si può correggere, bisogna guardare le cose ancora più dall’alto, quello del funzionamento principale del sistema macroeconomico. Ecco una slide tratta da un dei miei corsi di macroeconomia:
    https://docs.google.com/file/d/0B3iuWO_eBRftTUtkbzUwakJvQ1E/edit

    La moneta circola in continuazione in un flusso che va dai cittadini alle imprese (consumi) e dalle imprese ai cittadini (redditi).
    Ad ogni passaggio, un po’ di moneta sparisce dal flusso: i cittadini risparmiano e le imprese accumulano profitti. La cosa importante da capire è che questo movimento di moneta da una parte all’altra è come un motore. Ad ogni transito da una parte all’altra si crea un bene o un servizio. E la moneta è il carburante di questo processo. E’ quindi importante assicurarsi che di carburante ce ne sia in quantità sufficiente e che il meccanismo di funzionamento assicuri una distribuzione bilanciata. Se la moneta tende ad accumularsi tutta da una parte o tutta dall’altra, il meccanismo si inceppa perché le opportunità di scambio si riducono.
    Ma come si fa allora a mantenere il meccanismo in equilibrio? Esistono 3 entità che possono assorbire liquidità da una parte e iniettarla in un’altra:
    1) il settore finanziario, che raccoglie i risparmi e i profitti e li trasforma in investimenti
    2) il settore pubblico, che assorbe i moneta con la tassazione e la redistribuisce con la spesa pubblica
    3) il settore estero che è un po’ come un cordone ombelicale che lega il nostro flusso circolare a quello delle altre economie. La moneta fluisce e defluisce tramite le importazioni e le esportazioni.
    Queste entità hanno tutte la funzione di redistribuire la moneta, all’interno del circuito. Vediamo invece chi la crea e come questa funzione abbia cambiato padrone negli ultimi decenni.
    Anche se non è sempre stato così, la funzione di creazione di liquidità nella società moderna viene attribuita ad una banca centrale. Questa banca centrale, agendo per conto dell’intero sistema e quindi della collettività, era (secondo me correttamente) collocata all’interno del settore pubblico (quindi era pubblica) ma serviva tutti i soggetti riequilibratori del sistema, in particolare sia il settore pubblico sia quello finanziario.
    Essendo un soggetto pubblico, l’indebitamento del Tesoro nei confronti della banca centrale è una semplice partita di giro: debitore e creditore sono organismi dello stesso soggetto, cioè lo Stato. Un modo (forse improprio, come sostengono alcuni tecnici) di contabilizzare la moneta creata.
    Il tasso di interesse dei titoli pubblici, in questa situazione, è un elemento che il Tesoro può gestire per determinare quanta moneta vuole assorbire dal mercato stesso, riciclando i risparmi (in questo caso i tassi saranno più alti) e quanta nuova liquidità vuole immettere sul mercato (tassi bassi, anche zero all’occorrenza). Questo avviene perché la banca centrale comprerà sempre i titoli di stato invenduti, attingendo alle riserve o creando nuova moneta.
    Ma da 30 anni a questa parte, gli equilibri politici sono cambiati e l’ideologia liberista ha preso il sopravvento e il ruolo dello Stato è stato ridotto al rango di semplice consumatore, che al pari di un cittadino (o di un buon padre di famiglia :)) può solo prendere moneta in prestito (cioè a debito) dal mercato.
    La banca centrale, quindi, è stata spostata all’interno del sistema finanziario ed è governata dal sistema finanziario stesso, essendo azionisti e board direttivo espressione del mondo bancario.
    Questo cambiamento, inosservato dai più, ha cambiato radicalmente i meccanismi di equilibrio. Il settore pubblico, infatti, essendo espressione di tutti i cittadini, è l’unico a poter avere interesse a spostare moneta verso i redditi e i consumatori, attraverso il welfare e la spesa pubblica. E poteva farlo sia spostando (riciclando) la moneta, tramite tassazione, sia immettendo direttamente nuova liquidità. Oggi può solo spostare la moneta. Mentre l’immissione di liquidità viene fatta tramite il sistema bancario, finanziando gli investimenti. Con anche alcune pesanti storture per cui la finanza stessa si è fatta prodotto e vengono finanziati “prodotti finanziari” che mantengono una sorta di flusso circolare parallelo, tutto interno al sistema finanziario. Ma non voglio allargare troppo il discorso. Quello che mi preme è mostrare come oggi l’immissione di nuova moneta venga fatta creando debito bancario. E che persino le misure “non convenzionali” come il QE, riescono a incidere sempre e solo sul fronte dell’offerta aggregata (vengono finanziati investimenti) e mai della domanda aggregata. Con i seguenti paradossi:
    – il QE, seguendo le normali regole del merito creditizio, andrà a premiare gli investimenti più competitivi, cioè quelli che più degli altri saranno in grado di comprimere i costi di produzione, incluso quello del lavoro. Quindi premierà di più gli investimenti che comprimeranno la domanda aggregata.
    – lo Stato, su pressione degli imprenditori che sento la crisi economica (ovvia, dato che la gente non ha i soldi per fare gli acquisti), sarà costretto a diminuire le aliquote fiscali sulle imprese e a cercare di bilanciare il gettito dal mare magnum dei cittadini e della classe media in particolare. Ma in questo modo ne diminuirà ancora di più il potere di acquisto. Agendo da riequilibratore al contrario. E d’altra parte se facesse l’opposto, renderebbe le imprese meno competitive. L’unica alternativa possibile (ma odiatissima dai liberisti) è una patrimoniale per redistribuire dai cittadini ricchi ai cittadini poveri. In questo modo si sottrarrebbe parte dei risparmi dei ricchi, che tramite il sistema finanziario andrebbe a finire ancora una volta agli investimenti, per cercare di sostenere la domanda. Ma è una soluzione che avrebbe un respiro temporaneo, perché la questione strutturale dello sbilanciamento nella distribuzione delle risorse non viene intaccata. E non è possibile fare una patrimoniale strutturale. La gente scapperebbe all’estero a nascondere i patrimoni.
    Grazie per tutti quelli che hanno avuto la pazienza di leggere fin qui. Mi riconosco il difetto di non essere sintetico. 🙂
    Vi invito soltanto a fare il mio percorso, studiare un po’ di macroeconomia e cercare di avere una visione di insieme delle cose, altrimenti non sarà mai possibile risolvere i problemi, qualunque sia il vostro capro espiatorio (lo Stato sprecone, la corruzione, ecc.).

  33. John

    @Giuseppe Cemuto, post del 13.06.2014

    Avevo chiesto perché era contrario alle liberalizzazioni, perché aveva scritto: “Optare per un approccio neoclassico in fase recessiva funziona ugualmente. Ma ha un effetto che è in contrasto con i miei valori. L’approccio prevede una riduzione del costo del lavoro, per aumentare la produttività. Deregolamentazioni, liberalizzazioni, ecc.”.

    Io, che mi definisco liberista, sono favorevole ad una patrimoniale a condizione che vada completamente a copertura di una riduzione del cuneo fiscale.

    Riguardo lo Stato “brutto e cattivo”, io credo che la libertà dell’individuo non può essere raggiunta se esiste uno Stato Sovrano (vogliamo dire tiranno? Giusto per fare un sorriso…) che ha la presunzione di conoscere le preferenze dei propri cittadini, monopolizzando l’offerta sul mercato di beni e servizi od ostacolando la concorrenza nel settore di riferimento.

    Nello grafico del link, si vede che dal 1982 al 2009 si è passati da un rapporto spesa pubblica/PIL del 35% al 45%, il 10% del PIL non sono noccioline, anche se ci sono voluti quasi 30 anni.

    Per il resto ha sommariamente descritto la teoria monetaria moderna, che non condivido. Per contraltare consiglio la lettura di Milton Friedman:

    * http://www.brunoleoni.it/e-commerce.aspx?ID=13535&level1=2220

    * http://books.google.it/books/about/Il_dollaro.html?id=Mg37PAAACAAJ&redir_esc=y

    Nel secondo alcune teorie sono superate, ma è sempre un ottimo spunto di riflessione.

  34. sergio

    @john
    se chi si definisce liberista e’ favorevole a una patrimoniale oggi (tenendo presente che quando bertinotti era al governo non se ne parlava nemmeno) o e’ un “infiltrato” o siamo arrivati alla frutta con la disinformazione e propaganda sinistrofila sulla “bonta’” del lavoro e “cattiveria” del capitale
    facciamo un rapido esame delle conseguenze nel caso di una patrimoniale globale (cosi’ evitiamo il problema di fuga all’estero) all 1% annuo:
    1)le grosse famiglie industriali cedono l’1% annualmente delle loro azioni cosi’ dopo 51 anni tutte le aziende del mondo vengono nazionalizzate
    2)le grosse famiglie industriali prelevano l 1% dalla quota annua di profitti, ma allora perche’ non aumentare le tasse sui profitti?sarebbe meglio, perche’ anticiclica, darebbe respiro nei periodi di crisi quando non ci sono profitti, mentre una patrimoniale sarebbe all’incirca costante e in un periodo di recessione prolungata come quello attuale avrebbe affossato le aziende
    3)il possesso di quote aziendali e’ esentato dalla patrimoniale, come in alcune proposte “ridicole” che vogliono distinguere tra ricchezza “buona” che crea lavoro e “cattiva” (i risparmi investiti in azioni, fondi, obbligazioni), ma allora visto che l’1% delle famiglie piu’ ricche non hanno la loro ricchezza sul c/c ma posseggono societa’, holding finanziarie, etc, questo equivarrebbe a esentare l’1% piu’ ricco, ma dal 2% in giu’ (quindi dal ceto medio-alto sino a giungere al ceto medio) col risultato che il sig,.Rossi medico, avvocato, etc. pagherebbe di piu’ dei Berlusconi, Agnelli, Della Valle(mettiamoci anche i Riva dell’Ilva), etc visto che la sua ricchezza e’ “cattiva” mentre i suddetti personaggi hanno “ricchezza” buona

  35. John

    @Sergio
    Ha ragione, mi sono espresso male, meglio dire che prima di penare di eliminate le patrimoniali attualmente esistenti, è preferibile pensare di ridurre il cuneo fiscale.

  36. sergio

    @john
    cos’e’ prioritario dipende da quali patrimoniali e di che entita’.
    la tassa sulle barche era di un livello talmente folle che a fronte di 20 milioni (se ricordo bene) di gettito ha causato 1 miliardo di mancato gettito per i danni causati alla nautica e ai porti. e’ stata eliminata perche’ era palese che dava un gettito negativo.
    per fare un esempio in un’azienda cos’e’ peggio: imu sul capannone, tari, costo del lavoro, bollette elettriche, tasse sui profitti? su un’azienda e’ in crisi imu e tari vanno pagati comunque, costo del lavoro e bollette elettriche possono in quache misura essere compressi, le tasse sui profitti (che non ci sono)non verranno pagate.
    al di la’ dei casi eccezionali di imprenditori che hanno addirittura smontato il capannone perche’ non riuscivano a pagare l’imu, e’ chiaro che imu e tari sono la priorita’ perche’ costi fissi ineliminabili di livello troppo elevato, solo DOPO vengono costo del lavoro e bollette elettriche. con questo razionale, se proprio si deve fare un riequilibrio del carico fiscale andrebbero tolte imu e tari e aumentate le tasse sui profitti.
    l’imu sulle seconde case e il “folle” 9% di imposta di registro sulle compravendite ha distrutto il mercato immobiliare, mentre l’imu(oggi tasi)sulle prime case non ha creato grossi problemi, perche’ di importo nettamente minore e su un bene non di investimento. il razionale qui sarebbe di diminuire l’imu sulle seconde case e aumentarla sulle prime, ma i sindaci fanno l’esatto opposto per motivi elettorali.
    la patrimoniale allo 0,2% sulle attivita’ finanziarie e’ “al limite” come entita’, nel senso che ha iniziato a creare distorsioni (un bot a 1 anno adesso renderebbe zero per colpa della tassazione)ma e’ ancora “sopportabile”. e’ chiaro che un suo aumento determinerebbe lo smobilizzo di attivita’ finanziarie “sicure”, cioe’ che rendono poco, con conseguente perdita di gettito invece che aumento.

  37. Giuseppe Cernuto

    @John,
    anch’io non condivido l’idea di uno Stato tiranno che decida quali siano le preferenze dei cittadini. Altrimenti non sarei un liberale! 🙂
    Questo però non vuol dire che uno Stato (non tiranno) non possa stabilire dei limiti che abbiano proprio la funzione di garantire l’esercizio della libertà individuale. Come già dicevo in uno dei primi commenti, se per garantire l’assoluta libertà a un individuo, sottraggo libertà a una moltitudine di individui, c’è qualcosa che non va. Ad esempio, tutti noi accettiamo che nessuno abbia la libertà individuale di farsi giustizia da sé ma deleghiamo questo compito allo Stato.
    Ci sono un po’ di cose a cui vorrei ribattere ma non vorrei perdermi in tante minuzie, preferirei affrontare la questione di fondo. Per cui colgo la tua apertura sul ruolo dello Stato come redistributore di ricchezza e vorrei capire se anche per te valgono questi obiettivi fondamentali:

    1) l’economia deve porsi il fine di elevare lo standard di vita di tutti i cittadini
    2) garantire uno standard di vita minimo dignitoso a tutti i cittadini è più importante che preservare il mantenimento del valore dei risparmi. Per sgombrare il campo da equivoci, quando parlo di standard di vita minimo dignitoso intendo quello che consenta non solo la mera sopravvivenza ma anche l’esercizio pieno della libertà individuale (quindi istruzione, formazione, salute, diritto alla socialità, ecc.).
    3) l’economia deve consentire l’espressione delle aspirazioni individuali, quindi di andare oltre lo standard di vita medio, ma sempre nel rispetto delle regole e soprattutto dei due principi precedenti.

    Se li condividi, possiamo anche parlare di ricette. Io ad esempio non condivido l’approccio neoclassico, perché è in forte contrasto col punto 2 e in tempi di recessione anche al punto 1. La MMT che citavi, non è esattamente il modello che ho in mente. Ci sono dei punti di similitudine ma anche di contrasto. Ad esempio non condivido l’uso del PLG (piani di lavoro garantito) che trovo distorsivi del mercato e antistorici. Il punto è che il lavoro umano, man mano che l’innovazione tecnologica procede, diventa sempre meno necessario. Inutile quindi l’accanimento terapeutico su un modello quasi fordista che non esiste più. Meglio pensare a un PWG (termine appena coniato :)), un piano di welfare garantito, che permetta di mantenere la domanda aggregata a livelli adeguati al corretto funzionamento dell’economia, e al tempo stesso una giusta redistribuzione delle risorse.

  38. Giorgio

    Giuseppe Cemuto: “Vi invito soltanto a fare il mio percorso, studiare un po’ di macroeconomia e cercare di avere una visione di insieme delle cose, altrimenti non sarà mai possibile risolvere i problemi, qualunque sia il vostro capro espiatorio”.

    Giuseppe, io la macroeconomia l’ho studiata all’università per quattro anni e ci ho fatto pure la tesi. Il che non significa che io sia un esperto, ma che di grafici, linee che si incrociano e formule econometriche che generavano risposte a qualsiasi problema ne ho viste a iosa. Purtroppo tutti quei modelli parlano di un mondo ideale e le assunzioni semplificatrici che fanno per poter funzionare sono proprio quelle al cui interno di annidano i veri problemi.

    Non parlo di stato brutto e cattivo o privato buono e bello, ma chi si definisce liberale dovrebbe convenire che le equazioni Stato = Inefficienza e Privato = Efficienza sono abbastanza fondate, altrimenti non vedo che senso avrebbe essere liberali. Se inefficienza e corruzione fossero “equamente suddivise” tra pubblico e privato, tanto varrebbe statalizzare tutto che almeno si semplificano i processi.

    Prendere poi MPS come esempio di “corruzione privata” è proprio sballato, se si considera che MPS era un tutt’uno con la politica di siena, che tutti i suoi più alti dirigenti ricoprivano cariche politiche a livello comunale e provinciale, che le cariche erano decise dalla Fondazione ai cui vertici sedevano eminenti personalità della politica senese.

    E’ evidente che meno lo Stato ha le mani in pasta nell’economia, minori saranno le occasioni per dar vita a fenomeni di corruzione.

  39. John

    @Giuseppe Cemuto, post del 16.06.2014

    Nel punto 1), immagino che per economia si intenda il sistema economico, il dubbio è, chi all’interno di esso, deve porsi il fine di elevare lo standard di vita dei cittadini. Escluderei in principio il mercato, in quanto questo è una rete di scambi, non ha un fine (il termine “fallimento del mercato” è improprio, se non ha fine, non può fallire). Escluderei anche le imrpese, in quanto comprano lavoro a costo di mercato per produrre beni o servizi e il loro fine è il profitto.
    Ne rimangono solo due, una è sicuramente la risposta che darebbe lei, lo Stato che con politiche di welfare e assistenzialismi vari, finanzia la vita dei cittadini.
    I secodi sono i cittadini stessi, che attraverso l’espressione delle loro libertà individuali reperiscono le risorse necessarie al proprio sostentamento e per i propri progetti, assummendosi i rischi delle proprie azioni (libertà vuol dire anche responsabilità).

    Io sono più propenso per i secondi.

    Se vogliamo parlare di garantire l’assoluta libertà in termini di reddito, allora parliamo di uguaglianza, è un po’ diverso. In termini di uguaglianza (sostanziale) possiamo parlare di pari opportunità e il discorso si dirama in istruzione, sanità, trasporti. Più in dettaglio io propenderei rispettivamente per buoni scuola, assicurazioni sanitarie, appalti.

    Parlando, invece, di quello che lei chiama “PWG”, io parlerei di universalità dell’indennità di disoccupazione, quello che viene (impropriamente) chiamato da molti “reddito di cittadinanza”, qui c’è stata un’interessante proposta di Fare per fermare il declino e di Scelta Civica, fatta molto prima del M5S e scritta molto meglio.

    Riguardo invece il riferimento del punto 2) in cui parla di ciò che è preferibile fra “mantenimento del valore dei risparmi” e “standar di vita minimo dignitoso a tutti i cittadini” (ipotizzo che si riferisce all’occupazione di quest’ultimi, oltre che della suddetta granzia di ugaglianza), ricordo che l’inflazione e l’occupazione sono slegate nel lungo periodo.

    Ho qualche difficoltà sul punto 3), vuol dire, per esempio, che se l’automazione dei processi produttivi rende meno necessaria la manodopera (cosa non vera, l’industria dell’automazione sta generando sempre più posti di lavoro, soprattutto in Italia), l’economia, lo Stato deduco, deve limitare l’innovazione delle imprese in tal senso perché non rispetta i due punti precedenti?

  40. John

    @sergio 15.06.2014
    Sulla “tassa sulle barche” mi trova preparato, perché sono del settore della portualità turistica. Quello che ha spaventato i diportisti è stata la prima conformazione che si configurava della tassa, che doveva essere di stazionamento (praticamente una tassa sul settore), con cifre folli, che arrivavano anche a dieci volte il costo del posto barca in porto, oltre alla caccia alle streghe che è stata fatta. Successivamente è stata modificata in una patrimoniale di misura molto contenuta, che è stata ulteriormente ridotta recentemente, oggi i diportisti non se ne preoccupano più di tanto. Al contrario la caccia alle streghe è avvenuta e avviene tuttora, anche se in maniera ridotta rispetto al passato. Io sono veneziano e all’uscita della laguna (sul MOSE per capirci) spesso e volentieri – anni fa erano fissi tutti i giorni – c’è un’imbarcazione della guardia di finanza che ferma gli yacht per effettuare accertamenti, senza contare quando entrano in porto in divisa a chiedere i dati sugli armatori di grosse imbarcazioni. Ad un potenziale armatore passa la voglia di acquistare una barca se ci aggiunge redditometro e simili.
    Tutto questo per dire che l’esempio non calza molto con quello che si voleva dire.
    Sono d’accordo che per l’impresa sia meglio avere dei costi variabili piuttosto che fissi (anche se non è sempre vero), d’altro canto conosco molti imprenditori che se dovessero scegliere fra una riduzione dell’IMU sul capannone ed una riduzione del costo del lavoro, sceglierebbero la seconda opzione.
    Inoltre, è anche vero che non sempre il costo del lavoro è un costo variabile.

  41. sergio

    @john
    perfetto; e’ esattamente questo il punto;oggi la tassa sulle barche e’ di misura talmente contenuta che nessuno se ne preoccupa. e’ questo il problema;incredibilmente si parla ancora ulteriormente di spostare il carico fiscale dal lavoro al patrimonio/rendite quando 1)ci sono gia’ danni cosi’2)le 2 quantita’ non sono paragonabili.prendiamo l’esempio tanto propagandato di presunta EQUITA’ che diminuisce del 10% l’ irap e aumenta del 30% (dal 20 al 26%)le tasse sui risparmi. A parte la mostruosa disinformazione e ipocrisia nel definire equita’ la diminuzione delle tasse sulle rendite finanziarie di banche e societa’ finanziare (che sono “lordiste” cioe’ pagano ires e irap) aumentando quelle sui risparmiatori privati(che pagano il capital gain).c’e’ un incredibile sproporzione: da un lato si diminuisce il carico fiscale totale sulle imprese dell’1% circa(il 10%dell’irap dovrebbe piu’ o meno corrispondere a tanto), dall’altro si aumenta del 30% il carico fiscale sui risparmiatori.pensa cosa succederebbe se aumentassero l’ires del 30%, o del 50% (che e’ l’aumento dell’imu di monti).il problema e’ che si determinano distorsioni e si ammazzano mercati per l’ENTITA’ della tassazione;nessuno si preoccuperebbe di una patrimoniale globale dello 0,01% e nessuno avrebbe detto nulla di un capital gain aumentato al 20,1%.ma qui nel nome del populistico e demagogico spostamento della tassazione dal lavoro a capitale/rendite stanno facendo SERI DANNI.
    infatti l’affermazione “conosco molti imprenditori che se dovessero scegliere fra una riduzione dell’IMU sul capannone ed una riduzione del costo del lavoro, sceglierebbero la seconda opzione” non ha molto senso, perche’ dipende QUANTO e’ la riduzione dell’imu e QUANTO e’ quella sul costo del lavoro.a parita’ di costo non penso che ci siano dubbi su cosa preferirebbero gli imprenditori.e’ chiaro che la grossa impresa con molti dipendenti ha piu’ vantaggio nella riduzione del costo del lavoro perche’ QUANTITATIVAMENTE lo sconto e’ maggiore(sicuramente gli imprenditori che conosci non avranno 1 solo dipendente), invece la piccola impresa, l’artigiano, il negozio familiare con questo spostamento del carico fiscale in tempi di crisi CHIUDE PUNTO E BASTA. tutte queste manovre e slogan sono un puro calcolo elettorale volto a favorire GROSSA IMPRESA E LAVORATORI DIPENDENTI, danneggiando categorie come artigiani, commercianti, liberi professionisti, proprietari di case, in generale tutto il ceto medio (che e’ la categoria che possiede il grosso dei risparmi tra l’altro) che non fa di mestiere l’imprenditore, che sono evidentemente categorie senza il peso politico di CONFINDUSTRIA E SINDACATI

  42. sergio

    @john
    e comunque se vai a vedere sul documento di programmazione economica a pagina 33
    (http://www.mef.gov.it/doc-finanza-pubblica/def/2014/documenti/DEF_Sezione_I_Programma_di_Stabilitx_xON-LINEx.pdf) l’effetto sul pil fino al 2018 dell’operazione di diminuzione irap10%/aumento tassazione rendite finanziarie20-26% vedi che non hanno neanche avuto il coraggio di taroccare i dati che mandano alla commissione europea .L’effetto netto sul PIL e’ 0,0% (+0,1%diminuz.irap -0,1% aumento tassaz.rendite) fino al 2018, quindi tutte le cazzate che dicono che lo spostamento del carico fiscale e’ meglio per la crescita sono false, e’ solo un operazione redistributiva per dare soldi ad alcune categorie e toglierne ad altre.

  43. John

    @sergio commenti del 16.06.2014
    Sono convinto di tutto ciò che afferma, il problema è che la coperta è troppo corta.
    L’imposizione fiscale su lavoro ed impresa è più elevata che altrove, per questo sostengo che ci sia priorità sulla sua riduzione.
    Poi, che la riduzione del carico fiscale abbia un effetto positivo sul PIL ed un aumento abbia effetto negativo è indubio. Forse ciò che è interessante delle previsioni del governo è che un aumento del carico fiscale del 6% ed una riduzione del 10% abbiano lo stesso effetto sul PIL. Ancora una visione figlia della mentalità statlista italiana, che non accenna a ridimensionarsi.
    Anche se ci fosse un governo che volesse attuare politiche liberiste, ci impiegherebbe anni per attuarle e decenni perché abbiano qualche effetto (purtroppo nel Paese di RenziGrilloBerlusconi, non ci sarà mai quel governo).

  44. Giuseppe Cernuto

    @Giorgio,
    parlare di inefficienza dello Stato, della necessità di tenerlo a un livello minimale (che quando a un livello spinto si confonde quasi con l’anarchia) ho l’impressione che sia diventata una sorta di stereotipo del liberalismo. Una sorta di camicia di forza intellettuale.
    Io ho preferito esprimermi sui valori di riferimento proprio per ripartire dal dominio del problema: se conveniamo che lo scopo dell’economia è quello di migliorare lo standard di vita di tutti i cittadini e in questo modo garantire la libertà d’espressione dell’individuo, forse possiamo sbarazzarci di alcune sovrastrutture che ormai vengono identificate con il liberalismo ma che potrebbero persino essere in contraddizione con i valori che ho identificato.
    Se, ad esempio, un sistema liberista spinto conduce a una pessima distribuzione della ricchezza che porta a una polarizzazione fra pochi ricchissimi e moltissimi poveri, la libertà di espressione dell’individuo è inficiata. E non certo dallo Stato, visto che l’abbiamo neutralizzato.
    Un povero che ha la preoccupazione costante di mangiare qualcosa e mettere un tetto sulla testa non potrà mai esercitare le sue aspirazioni. Non potrà dedicare tempo alle sue attività preferite e nemmeno dedicarsi allo studio, dato che la sua priorità costante è “sopravvivere”.
    Un sistema economico che promuove una polarizzazione di questo tipo, a mio avviso, non può autenticamente definirsi liberale perché ne contraddice i valori di fondo.
    Ora, le soluzioni macroeconomiche previste dalle diverse scuole, tecnicamente funzionano tutte. Il problema è capire a quali condizioni. Chi sono i vincitori e i vinti di una determinata politica. E a questo punto sono i valori a determinare cosa è accettabile per ciascuno di noi.
    La teoria neoclassica, quella del laissez-faire in cui il mercato si autoregola prevede il raggiungimento di un nuovo equilibrio economico. Un equilibrio “al ribasso”: senza un’istituzione che interviene per redistribuire la ricchezza e quindi sostenere il potere d’acquisto, il calo della domanda determina un calo della produzione, che determina un calo dei prezzi e/o dell’occupazione e così via… fino a giungere a un nuovo punto in cui domanda e offerta si incontreranno e che può variare in funzione di quanto il sistema produttivo abbia inciso sui prezzi (cioè sui margini di profitto) o sull’occupazione (che innesca una retroazione con il calo della domanda aggregata).
    Chi vince e chi perde in questo caso? Chi può difendersi meglio e chi peggio?
    Vince chi vive dei propri capitali, perché la valuta si apprezza rispetto ai prodotti.
    Perde chi vive del proprio reddito: l’occupazione cala e la competizione fra lavoratori abbassa sia il reddito medio, sia le tutele (aumentano i lavori temporanei), che oltre a rendere meno propensi a spendere (meglio essere prudenti) abbassa la soglia di accesso al credito e quindi sempre la capacita di spesa, con un effetto boomerang per le imprese.
    Ma soprattutto… come siamo messi rispetto ai nostri valori di riferimento? In un modello economico in cui la variabile “occupazione” è libera di precipitare senza limiti alla ricerca del nuovo equilibrio, quale libertà individuale resta al cittadino che fa fatica a pensare ai suoi bisogni primari? E’ una libertà molto limitata e compromessa. Da liberali, allora, abbiamo fatto la scelta giusta? Abbiamo ottenuto il nostro scopo? Io credo proprio di no. E per questo motivo preferisco un modello in cui un’istituzione collettiva (lo Stato) che si faccia carico di sostenere la domanda, col duplice scopo di alzare l’asticella del punto di equilibrio e di farlo sostenendo lo standard di vita e la libertà dei scelta di vita dei propri cittadini.
    Da un punto di vista più accademico, quello che ho descritto è un esempio concreto di come l’allocazione delle risorse, in un modello liberista, non sia Pareto-ottimale. Per i non addetti al lavori, il principio di pareto stabilisce che date due situazioni A e B, B è preferibile se alcuni individui stanno meglio che in A e nessun individuo in B sta peggio che in A. Una situazione di dice Pareto-ottimale se non è possibile migliorare la condizione di alcuni individui senza peggiorare quella di altri. E’ un principio molto utilizzato anche nella teoria dei giochi, per selezionare le strategie vincenti.
    Su questo argomento, ossia sulla dimostrazione dell’incompatibilità fra efficienza paretiana e il liberismo, il premio Nobel per l’economia Amartya Sen ha pubblicato un paper nel 1970.
    http://dash.harvard.edu/bitstream/handle/1/3612779/Sen_ImpossibilityParetian.pdf?sequence=4
    Qui invece una sintesi su wikipedia…
    http://en.wikipedia.org/wiki/Liberal_paradox

    Lo so… questo demolisce il mito dell’autonomia del mercato come modello economico efficiente che garantisce una società del benessere. Una teoria a cui ho creduto anch’io (forse, devo ammetterlo, un po’ per convinzione ideologica e a scatola chiusa) ma su cui oggi credo sia opportuno fare autocritica, rivendendolo e mitigandolo con gli opportuni correttivi. E questo mio processo di revisione intellettuale è partito proprio dallo studio della macroeconomia.

  45. Giuseppe Cernuto

    @John,
    vedo che siamo d’accordo su diversi punti. Ma pongo subito una domanda perché non mi è chiaro come sia possibile che i cittadini possano essere responsabili di elevare autonomamente il proprio standard di vita.
    Abbiamo detto che il mercato, in quanto rete di relazioni, non è dotato di volontà autonoma. Quindi non può essere considerato un agente ma è un ambiente.
    Abbiamo detto che le imprese hanno come obiettivo quello di massimizzare il profitto. E, aggiungo io, un lavoratore ha come obiettivo quello di massimizzare il reddito. Ma non si tratta di una relazione fra soggetti paritari. E’ una relazione asimmetrica, per il semplice fatto che un’impresa conta su una moltitudine di lavoratori, mentre un lavoratore (di norma) conta su un solo datore di lavoro. In termini di rischio, un impresa che ha N dipendenti rischia 1/N mentre un lavoratore rischia sempre 1. In una negoziazione quindi l’impresa è sempre un agente forte mentre il lavoratore è un agente debole. Nei momenti di crisi economica, quando la disoccupazione aumenta, il rischio per il lavoratore diventa ben maggiore, perché proporzionale al tasso di disoccupazione. Il fattore di rischio per lui diventa 1/(1-D) (dove D = tasso di disoccupazione). Per l’impresa invece il rischio diminuisce, perché l’opportunità di sostituire un lavoratore con un altro disponibile è maggiore. Quindi le imprese per minimizzare i costi e aumentare i profitti hanno tutto l’interesse di non perseguire la piena occupazione. E’ un conflitto di interessi fra due parti in un rapporto di forza asimmetrico che, necessariamente, senza un intervento esterno, condurrà a una sperequazione nella distribuzione della ricchezza a vantaggio dei profitti e a svantaggio dei redditi. Questo è esattamente il contrario del nostro obiettivo: elevare lo standard di vita dei cittadini.
    Dunque, per quanto desiderabile, i cittadini non sono nelle condizioni di ribaltare questa asimmetria e provvedere autonomamente ad elevare il proprio standard di vita. E d’altra parte è esattamente la fotografia che i dati ci restituiscono: negli ultimi 40 anni la produttività è aumentata linearmente mentre i redditi si sono appiattiti, aumentando in maniera impressionante la disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza, con una crescita esponenziale della frangia dei super ricchi e un impoverimento (in termini assoluti, non solo relativi) del ceto medio.
    La disoccupazione tecnologica (su cui manifestavi perplessità) è anch’essa conseguenza del processo di ottimizzazione (alias riduzione) del costo del lavoro. Ci sono diversi studi che rilevano questa correlazione ma trovo anche che sia piuttosto intuitivo: se posso sostituire 10 persone con una macchina, il ciclo di produzione della macchina non può impiegare più di 10 persone, altrimenti il costo che il produttore dovrebbe esporre al compratore della macchina dovrebbe essere superiore al costo risparmiato acquistando la macchina.
    Ti mando un link divulgativo. Ma se ti interessa posso girarti anche dei paper molto più tecnici (in inglese).
    Concludo dicendo che se questo è il contesto:
    – cattiva distribuzione della ricchezza derivante dall’applicazione del liberismo
    – disoccupazione indotta dall’innovazione tecnologica
    allora la risposta potrebbe essere dotarsi di uno Stato capace di redistribuire le risorse in modo da:
    – garantire uno standard di vita soddisfacente ai cittadini
    – garantire il corretto funzionamento del mercato, riequilibrando la domanda aggregata
    – spostare gradualmente la distribuzione del reddito dal lavoro al welfare, man mano che il lavoro umano diventa sempre meno indispensabile e di massa.
    Su quest’ultimo punto si innesterebbe una riforma radicale di tutto il welfare state, con eventualmente un’introduzione di un reddito di cittadinanza (che nella mia visione andrebbe completamente a sostituire la previdenza).

  46. Giorgio

    @Giuseppe Cernuto
    Non è questione di camicie di forza intellettuali, piuttosto di *onestà* intellettuale.
    Il paradosso di Sen, o del Liberale Paretiano, implica che la massimizzazione individuale del benessere non porta a una situazione di efficienza paretiana, che invece può essere otttenuta grazie a un “social planner” in grado di ordinare correttamente le preferenze individuali in modo da massimizzarle socialmente.
    Bene, supponiamo che le cose stiano così. L’unica conclusione onesta che riesco a trarne è che il liberalismo è un’ideologia fallimentare da abbandonare senza rimpianti. Ma un sedicente liberale che si affida alle virtù taumaturgiche di un pianificatore sociale a me fa accapponare la pelle. Non è meglio allora parlare di socialdemocrazia (a voler essere buoni)? O non sarà perché la lingua italiana, unica nel mondo, ha coniato il termine “liberismo” per separare il Liberalismo Buono da quello Cattivo e permettere di continuare ad abusare del termine “liberale” pur propugnando tesi che con il liberalismo non c’entrano niente?

    Ti propongo il Paradosso del Paradosso di Sen. La conclusione è che il libero mercato non è in grado di garantire l’efficienza paretiana? Perfetto. Ma andiamo un pochino oltre: secondo quel brillante paradosso, il Socialismo Reale sarebbe Pareto-efficiente. Se le cose stanno così, mi tengo stretta tutta l’inefficienza di questo mondo! 😉

  47. Giuseppe Cernuto

    @Sergio,
    il fumetto è carino ma dipinge una situazione ribaltata rispetto alla realtà. Non abbiamo imprese che faticano a trovare lavoratori e gente che non vuole lavorare. Piuttosto succede il contrario.
    Il reddito di cittadinanza deve servire a:
    – venire incontro alla “obsolescenza” del lavoro umano. Lasciamo che le imprese possano produrre in maniera efficiente e non obblighiamoli ad essere meno competitivi per la necessità di non dover licenziare
    – redistribuire parte di questa ricchezza, ottenuta in maniera più efficiente senza intervento umano, in modo da non generare una crisi dei consumi.
    – mantenere uno standard di vita dignitoso per i cittadini.
    Questo è il link sulla disoccupazione tecnologica che mi ero dimenticato di inserire nel precedente commento…
    http://www.mattscape.com/2011/11/printed-matter-la-disoccupazione-tecnologica-perch%C3%A9-gli-esseri-umani-sono-obsoleti-saturno.html

  48. John

    @Giuseppe Cemuto

    La mia perplessità non era riferita all’automazione dei processi produttivi, ma al punto 3) del commento a cui rispondevo (quello dell’automazione era solo un esempio). Comunque l’automazione sta generando nuovi posti di lavoro, in Italia per lo meno: http://www.linkiesta.it/automazione-competitivit%C3%A0-lavoro

    Da quanto scritto sembra che i cittadini siano solo lavoratori dipendenti, che hanno un reddito che riesce a malapena a soddisfare i bisogni primari di sussistenza. Non è così. Come non è vero che la produttività sia sempre aumentata, dal 2007 abbiamo perso il 20% in produttività: http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-09-24/italia-fanalino-coda-produttivita-180535.shtml?uuid=AbSkRvaI

    Sulla contrattazione del lavoro ci sarebbe molto da dire, mi limito ad affermare che c’è bisogno di superare i contratti nazionali ed arrivare ad una contrattazione del lavoratore (o gruppo di lavoratori) diretta con l’impresa, questo è avvenuto in Germania e ha contribuito molto alla ripresa dell’intero sistema.

    La cattiva distribuzione della ricchezza non è generata da politiche liberiste, ma dalle intromissioni dello Stato nell’economia, quando la regolamentazione del mercato arriva a livelli da socialismo sudamericano, tale distribuzione è inevitabile.

    Come indicato da Sergio il reddito di cittadinanza porta delle distorsioni non marginali, io sono convinto che se c’è un’indennità di disoccupazione, questa debba essere universale e con i dovuti limiti, ma da qui al reddito minimo garantito ce ne passa.

    Io credo che ogni individuo debba garantirsi direttamente un livello di vita soddisfacente, che corrisponda alle proprie capacità di adattarsi al mondo circostante. L’unica cosa che riesco a concedere in termini di uguaglianza sono le pari opportunità di istruzione, sulla salute e sui trasporti. Anche qui c’è molto di cui parlare, io sono convinto che il modello sia sempre quello della concorrenza, anche se il settore è sovvenzionato.

    Io credo che gli individui devono essere liberi (fino a non ledere le libertà altrui), perché ciò sia vero lo Stato deve essere minimale (libertà e ugaglianza sostanziale sono due cose diverse), perciò, anche ammettendo che il libero mercato non sia efficiente, come lei afferma, questo è comunque preferibile (lasciamo stare Sen – che afferma che ciò che è incompatibile con l’efficienza paretiana è il liberalismo, non il liberismo- ed Arrow) alle politiche stataliste che hanno portato a tutte le conseguenze che poi sono state interpretate come “fallimenti del mercato”. Una politica liberista sostanziale non è mai esistita, ergo di risultati pratici siamo carenti e di quelle poche dimostrazioni che ci sono fanno solo prevalere l’idea che lo Stato debba essere minimo (un esempio: http://www.leoniblog.it/2014/02/07/il-modello-svedese-un-falso-storico-ecco-perche/). Dei risultati delle politiche stataliste ne subiamo le conseguenze tutti.

  49. sergio

    @giuseppe
    il fumetto descrive in maniera comica gli effetti tragici del reddito di cittadinanza. hai ragione, la situazione e’ ribaltata rispetto alla realta’ attuale.
    se fosse disponibile per tutti un reddito di cittadinanza di 800 euro al mese ben pochi di coloro che oggi vengono pagati 800 euro al mese o meno sceglierebbero di continuare a lavorare (secondo me anche molti che guadagnano 1000-1500 euro al mese);da qui anche i commercianti aumenterebbero i prezzi vista la disponibilita’ generale di denaro (e anche loro, se non guadagnanassero almeno 2000 euro/mese tanto vale chiudere il negozio e prendersi il reddito di cittadinanza, no?), da qui l’esplosione dell’inflazione, il reddito di cittadinanza verrebbe adeguato al nuovo costo della vita, i prezzi verrebbero adeguati dai commercianti e cosi’ via in una mega-spirale inflattiva. questo nel caso sia un “vero” reddito. se poi parliamo di reddito di cittadinanza di 100 euro al mese sicuramente non ci sarebbero questi effetti negativi (ma nemmeno quelli “presunti” positivi)

  50. Piero from Genova

    per voi che siete professori 3 equazioni che trovate in tutti i manuali di macro.. liberisti comunisti keynessiani qui quo quà :
    1) Y = C + I + G + (X-M) 2) Yd = C + S 3) Yd = Y – T
    da cui C+S = Y-T da cui Y = C+S+T da cui C+S+T=C+I+G+(X-M) da cui (S-I)=(G-T)+(X-M)
    => TRADOTTO => Risparmio PRIVATO Netto = Deficit PUBBLICO + Export Netto
    ovvero : il grande risparmio privato degli Italiani (e dell’occidente maturo) è stato accumulato grazie al debito pubblico..
    e se volete (voi od i mercati che poi altro non sono che 20 banche d’affari) ridurre il debito pubblico..
    allora matematicamente ridurrete anche il risparmio Nominale dei privati.. sia che lo facciate con le tasse comuniste..
    sia che lo facciate con i tagli liberisti.. e produrrete sempr epiù disoccupazione..
    unica via = Re-INFLAZIONARE e SVALUTARE e DILUIRE M123… così risparmio Reale calerà …
    ma almeno la disoccupazione non aumenterà ancor di più di quel che è già aumentata…
    almeno diluiamo in qualche decennio il declino dell’occidente di cui noi siamo gli apri pista..
    così han deciso Fed/Boj/Boe/Bce e fra un pò pure PBoC.. io son d’accordo con Loro.. voi no..
    però almeno studiate un pò di matematica.. professori..
    .

  51. Giuseppe Cernuto

    @Giorgio,
    se non vuoi definirmi liberale e vuoi chiamarmi socialdemocratico o comunista, fai un po’ tu. Io non mi sono mai lasciato condizionare dalle etichette. 🙂
    Probabilmente non sono un liberale puro ed è per questo che invece di affidarmi alle definizioni ho preferito esplicitare i valori. D’altra parte, della purezza io diffido sempre.
    Certamente mi sento molto “umanista”. Nel senso che qualunque nome vogliamo dare alle cose, inorridisco all’idea che per dare il massimo a chi ha la forza di ottenerlo, si possa sacrificare il benessere o persino la sopravvivenza di alcuni individui. Questo lo trovo profondamente disumano.
    Quando parlo di “liberismo”, io mi attengo alla canonica definizione di dottrina economica del liberalismo, come anche wikipedia riporta. La definizione di “liberalismo buono” è ammantata di entusiasmo personale (e te lo concedo :)). Ma volendo essere più obiettivi e fare una sintesi, potremmo concordare sul fatto che il liberismo è un liberalismo puro, mentre il mio (forse) è un liberalismo “ibrido”. Però parlare di abuso del termine mi sembra davvero fuori luogo.
    Ma parliamo di contenuti. Il paradosso del paradossi di Sen (cioè che il socialismo reale sarebbe un ottimo paretiano) è fallace. Intanto non regge sul piano logico, perché se A ==> C è falso e B A, non è detto che B ==> C. Un esempio banale: io sono di Milano e Tizio è di Roma. Se io non sono di Venezia, questo non implica che Tizio sia di Venezia.
    Se, invece di ridicolizzare Sen (che comunque non ha pubblicato un articolo sul giornale ma un paper scientifico, sottoposto a peer review) e il suo paradosso vuoi invece cercare di comprendere quali sono i limiti del liberismo, o anche solo pensare cosa ne pensa il mondo degli economisti, posso indicarti delle slide di un corso di “economia pubblica” di Harvard (nota università comunista ;)).
    http://obs.rc.fas.harvard.edu/chetty/public_economics_lectures.pdf
    Parti pure dalla slide 36, in cui si definisce quale debba essere il ruolo dello Stato:
    – migliorare l’efficienza
    – migliorare la distribuzione delle risorse.
    Segue il primo teorema del Welfare che stabilisce quali sono le condizioni teoriche che renderebbero il mercato pareto-ottimale. Sono condizioni ideali e utopistiche, quindi vengono analizzati i fallimenti del mercato. Poi nella seconda parte si identificano le azioni dello Stato per correggere questi limiti.
    Ora… se queste cose vengono insegnate in una prestigiosa università del paese più liberista del mondo, mi pare che fare questioni di bandiera sul liberismo e dipingerlo come il migliore dei mondi possibili, sia un po’ come vivere in un mondo astratto in cui tutto ciò che è venuto dopo Adam Smith viene ignorato.
    Allora, e ve lo chiedo per favore, se vogliamo avere un dialogo costruttivo, che non sia la difesa delle bandiere ideologiche o addirittura linguistiche, scrollatevi di dosso questa armatura da difensori del liberismo puro che, quando arriva ad auspicare l’annullamento del potere di regolamentazione dello Stato, sconfina nell’anarco-capitalismo, e parliamo invece dei problemi e delle proposte di soluzione.
    Che ci siano problemi di distribuzione, ad esempio, è un fatto. Che questi problemi siano accentuati nei paesi più liberisti (gli USA hanno il tasso di ineguaglianza più alto, così come il tasso di peggioramento della sperequazione più alto) è un altro fatto. Se volete vi mando i link.
    Quando si dice che la crisi (soprattutto da noi) sia dovuta all’ingerenza dello Stato, va spiegato cosa si intende. I dati OCSE dicono che il nostro tasso di protezione sul lavoro si è ridotto al di sotto della maggior parte dei paesi europei. Questo non ha migliorato la produttività, che anzi è scesa quasi di pari passo. Non metto direttamente in relazione le due cose, anche perché secondo me la produttività è calata principalmente per motivi diversi. Ma resta un fatto incontrovertibile che i provvedimenti sulla flessibilità non sono riuscito a scalfire la tendenza al rallentamento della produttività.
    Allora vogliamo tapparci costantemente gli occhi per inchinarci al totem del sacro mercato libero e senza vincoli, costi quel che costi o vigliamo anche fare un po’ di autocritica, esaminare i problemi e cercare di risolverli?
    Se no qualche dittatore prima poi viene a portarcelo davvero in casa il socialismo reale.

  52. Giuseppe Cernuto

    @Piero,
    io sono pienamente d’accordo con te. Ma bisogna anche dire che il sistema monetario ha subito uno spostamento di ambito che sta determinando l’insostenibilità della crescita economica. Prima le banche centrali stavano nell’ambito del settore pubblico. Questo consentiva la creazione di moneta senza debito, tramite il deficit dello Stato. Oggi stanno nell’ambito del settore finanziario, che è diventato il vero governo non del Paese ma del Paesi. Non democratico ovviamente, dato che non eleggiamo nessuno del board direttivo. E’ un mondo completamente autoreferenziale.
    In un sistema monetario di questo tipo, gli Stati diventano come il “buon padre di famiglia”, cioè un consumatore come tutti gli altri, che si deve indebitare e finanziare sul mercato, con i soldi cioè di altri soggetti indebitati (banche comprese). E ogni singolo euro emesso sul mercato è frutto di una cessione di asset (obbligazioni tipicamente). E’ quindi impossibile far crescere l’economia senza far crescere il debito. Che sia pubblico o privato, più ricchezza implica più debito complessivo.
    E anche su questa cosa sarebbe bello che i liberisti facessero autocritica. Perché d’accordo essere liberi, ma se diamo agli altri la libertà di fregarci non siamo liberisti, siamo fessi!

  53. Giuseppe Cernuto

    @John,
    non ti ho trascurato. Ma rispondo collettivamente a te e a Sergio. 🙂
    Sul reddito di cittadinanza, per prima cosa ci farei una domanda: voi dite che introdurrebbe una distorsione. Distorsione a cosa? Con quali effetti?
    Io invece penso che introdurrebbe proprio un correttivo per sostenere la domanda. Una cosa che nessun altro se non lo Stato può fare, perché la vocazione delle imprese è opposta e l’individuo è in un rapporto di forza asimmetrico (come spiegavo) e non ha la forza di controbilanciare quella delle imprese.
    La simulazione descritta da Sergio secondo me non funziona. E spiego perché.
    Con un reddito di cittadinanza di 800 euro, sicuramente lavorerebbe solo chi è motivato a migliorare questo standard di vita. Ma dire che nessuno andrebbe a lavorare per la stessa cifra non è corretto, perché stiamo parlando di reddito di cittadinanza, non di reddito minimo garantito.
    Nella mia idea, un reddito di cittadinanza si chiama tale perché spetta a tutti, indipendentemente dalla sua ricchezza, in quanto cittadino.
    A questo punto, con un lavoro di 1000 euro, il mio reddito complessivo passerebbe a 1800, perché i redditi si sommano… non è poco!
    Una delle critiche principali al reddito di cittadinanza “flat” per tutti è che offrendolo anche ai ricchi, sottraiamo risorse ai poveri, che invece potrebbero averne di più. Quest’obiezione però non prende in considerazione la fiscalità. Entrando a far parte dell’imponibile, i ricchi di fatto restituiscono gran parte del RdC con il proprio gettito fiscale.
    Per quanto concerne l’inflazione, la relazione è fra la quantità di moneta sul mercato reale (non quello finanziario) e la capacità produttiva (output potenziale). In una situazione di recessione, incrementando la moneta disponibile (cioè la domanda aggregata), si ottiene lo svuotamento dei magazzini e il ritorno al pieno utilizzo degli impianti. In pratica, si aumenta la produttività e l’occupazione. Dopo di che, la crescita di domanda dev’essere commisurata alla capacità del settore produttivo di adeguare l’offerta.
    Oggi, con l’aumento costante della produttività su scala globale, è praticamente impossibile raggiungere la saturazione degli impianti produttivi, a meno di shock esterni (catastrofi naturali, guerre, ecc.). E infatti sono decenni che nei paesi industrializzati non si vede l’iperinflazione. Anzi, spesso il problema è opposto.
    Aggiungo però che l’inflazione non necessariamente dev’essere vista come un problema. A mio avviso un’inflazione moderata è anche salutare ed è proprio indice del miglioramento dei redditi. Io dico sempre che “l’inflazione siamo noi”. Il costo del lavoro è una delle principali voci di costo dell’unità di prodotto. Quindi se il prezzo dei prodotti sale, a parità di margini di profitto e di costo delle materie prime, vuol dire che stanno salendo i redditi. Questo tipo di inflazione è positiva per i lavoratori/consumatori, che spendono il proprio reddito crescente e che si indebitano anche grazie alle aspettative del miglioramento della propria capacità di rimborso. E i debiti, vengono erosi dall’inflazione, quindi ad esempio il peso di una rata del mutuo di 500 euro diventa progressivamente più leggero quando il mio reddito da 1500 diventa 1800… 2000… 2200… ecc.
    Chi ci perde con l’inflazione? Contrariamente a quello che ci dicono, non certo i lavoratori e i pensionati. E questo lo dicono proprio le statistiche, c’è poco da contestare. Basta prendere i dati Istat. Ci perdono due categorie di persone (che spesso sono le stesse): i capitalisti e i creditori. E’ facile capire perché: la moneta si deprezza rispetto ai prodotti.
    Cosa significa questo? Se i redditi mantengono il valore e aumentano in modo nominale erodendo i debiti, l’inflazione altro non è che un metodo di redistribuzione della ricchezza. Un metodo “progressivo” nel senso che penalizza i più ricchi (i cui redditi da lavoro incidono meno rispetto a quelli da capitale) e che non è soggetto a evasione, controlli, ecc. Interessante no? 🙂
    Spero di avervi dato qualche spunto di riflessione. Vi chiedo solo una cosa: non rispondete d’impulso. Lasciate sedimentare queste idee, ragionateci, tornateci un po’ su, pensate ai vostri valori e agli obiettivi… Io ci ho messo diversi mesi prima che il mio DNA non le rifiutasse. Anni di convinzioni sedimentate ci condizionano sempre. 😀

  54. Giuseppe Cernuto

    Scusate aggiungo una cosa (visto che i commenti non si possono editare).
    Il RdC, sempre nella mia visione, va a sostituire completamente il sistema previdenziale. Lo Stato fornirebbe in questo modo a tutti un reddito per vivere durante tutto il corso della vita. Se qualcuno ha dei risparmi che vuole investire per avere un vitalizio pensionistico, può sempre scegliere un prodotto finanziario ad hoc. Lo Stato deve garantire a tutti una vita dignitosa, non fare concorrenza al settore finanziario privato.

  55. sergio

    @pierofromgenova
    hai perfettamente ragione. il problema e’ che tutte le banche centrali tranne la bce hanno deciso che un inflazione sopra il 2% e’ l’unica via d’uscita.ancora non ci stanno riuscendo nonostante quello che hanno fatto finora. in piu’ la germania impedira’ sempre alla bce un inflazione sopra target. in piu’ proprio nei paesi PIGS con debito pubblico piu’ alto i “professori” della UE stanno imponendo politiche deflattive.

  56. John

    Posto un po’ di link più esplicativi, una mia risposta forse sarebbe troppo prolissa:

    http://vonmises.it/2012/02/11/keynes-e-la-crisi-prima-parte-il-modello-keynesiano/

    http://vonmises.it/2012/02/13/keynes-e-la-crisi-seconda-parte-una-critica/

    http://www.brunoleoni.it/nextpage.aspx?codice=11497

    Qui la traduzione di un articolo di Von Hayek, sulla possibilità di avere un mercato libero della moneta, forse non è il massimo per come è spiegato, ma è interessante:

    http://vonmises.it/2013/02/15/il-libero-mercato-della-moneta/

    Qui c’è una spiegazione un po’ più tecnica:

    http://ideashaveconsequences.org/un-modello-di-concorrenza-monetaria/leo

    Un buon libro per entrare nei dettagli dei primi tre link che ho postato:

    http://www.brunoleoni.it/e-commerce.aspx?ID=9749&level1=2166

    Qui la traduzione di un autoaugurio di Gary North, solo per sorridere…

    http://vonmises.it/2012/10/08/ballando-sulla-tomba-del-keynesismo/

  57. Giuseppe Cernuto

    Conosco bene le varie tesi esposte. Quello che i neoclassici e i monetaristi non riescono (o non vogliono) capire, è che i loro modelli hanno un limite intrinseco che si fa finta di non vedere:
    – l’approccio (nessun intervento di nessun tipo sul mercato) tende a distribuire la ricchezza in maniera molto inefficiente, tutta schiacciata verso le fasce più ricche che si arricchiscono ancora di più (le rendite di capitale eccedono di molte volte i redditi) e alla fine innescano una depressione.
    – l’approccio monetarista, tenta una redistribuzione ma anch’essa è inefficiente, perché viene fatta dal lato sbagliato, quello dell’offerta. In pratica vengono favoriti gli investimenti cercando di aumentare la produttività. Ma in uno scenario di eccesso di produzione (la gente non compra) questo finisce per aggravare la crisi e accresce il divario redistributivo.
    Allora, prima di discutere di tecnicalità varie (mi piacerebbe riprendere il discorso della concorrenza fra monete che mi sembra interessante), vorrei che mi deste una risposta a queste domande:
    – per voi dare a tutti una quantità di risorse monetarie sufficienti a condurre una vita dignitosa è un problema o no? E se non è un problema, significa che trovate accettabile che alcuni esseri umani possano morire per questo?
    – se non è accettabile, che meccanismo si può usare per garantire risorse sufficienti a tutti? In un commento precedente ho letto che dovrebbero essere i cittadini stessi. E come fa un cittadino che non ha risorse a procurarsi autonomamente le risorse? Mi pare che l’unico modo sia andare a rubare! 🙂

  58. Piero from Genova

    per Giuseppe Cernuto : è ovvio che nn è sana la diluizione monetaria.. e nn è democratica.. come democratico a dir la verità nn è pure il mkt che dice vinca il più forte (meritocratico ?) in luogo del politico 1 testa 1 voto “capitario” (in teoria).. ma il punto è che esplosione mega-debiti occidentali ultimi 40 anni (Privati in Usa e Pubblici in Europa) Non è la Causa.. Bensì è l’Effetto di capitalismo ormai Maturo.. serve per tener in piedi forzatamente posti di lavoro fittizzi che accelerazione tecnologica e mkt saturi ormai nn riassorbono più per via ordinaria.. un tempo nn era così : i licenziati venivano riassorbiti da nuovi settori nel medio/termine.. in passato spesso molti avevano fatto “con troppo anticipo” l’analisi appena esposta.. e quindi allora era sbagliata.. ma oggi è cambiato davvero il paradigma.. ed i liberisti nn son certo i soli a non averlo capito.. se poi ci aggiungi la cc degli emergenti (ed il razionamento delle risorse naturali di fronte ad un nuovo ceto medio consumatore globale) il declino è ineluttabile (il il shale oil/gas ha allungato il brodo di mezzo secolo x gli Usa, e forse se è vero che c’è anche in Polinia anche per l’Europa.. ce nè anche in Russia ma loro faranno blocco con la Cina vs Usa/Europa nel lunghissimo t.).. per uqesto le stampate son solo tattiche (da me condivise) per allungar il brodo.. sostituiscono i debiti rendendoli irredimibili e nn onerosi per il debitore.. ma tengono in semivita l’occupazione fittizia..

  59. Piero from Genova

    per Maxim => la matematica delle medie inferiori nn sai cosa sia.. è come se avessi detto: le fragole son rosse solo se le scarpe son di cuoio..
    Yd=Y solo se T=0 (T son tasse netto trasferimenti).. ma problema è che senza G (cioè “in parte” T) la Y è inferiore perchè Y = C + I + G + (X-M)..
    le contestazioni che mi avresti dovuto fare non erano basate sulla matematica ma sulle interpretazioni sotto-stanti le lettere delle equazioni.. per esempio : ma perchè allora il Comunismo dove al 90% era tutto G è fallito se basta alzare G ? altra contestazione valida era : ma c’è pure X-M.. ne riparleremo quando supererai le prove INVALSI di 3° media..

  60. Maxim

    L’equazione Yd=Y-T deve tenere conto di S, infatti non è valida se S>I, solo se S=I
    S risparmi
    I investimenti

  61. sergio

    @giuseppecermuto
    “- per voi dare a tutti una quantità di risorse monetarie sufficienti a condurre una vita dignitosa è un problema o no? E se non è un problema, significa che trovate accettabile che alcuni esseri umani possano morire per questo?”
    ovviamente no, pero’ non e’ la domanda giusta.
    la domanda giusta e’: trovate accettabile che per la bellissima utopia di dare beni primari a tutti ed eliminare la poverta’ si debbano fare esperimenti di politica economica/sociale che possono far vivere a tutta la popolazione una vita miserabile e di poverta’(vedi comunismo)?
    trovate accettabile cercare di riformare PROFONDAMENTE un sistema (capitalismo) che funziona da 100 anni nella REALTA’ per qualche stupida TEORIA non suffragata da fatti (vedi fanatici tipo piketty e company) mentre il fatto reale e’ che il COMUNISMO e’ fallito miseramente in tutti gli stati ed e’ un dato di fatto REALE?trovate accettabile che fino alla fine dei tempi ci ritroveremo a leggere di come “le rendite di capitale eccedono di molte volte i redditi” ed emergano magari ogni 20-30 dei nuovi marx simil-piketty che ci vengono a dire taroccando i dati(fonte financial times)di come stiamo andando verso il disastro quando di disastri qui ci sono solo gli esperimenti socialisti tipo venezuela

  62. Piero

    x Maxim : Yd=Y-T valida sia se S>I sia se S<I .. punto pareggio S=I indica semplicemente che Risparmio Privato (Famiglie+Imprese) Netto S-I = 0.
    In tale punto Matematicamente/Necessariamente anche G-T = Deficit Pubblico Primario = 0. La tua prova INVALSI di MATEMATICA di 3° media inferiore dice : BOCCIATO. L'economia è un'opinione. La matematica no.

  63. Giuseppe Cernuto

    @Piero,
    è ovvio che la “diluizione monetaria” non è sana? Non è ovvio per niente. Anzi io ho evidenziato degli aspetti decisamente positivi. Se non sei d’accordo spiega, altrimenti a che serve confrontarsi?
    Anche questa ineluttabilità del declino mi pare una visione catastrofista non supportata da elementi. Quasi che in questo modo si possa giustificare tutto. E’ ineluttabile, quindi perché affannarsi?

  64. Giuseppe Cernuto

    @Sergio,
    vedo una contraddizione nella tua risposta. Da un lato dici che non è accettabile che degli esseri umani muoiano per mancanza dei beni primari. Dall’altro dici che dare beni primari a tutti è un’utopia. Ma sulla base a cosa dici che è un’utopia? Le risorse sono più che sufficienti. Sono solo mal distribuite.
    http://www.worldhunger.org/articles/Learn/world%20hunger%20facts%202002.htm
    La mia sensazione è che chi liquida come utopia degli obiettivi che tutti, come esseri umani, dovremmo porci, serva solo a mascherare indifferenza. In fondo, noi mangiamo… perché dobbiamo preoccuparci degli altri?
    E non si tratta nemmeno di invocare il comunismo, che con la distribuzione del necessario per sopravvivere non ha niente a che vedere. Il comunismo è un modo di gestire l’economia in cui lo Stato è tutto. Ma non è mai stato argomento della nostra discussione. Se una cosa non è bianca non è detto che debba essere nera. Ci sono un’infinità di colori in mezzo.
    Il fatto che le rendite da capitale eccedono di molte volte i redditi da capitale non è qualcosa che ha detto Marx, lo dicono le statistiche. In particolare il fatto che nei paesi più liberisti (USA in testa) le disuguaglianze siano aumentate vertiginosamente, con l’1% delle persone più ricche che detiene il 40% del PIL e il ceto medio che ha perso il 30% del potere di acquisto in 40 anni.
    Ora tu dici che il capitalismo funziona da 100 anni. A me non pare che questo significhi “funzionare”. Soprattutto, chi lo dice mi pare che difetti di visione e capacità previsionale, che significa valutare le tendenze. Un po’ come uno che stia cadendo dal grattacielo e che dica “volare sbattendo le braccia funziona, non vedi che sto benissimo?”. 🙂
    No, il capitalismo ha dei grossi problemi. E se a correggerlo non ci penserà chi comunque pensa che sia un buon sistema, purché rivisto, ci penserà la gente inviperita con le sommosse, se non addirittura guerre civili. E anche questo sarà da imputare a un capitalismo cieco e sordo, sensibile solo alle esigenze del portafoglio dei più ricchi e non a quelle della pancia dei più poveri. Ma già… garantire la vita a tutti è un’utopia, mentre arricchire l’1% è un nubile obiettivo. Un grande successo del capitalismo.
    State riuscendo a farmi parlare come un anticapitalista (e non lo sono!).

  65. Marco O.

    E’ esattamente il contrario di quello che dici. Se lo Stato continuerà ad assorbire dai cittadini sempre più risorse per distribuirle in quella spesa pubblica clientelare che a te piace così tanto, allora sì che le sommosse che dici saranno inevitabili. E la parte produttiva del paese chiuderà i rubinetti. E addio politiche Keynesiane… Dopotutto, la maggior parte delle rivoluzioni è partita come rivolta verso le pretese eccessive dello Stato.

    In ogni caso non vedo perché tu debba perdere il tuo tempo a discutere su un blog dove TUTTI gli autori e i partecipanti hanno idee DIAMETRALMENTE opposte alle tue. Nessuno convincerà nessun altro, te l’assicuro.

  66. sergio

    @giuseppe
    in realta’ se guardiamo al mondo intero e non agli stati uniti la famosa “statistica” sulle disuguaglianze cambia e di parecchio:
    http://www.lettera43.it/economia/macro/42928/meno-poverta-e-merito-della-globalizzazione.htm
    http://thefielder.net/08/05/2014/7-bufale-sulla-disuguaglianza-economica/
    ma naturalmente bisogna guardare solo i dati che fanno comodo alla nostra ideologia, giusto?
    il punto e’ che il capitalismo come e’ oggi, in primis il modello americano, garantisce il massimo sviluppo PER TUTTI al di la della sua distribuzione della ricchezza. se vogliamo andare a prendere esempi dove le disuguaglianze sono state diminuite grazie all’azione politica, allora dobbiamo prendere il venezuela dove mancano i beni di prima necessita’ PER TUTTI o anche la grecia.
    ti invito a infomarti sul caso del venezuela dove molte delle tue idee sono state applicate e che purtroppo non ha molta diffusione sulla stampa perche’ “scomodo” per certe ideologie/parti politiche. e’ li’ che potrebbe esserci una guerra civile,grazie alle riforme promosse per cambiare il capitalismo visto che ha grossi problemi.
    negli anni della globalizzazione e’ successo un fenomeno molto semplice da capire.chi aveva esposizione ai mercati in crescita,cioe’ quelli emergenti, ha guadagnato di piu’ rispetto a chi era esposto solo al mercato domestico. per cui il cosiddetto “ricco” proprietario o azionista di una multinazionale (o anche solo il risparmiatore che ha comprato un fondo azionario paesi emergenti)ha guadagnato di piu’ del piccolo imprenditore, artigiano, commerciante con la sua attivita’ solo in italia.quando le solite statistiche “propagandistiche” parlando dell’aumento del valore delle attivita’ finanziarie in italia mentre l’economia va male, si dimenticano di dire che e’ ovvio, visto che sono investimenti sui mercati internzionali (che vanno bene) e si dimenticano di dire che chi ha un grosso patrimonio immobiliare solo in italia, ha perso invece il 30%(molto piu’ della diminuzione del reddito medio).allora quale sarebbe il ragionamento?se siamo in una crisi e sei stato intelligente nei tuoi investimenti a guadagnare ci incazziamo e te lo togliamo, se hai perso peggio per te?
    certo che le tue idee sono profondamente anticapitaliste nel momento che sostieni che le “rendite di capitale eccedono di molte volte i redditi da lavoro”e’ esattamente la distinzione fatta da marx e il suo pensiero. certo quello che ho notato e’ che adesso viene incluso (non so se anche da te)in reddito da lavoro anche quello di chi prima era considerato un “padrone” da marx come l’imprenditore o dirigente(invece adesso sarebbero “eroi”), distinzione assolutamente assurda perche’ a questo punto chi possiede case e risparmi dovrebbe fondare una societa’ in cui metterli(esattamente come fanno i grossi imprenditori)e autoassegnarsi un reddito da lavoro, senno verrebbe “perseguitato”

  67. Piero

    x Cernuto : Diluizione Monetaria nn sana nel senso che è medicina che mette tamponi al “mal di maturità” del capitalismo occidentale.. è droga necessaria per rinviare il peggio.. about declino è semplicissimo : questo secolo il timone passerà lentamente nei decenni da occidente ad emergenti.. e poi magari anche ad Africa.. noi Piigs siamo gli apripista.. non è mai accaduto nella storia che QUALCHE MILIARDO di lavoratori a bassissimo costo/diritti entrasse in competizione con 1 miliardo di mediamente benestanti (ad inizio novecento nn eravamo neppure 2 mld, negli anni 60 saremmo stati 4 mld.. fra 40 anni saremmo 11 mld) .. inoltre non c’è acciaio/rame/terre rare/petrolio/gas (nonostante lo Shale buon pro x gli Usa) per reggere nel lungo periodo il triplo o quadruplo dei consumi attuali in stile occidentale.. è Quasi Matematica per dirla come la dico a Maxim.. ci sono troppe risorse non rinnovabili razionate.. a meno che la Tecnologia non faccia un balzo molto ma molto grosso ad oggi nn in vista.. altro che Shale Oil/Gas che allunga solo il brodo.. e perchè darsi da fare ? : perchè senò sarà più veloce..

  68. sergio

    @giuseppe
    “La mia sensazione è che chi liquida come utopia degli obiettivi che tutti, come esseri umani, dovremmo porci, serva solo a mascherare indifferenza. In fondo, noi mangiamo… perché dobbiamo preoccuparci degli altri?”
    questa frase evidenzia il problema principale di quello che io definisco “fondamentalismo ideologico”, quel senso di superiorita’ morale che deriva da idee che hanno qualcosa di piu’ simile alla religione che alla razionalita’. ti assicuro che la maggiorparte delle persone parla di utopia perche’ ha visto che le soluzioni proposte per renderla reale causano disastri, miseria e morte. Le idee in se sono rispettabilissime e auspicabili da tutti, ma se vediamo il dato storico ha fatto piu’ morti il comunismo che il nazismo, sono le soluzioni proposte il problema .il reddito di cittadinanza che tu proponi ha un’entita’ tale (a parte il fatto che sia irrealizzabile perche’ 800 euro/mese a 60 milioni di italiani fa 600 miliardi/anno cioe’ un terzo del pil)che il suo effetto reale sarebbe il disastro economico e renderci poveri tutti (cosi’ si che avremmo eliminato le disuguaglianze)
    e se parliamo di tendenze io vedo l’europa “spacciata” con la sua netta propensione per le idee socialiste spinte, non certo i paesi anglosassoni e l’asia. A meno che le persone che subiscono sulla propria pelle queste idee non facciano come i francesi che hanno bocciato nettamente hollande (ma come, il benefattore dell’umanita’ che col 75% di aliquota sui redditi e 65% sul capital gain ha ridotto le disuguaglianze?)

  69. Giorgiio

    @Giuseppe Cernuto: “Il paradosso del paradossi di Sen (cioè che il socialismo reale sarebbe un ottimo paretiano) è fallace. Intanto non regge sul piano logico, perché se A ==> C è falso e B A, non è detto che B ==> C. Un esempio banale: io sono di Milano e Tizio è di Roma. Se io non sono di Venezia, questo non implica che Tizio sia di Venezia.”
    Non riesco a individuare la fallacia sul piano logico. Ho fatto logica formale ma mi sa che tra A, B e C ti sei perso un passaggio. 😉
    Comunque io mi lilmitavo al paradosso del libro licenzioso. Sen dimostra che, lasciando fare al “libero mercato”, la conclusione non sarà Pareto-ottimale, che sarebbe invece quella di far leggere il libro al puritano (che lo aborre, ma che preferisce evitare sia letto da altri). Una società collettivista, potendo decidere a tavolino le preferenze dei due soggetti, farebbe leggere il libro alla persona “giusta”, arrivando quindi all’equilibrio Pareto-efficiente. Mi spieghi dove sta la fallacia?
    Non sto dando del comunista a Sen. Dico solo che con il suo paradosso, per voler dimostrare che il liberalismo non è Pareto-efficiente ha dimostrato che lo è invece il comunismo. Non mi pare un gran risultato.

  70. John

    @Giuseppe Cemuto
    Io credo che se un soggetto obbliga un altro a privarsi delle proprie disponibilità a favore del primo, si chiama rapina.
    Se questo viene fatto direttamente sulle disponibilità, senza che l’altro soggetto faccia nulla si chiama furto.
    Se ci fosse un condominio dove l’amministratore rompe la finestra per far lavorare il vetraio che abita al secondo piano, con la promessa che questo assuma il figlio dell’inquilino del primo piano (magari se poi lo licenzia, si tassano tutti i condomini per dare un reddito da disoccupazione al ragazzo), non credo che nessuno dei condomini accetterebbe.
    Sono semplificazioni, per dire che ognuno deve provvedere a sé stesso senza un assistenzialismo statale, se parliamo di uguaglianza sostanziale, ripeto, parliamo di pari opportunità, su settori che dovrebbero comunque, in qualche modo, essere in concorrenza.
    Inoltre credo che, riguardo i più poveri e i meno abbienti, sia giusto che vengano portate avanti iniziative che siano finanziate con donazioni di carattere volontario, lo Stato può anche mettersi in concorrenza con gli operatori del terzo settore, ma sempre finanziando il tutto con donazioni volontarie.

  71. Giuseppe Cernuto

    @Sergio,
    no, io non guardo solo i dati che fanno comodo alla mia ideologia. Anche perché non ho un’ideologia. Osservo e mi sento libero di criticare anche ciò di cui sono convinto, se trovo evidenze diverse. Ma partiamo dai dati…
    Mentre nei paesi occidentali i redditi medio-bassi decrescono in maniera lineare e quelli alti e altissimi crescono esponenzialmente, nei paesi in via di sviluppo il risultato è più controverso. Alcuni paesi crescono e altri decrescono. E questo dipende da come lo Stato riesce a trasformare quei redditi in istruzione, formazione, ecc. In generale, l’entusiasmo dei principali istituti finanziari verso il libero commercio non è universalmente condiviso dagli studiosi, come puoi leggere anche qui:
    “Currently available poverty statistics are not adequate measures of whether
    poverty rates have changed in recent decades. Inequality under some measures has
    probably been increasing. And, the empirical evidence that free trade is reducing poverty
    and inequality is not as clear as the IFIs contend. Some studies have even found that free
    trade is correlated with increasing inequality and decreasing growth rates. The IFI’s faith
    in the ability of free trade to decrease poverty without increasing inequality is unjustified.”

    http://repository.cmu.edu/cgi/viewcontent.cgi?article=1354&context=philosophy

    Ma assumiamo pure che i paesi in via di sviluppo crescano. Se quelli maturi decrescono e numericamente i primi sono superiori ai secondi, potremmo ritrovarci tutti ben presto con un livello di reddito non da fame ma appena al di sopra il livello di povertà. Gli unici a guadagnare senza dubbio da questo processo sono le imprese che, trasferendosi nei paesi con manodopera più a buon mercato, incrementano i loro profitti. E questa è la dinamica per cui le frange dei cittadini più ricchi vedono crescere esponenzialmente il loro reddito nonostante la crisi.
    Questo è quanto ho osservato, e sono aperto a rivedere le mie posizioni se dimostrate il contrario.
    Ma c’è un’altra contraddizione che volevo evidenziare nella tua risposta: tu dici che il modello americano rappresenta il massimo sviluppo per tutti. Ma questo è contraddetto dai dati sulle diseguaglianze. Infatti correggi il tiro dicendo che su scala globale invece le diseguaglianze sono diminuite. Ma se anche ciò fosse vero (e in alcune aree lo è, su scala globale non tanto), significa che il dato globale compensa un dato negativo americano. Che resta un modello comunque insoddisfacente dal punto di vista della distribuzione della ricchezza.
    Suo mio presunto anticapitalismo, la differenza fondamentale fra me e Marx è che io non considero il capitalismo un male da estirpare. Tutt’altro. Dico solo che però serve un’opera di bilanciamento della ricchezza che il mercato per sua natura tende a portare verso un estremo, creando squilibri a tutta l’economia.
    Guardate che quanto sostengo non è una tesi marxista. E’ quanto insegna l’Università di Harvard, nella patria del capitalismo. Qui trovate il suo corso completo di Public Economics:
    https://www.youtube.com/playlist?list=PL2SOU6wwxB0v3c46v2ptuDKIHmXHRAmeU
    Se volete avere una panoramica del ruolo dello Stato, prendere pure il primo video introduttivo, dal minuto 35:24.
    Dopo magari possiamo anche parlare della questione in maniera più tecnica. E spero anche meno trincerata su posizioni ideologiche che sono solo una visione estrema del capitalismo non “il capitalismo”.

  72. Giuseppe Cernuto

    @John, vedo che consideri la vita umana secondaria alla difesa del patrimonio. Se i poveri hanno diritto di vivere o meno dipende quindi solo dalla pietà individuale (e volontaria) del singolo ricco.
    Questa è una scala di valori molto lontani dai miei (che pure sono ateo, quindi non c’entra nemmeno la religione). E ciononostante, proprio per il mio orientamento individualistico, che per nessuna ragione prevede l’imposizione di valori esterni al singolo individuo, li trovo anche legittimi (per quanto ripugnanti).
    Però, di fronte a tale indifferenza verso l’umanità, non meravigliamoci se poi c’è il delinquente che uccide un negoziante, il proprietario di una villa o di un’auto per una rapina da poche centinaia di euro. In fondo il suo disprezzo per la (vostra) vita umana è speculare alla vostra per la sua.
    E nel mio generale disgusto verso una tale mancanza di empatia, io tendo a giustificare di più chi uccide per un po’ di cibo piuttosto di chi uccide in maniera silente. Di chi condanna all’indigenza, alla malattia, all’ignoranza e alla mancanza delle libertà di perseguire le sue aspirazioni individuali chi è stato meno fortunato di lui. Di chi gode della sua seconda casa, dell’X% di crescita del suo patrimonio, nella più totale indifferenza di chi è povero e impedendo allo Stato di provvedere a loro perché altrimenti eroderebbero la loro “sudata” ricchezza.
    Beh, auguri!

  73. John

    @Giuseppe Cernuto
    Io non voglio privare a nessuno di vivere, anzi. Sono certo che ci sia molta gente bisognosa di aiuto, ma sono altrettanto convinto che chi aiuta queste persone debba farlo volontariamente, non che sia imposto dallo Stato, in altre parole, che sia libero di scegliere. Prima ha parlato di sistema statunitense, oltre al fatto che non è affatto un sistema liberista, negli Stati Uniti esiste una propensione alla beneficenza molto più elevata che in Italia. Questo ha più di una causa, ma sicuramente una di esse è la concorrenza che si crea in mancanza del monopolista statale, anche nel terzo settore.
    Io sono convinto che l’uomo sia un animale sociale, pertanto credo che in mancanza di uno Stato che decide arbitrariamente (il voto conta poco, le decisioni vengono prese con fini clientelari sempre, a quanto si può vedere) dove le risorse devono essere investite per la società, questo viene sostituito da opere caritatevoli in concorrenza fra loro, garantendo risultati anche migliori di quanto offerto dalla Stato.
    Io non do priorità al capitale nei confronti della vita, io do priorità alla libertà di scegliere di tutti ricchi o poveri, ognuno può decidere in che mondo vivere in base alle proprie disponibilità e capacità, questa è la mia visione.

  74. John

    @Giuseppe Cernuto
    Comunque nei commenti precenti ho fatto più volte riferimento a pari opportunità, che dovrebbero essere garantite. In questo includo istruzione, sanità e trasporti. Per l’istruzione la “ricetta” sarebbe il buono scuola e l’abolizione della validità legale del titolo di studio, per la sanità l’entrata di assicurazioni sanitarie nel mercato, limitando l’opera statale a quella di assicurazione per i meno abbienti e dopo gli operatori del terzo settore, infine i trasporti che per essere garantiti in zone remote, lo stato potrebbe appaltare ad aziende in concorrenza il servizio, lasciando libero il mercato del trasporto pubblico (qui ci includo la liberalizzzazione delle licenze taxi).
    Poi cos’altro dovrebbe fare lo stato? Garantire la sicurezza, garantire processi giusti (qui se ne può parlare per ore) e diritti individuali, costruire strade e mantenerle.
    Ho dimenticato qualcosa? Non credo, comunque sul sito http://www.brunoleoni.it sotto la voce issues, ci sono una serie di iniziative auspicabili riguardo la maggior parte delle suddette aree di competenza.

  75. sergio

    @giuseppe
    guarda che io con dati non intendo articoli scientifici singoli (se gia’ c’e’ un vasto consensus e’ diverso anche se non certo) che possono con molta probabilita’ essere taroccati per ideologia/conflitto di interesse dell’autore
    (non so se sai quanti articoli scientifici sono stati pubblicati che sostenevano che non c’era correlazione tra fumo e tumore al polmone)
    ma ti ripeto ancora GUARDA I DATI REALI CIOE’ VENEZUELA come esperimento di nuove politiche redistributive che “superano” il capitalismo.
    se non e’ chiaro visto che su questo punto non rispondi mai GUARDA IL VENEZUELA
    e se non e’ chiaro ancora GUARDA IL VENEZUELA invece di mandare corsi e articoli

  76. John

    Ok, ho tralasciato il sistema pensionistico, anche qui il discorso è molto ampio, ma come per la sanità, il mio pensiero è quello di un’apertura al mercato prevvidenziale, lo Stato dovrebbe garantire solo le pensioni minime, l’indennità di disoccupazione universale può essere discutibile, ma passiamola.
    Per il resto liberalizzerei, dando la possibilità ai dipendenti di scegliere dove destinare i propri soldi.

  77. Giuseppe Cernuto

    @Sergio,
    io non conosco bene la situazione del Venezuela ma ho cercato di documentarmi un po’.
    Innanzitutto una brevissima premessa: i dati da soli non dicono niente. Vanno trovate le correlazione le causalità. E queste le puoi determinare in maniera razionale solo se si ha una formazione macroeconomica almeno di base. Io ripeto (ormai fino alla nausea): le politiche fiscali (spesa pubblica e/o riduzione delle tasse) per affrontare un ciclo recessivo sono un insegnamento che tutti i corsi di macroeconomia forniscono. Pure il secondo corso che ho fatto, che aveva un taglio smaccatamente neoclassico (e ho discusso vivacemente con l’insegnante sulle cosiddette riforme strutturali) non ha mai messo in discussione quel principio. Veniva correttamente illustrato come uno degli strumenti di politica economica, evidenziando pure come durante una recessione il deficit tenda ad aumentare automaticamente per effetto di quelli che si chiamano “stabilizzatori automatici” (indennità e welfare), che hanno proprio la funzione di assorbire e contenere la perdita di potere di acquisto e la riduzione della domanda causate dalla disoccupazione indotta dalla crisi.
    Da quello che vedo, il Venezuela ha commesso gravi errori nella gestione della politica economica. Intanto ha fissato un tasso di cambio ufficiale col dollaro diverso da quello di mercato. Questo differenza crea un mercato speculativo basato sullo spread fra i due valori.
    Inoltre manda in depressione la domanda interna: infatti i prezzi salgono molto più di quanto tasso ufficiale riconosca, comprimendo enormemente il potere idi acquisto. A questo problema il governo ha posto una pezza con un provvedimento che ha peggiorato la situazione, cioè imporre dei prezzi bassi, calmierarli. Questa è la morte delle aziende, Costringe chi può a rivolgersi al mercato estero. E così i cittadini sono costretti a importare i prodotti dall’estero. Importazioni molto costose a causa proprio di quel gap fra tasso di cambio ufficiale e reale.
    Il problema non è quindi sostenere la domanda con un buon piano di welfare. E’ non farlo in maniera corretta ed equilibrata.
    I due poli fra cui scorre la moneta, nel ciclo macroeconomico sono i cittadini e le imprese. Se la moneta si accumula asimmetricamente sulle imprese, si crea una crisi di domanda che alla fine rallenta la produzione, genera disoccupazione e alla fine compromette l’intero sistema produttivo. Se la moneta si accumula asimmetricamente sui cittadini, questi competeranno per la stessa quantità di prodotti e si crea una spirale inflattiva che oltre un certo livello fa fuggire imprese e investitori.
    Allora, sostenere la domanda è importante sia per compensare la naturale propensione del mercato a fare accumulare moneta al sistema imprenditoriale, sia per dare un senso al fine dell’economia: fare stare bene la gente. Ma bisogna farlo in maniera compatibile col sistema produttivo. Le due cose vanno sviluppate insieme. Ora, la situazione venezuelana sicuramente è diventata difficile. Ma quello che farei io, per sostenere un welfare ormai incompatibile con la produzione, non è tanto ridurre la spesa pubblica (in parte magari sì, dipende dal livello), quanto aumentare la produzione. E per farlo devi attirare le imprese. Allora io detasserei fortissimamente le imprese, anche prevedendo una flat tax del 10% o anche una defiscalizzazione completa per i primi anni, per favorire gli investimenti produttivi nel paese. Magari la defiscalizzazione potrebbe essere legata al numero di persone impiegate.
    Quindi, per concludere, il Venezuela non fa affatto ciò che io dico di fare. Ma in voi scatta una sorta di riflesso pavloviano. Quando parlo di spesa pubblica vi vengono subito in mente scenari estremi di redistribuzione (comunismo) o addirittura di pianificazione economica (socialismo reale). E non vi accorgete dell’altra faccia della medaglia, ossia che che le politiche di welfare vanno sostenute da adeguate politiche di sviluppo industriale basate su un regime fiscale favorevole, una burocrazia snella e possibilmente un sistema giuridico veloce, magari facendo ampio uso dell’arbitrato.

  78. sergio

    ma qui nessuno discute sulle politiche anticicliche in un ciclo recessivo su cui hai perfettamente ragione (quello che non si capisce e’ da dove quei geni dei burocrati ue abbiano preso le loro idee/teorie sull’austerita’)
    innanzitutto quello che e’ successo in venezuela e’ una redistribuzione massiccia stampando moneta http://www.robertogorini.com/il-venezuela-fallira-e-ha-tanto-da-insegnarci/
    comunque finalmente vedo affermazioni del tipo
    “Se la moneta si accumula asimmetricamente sui cittadini, questi competeranno per la stessa quantità di prodotti e si crea una spirale inflattiva che oltre un certo livello fa fuggire imprese e investitori.”
    ma e’ esattamente quello che succederebbe con un redd.di citt. o redd.min.garantito di 800 euro/mese
    finalmente vedo affermazioni anche di questo tipo
    “E per farlo devi attirare le imprese. Allora io detasserei fortissimamente le imprese, anche prevedendo una flat tax del 10% o anche una defiscalizzazione completa per i primi anni, per favorire gli investimenti produttivi nel paese. Magari la defiscalizzazione potrebbe essere legata al numero di persone impiegate.”
    quello che manca e’ la matematica, tutti vorrebbero avere tasse basse, stipendi alti nel paese dei balocchi.
    immagino che per trovare le risorse tu voglia massacrare di tasse le persone fisiche, soprattutto abbienti, defiscalizzando le persone giuridiche, che e’ una tendenza molto in voga nelle nuove idee della sinistra post-comunista. ma allora attiri le imprese e fai fuggire i cittadini, cioe’ l’imprenditore straniero viene in italia (tanto ha la residenza all’estero) e l’imprenditore italiano si prende la residenza all’estero. ha senso questa cosa?
    cio’ che e’ preoccupante e’ che si va affermando proprio questa mentalita’, le imprese ormai sono state “sdoganate”, riconosciute come elemento importante di un economia, mentre si va inasprendo la mentalita’ “comunista” contro le persone fisiche. Non e’ uno scenario “estremo” la tassa sul capital gain al 65% di holland? per esempio con un rendimento del 4% sul capitale e inflazione al 2% il capitale in termini reali si deprezza e diminuisce col tempo(lo definirei esproprio parziale diluito nel tempo). non e’ uno scenario estremo un imu seconde case al 1%(circa lo 0,5% del valore reale della casa) piu’ imposte di compravendita del 9%?Significa che in 30 anni e’ stato pagato allo stato il 24% del valore della casa (anche qui esproprio parziale diluito nel tempo).bisognava arrivare al 100% o superarlo per definirlo scenario estremo?
    voglio dire che gia’ con questi provvedimenti di politica fiscale il capitale decresce nel tempo, altro che piketty che dice che il rendimento del capitale supera quello del lavoro!!e la follia e’ che si parla solo di inasprimenti
    con una flat tax al 10% sulle imprese chiunque si apre una societa’ in cui mette case e risparmi da lui posseduti, cosi’ diventa anche lui “imprenditore eroe” invece che sporco proprietario di case o di soldi in banca

  79. Giorgio

    @Sergio. Molto bello l’articolo sul Venezuela. Niente formule, ma sostanza e buon senso.
    Il grafico del cambio dollaro-bolivar è demenziale: 2.15 dal 2004 al 2010, 4.30 fino al 2013, 6.30 da marzo 2013 a oggi. Tengono duro finché il cambio si rivela talmente fuori dalla realtà da non poterlo più sostenere, dopodiché danno una botta allucinante di svalutazione e via daccapo.

  80. Giuseppe Cernuto

    @Sergio,
    finalmente ti accorgi che non sono un comunista… anche se poi mi dai del post comunista! 😀
    Lo fai quando assumi che io vorrei ammazzare di tasse le persone fisiche. Ma quando mai! Per me la tassazione potrebbe anche non esistere del tutto. Ma questo dipende dagli strumenti di regolazione della moneta che sono a disposizione.
    Tu dici che manca la matematica. E hai ragione. Ma dato che non siamo in un’aula universitaria, possiamo limitarci a individuare le relazioni fra le varie entità.
    Concentriamoci sempre sul livello macro. Vorrei tornare su quello che viene definito “flusso circolare”, in cui c’è un gruppo di soggetti che produce beni (le imprese) e un gruppo di soggetti che consuma beni (le famiglie). Per scambiare questi beni, dato che non si usa più il baratto, abbiamo un “gettone”: la moneta. Ovviamente c’è anche un produttore di gettoni. Senza gettoni lo scambio non avviene. Se i gettoni sono pochi lo scambio è necessariamente limitato, perché può coinvolgere pochi soggetti. E’ importante capire l’importanza della granularità dei gettoni. Immagina una rete stradale. Per ottenere più scambi è meglio avere mille strade da 2 mila corsie o un milione di strade da 2 corsie? Con strade da 2 mila corsie ottimizzo l’efficienza. Posso fare viaggiare una enorme quantità di merce su ipotetici camion mille volte più grandi. Ma limito la diffusione e la capillarità. Posso arrivare solo nei grandi centri. Con la moneta è la stessa cosa.
    Ma c’è un altro problema: l’accumulo di moneta. Dietro ogni scambio commerciale c’è una transazione monetaria. Tuttavia ogni impresa cerca di avere un profitto e ogni cittadino cerca di avere un risparmio. Ma l’accumulo di moneta è come l’energia potenziale: si manifesta e produce un effetto solo nel momento in cui viene impiegata. Possiamo immaginare l’accumulo come una diga che fa crescere la quantità d’acqua in un invaso. Possiamo pensare: ottimo, in caso di siccità, posso aprire gli scarichi e usufruire di acqua lo stesso. Oppure: è un pericolo. Se la diga cede succede un disastro e tutto viene distrutto.
    Cosa è vero? Entrambe le cose ovviamente. Anche per il denaro è la stessa cosa: se tutti i risparmi e fossero impiegati contemporaneamente ci sarebbe un’iperinflazione mostruosa. Non ci sarebbero mai beni sufficienti per tutti e il denaro perderebbe gran parte del suo valore. E se tutte le imprese investissero il loro profitti contemporaneamente, produrrebbero tanti di quei beni che non basterebbero i soldi per comprarli, svalutando i prodotti che rischierebbero di dover essere venduti sottocosto.
    Nell’iperinflazione una grande quantità di moneta si contende gli stessi beni. Nella deflazione una grande quantità di prodotti si contende la stessa moneta.
    Tutto questo preambolo serve a dire che non si possono guardare le cose da un lato solo.
    Il liberismo, favorendo la libera impresa ma impedendo la redistribuzione di moneta, tende a concentrare la moneta tutta su un fronte solo, quello delle imprese. Non è colpa delle imprese, loro perseguono il loro obiettivo naturale: la massimizzazione dei profitti.
    Ma se eliminiamo o limitiamo fortemente il potere dello Stato di riequilibrare la moneta fra i due soggetti macroeconomici, a un certo punto il sistema collassa per mancanza di moneta. Ed è quello che vediamo oggi. Si sono salvate le banche, si sono salvati i creditori ma non si sono salvati i cittadini. Conclusione: la classe media erode i risparmi finché può, poi non rimangono più soldi per i consumi.
    A questo punto dimmi tu cosa prevede il liberismo per uscire da questa situazione.
    Le imprese si metteranno a distribuire denaro ai cittadini? Vabbè, è uno scenario provocatorio, possiamo escluderlo.
    Si metteranno ad aumentare gli stipendi ai lavoratori? Fantasilandia anche questo. Perderebbero automaticamente la competizione di costo contro chi invece paga meno e fallirebbero.
    Chi dunque può riequilibrare il livello di liquidità nel sistema, spostando moneta verso la parte dei consumi? Cosa prevede il liberismo per evitare di drenare del tutto il circuito e fare implodere l’economia?
    Finisco di nuovo col Venezuela.
    Tu dici che tutti vorrebbero tasse basse e stipendi alti. Beh, sì. Ma non è il paese dei balocchi, è un’economia funzionante. O forse tu preferisci tasse alte e stipendi bassi? 🙂
    Stampare moneta (che ribadisco… non è la moltiplicazione dei pani e dei pesci, è ciò che fanno tutte ma proprio TUTTE TUTTE TUTTE le banche centrali, nessuna esclusa in tutto il mondo) è lo strumento, l’infrastruttura di cui un paese dev’essere dotato per abilitare gli scambi commerciali. Naturalmente va fatto con criterio, e in misura adeguata a quanto la propria economia può sostenere. E, mi spingo oltre, nella quantità giusta e funzionale a farla crescere. Quindi è ovvio che la soluzione non è stampare una quantità infinita di moneta per scambiare zero prodotti perché non hai un sistema produttivo dietro.
    Ma la moneta è un motore della domanda e quindi dell’economia. Usata con equilibrio può fare crescere la produzione gradualmente.
    Dov’è che ha fallito quindi il Venezuela? Nell’appiattirsi sulla sua materia prima, il petrolio. Tra l’altro con lo shale gas (di cui pare gli USA siano pieni) la richiesta (e il prezzo) del petrolio potrebbe ridursi parecchio in futuro. Ma non è questo il punto. Un’economia che non vuole essere primitiva deve svilupparsi nell’industria produttiva, di trasformazione e nei servizi. Le tecnologie si comprano (e hai le risorse per pagarle). Le competenze di imparano e si attirano dall’estero. Allora mio caro Venezuela… hai creato il mercato (stampando moneta)? Visto che non ne hai, devi assolutamente attirare strutture produttive dall’estero e dare sfogo a quel mercato, evitando che si riversi in massa sull’estero facendoti pure svalutare la moneta. Quando non hai niente, hai un grandissimo margine di manovra. Offri burocrazia zero per chi trasferisce le attività produttive nel tuo paese. Offri una tassazione da paradiso fiscale a chi trasferisce impianti industriali e impiega almeno un certo numero di persone.
    A questo punto la tua distribuzione di moneta è diventata sostenibile. Le imprese che si sono trasferite si ritrovano non solo con i loro soliti mercati (pagando meno tasse) ma soprattutto un nuovo mercato interno, alimentato da uno Stato lungimirante che dà un colpo al cerchio e uno alla botte. Anzi, hai presente quei giocolieri che usano i bastoncini? Devil stick si chiamano. Dando un colpo da una parte e uno dall’altra lo mantengono in equilibrio dinamico. E partendo da terra possono portarlo in alto.
    https://www.youtube.com/watch?v=Z7Pv-p-nEYo
    Allo stesso modo uno Stato accorto, sostenendo la domanda e favorendo l’offerta, può fare crescere l’economia e fare prosperare i cittadini.

  81. Giorgio

    @Giuseppe
    “Ma se eliminiamo o limitiamo fortemente il potere dello Stato di riequilibrare la moneta fra i due soggetti macroeconomici, a un certo punto il sistema collassa per mancanza di moneta. Ed è quello che vediamo oggi.”
    Quindi noi saremmo in un sistema economico liberista? Non me n’ero accorto.
    “Si sono salvate le banche, si sono salvati i creditori ma non si sono salvati i cittadini.”
    E i salvataggi di banche e creditori chi li ha fatti, scusa? A me pare che lo Stato si sia mosso anche troppo.
    “A questo punto dimmi tu cosa prevede il liberismo per uscire da questa situazione.”
    Dato che per il liberalismo (scusa, ma la parola “liberismo” continuo a non digerirla) i redditi non si distribuiscono ma si guadagnano, direi che la concentrazione dei capitali verso le imprese (come dici tu) dovrebbe sfociare in un aumento degli impieghi e anche delle retribuzioni, dato che sempre il liberalismo prevede che queste ultime non siano fissate per decreto ma siano correlate alla redditività delle imprese. E non è Fantasilandia.
    Nel mio settore, durante gli anni grassi fioccavano bonus sostanziosi. Ora che la redditività è in calo da anni, anche le retribuzioni si stringono. Questo spinge le imprese a innovare e cercare nuove strade per restare a galla e, se possibile, ripartire verso nuove direzioni.
    Se per stimolare il settore dobbiamo aspettare l’intervento dello Stato, stiamo freschi. Nella migliore delle ipotesi (Fantasilandia) arriverà in ritardo. Nella peggiore, sarà inefficiente (clientele, corruzione ecc.), favorirà gli amici degli amici e creerà dipendenza nel settore, provocando distorsioni dalle quali poi sarà difficilissimo liberarsi.

  82. Giorgio

    Chiaramente, quando parlo di intervento dello Stato intendo in senso Keynesiano, ossia stimolare direttamente la domanda aggregata con spesa pubblica in deficit e assunzioni indiscriminate. Niente da dire, invece, se si muove nel senso di facilitare la vita a lavoratori e imprese, magari detassando e snellendo la burocrazia, ossia creando le premesse perché l’economia possa ripartire. E’ sempre ingerenza, che può essere più o meno efficace (anche lo Stato è fatto di uomini, dopotutto), ma non crea carrozzoni che poi non si riesce più a eliminare e alla lunga non va a pesare sul vero e unico motore della crescita. Oggi in Italia lo Stato è un peso, non uno stimolo. Credo sia incontrovertibile.

  83. Giuseppe Cernuto

    @Giorgio
    tu dici… “E i salvataggi di banche e creditori chi li ha fatti, scusa? A me pare che lo Stato si sia mosso anche troppo.”
    Questo è un buon punto! In effetti sì, lo Stato si è mosso troppo e lo ha fatto malissimo. E in tal senso è vero che non siamo in un sistema liberista. Siamo in condizioni peggiori: con uno Stato che anziché agire nell’interesse pubblico, agisce nell’interesse di forti lobby che sono in grado di condizionare la politica. Questo accelera la concentrazione di moneta su un estremo del flusso circolare, togliendola sempre più ai consumi.
    Dici anche… “la concentrazione dei capitali verso le imprese (come dici tu) dovrebbe sfociare in un aumento degli impieghi e anche delle retribuzioni, dato che sempre il liberalismo prevede che queste ultime non siano fissate per decreto ma siano correlate alla redditività delle imprese.”
    Questo non è esatto. Non so cosa ti faccia pensare che le retribuzioni dei lavoratori siano agganciate alla redditività. La logica suggerisce il contrario: poiché utili = ricavi – costi, se voglio massimizzare la redditività dei miei investimenti devo ridurre i costi. E i costi sono in buona parte quelli del lavoro, cioè i redditi dei lavoratori. Quindi è vero il contrario: la redditività aumenta riducendo le retribuzioni. E questo è confermato dal seguente grafico:
    http://econographics.files.wordpress.com/2013/03/corporate-profits-and-wages.jpg
    Come puoi osservare c’è una forte correlazione inversa: quando i profitti salgono, i redditi dei lavoratori scendono. E viceversa.
    Allora, è piuttosto chiaro che un regime liber(al)ista non è sufficiente a garantire l’equilibrio del sistema. E questo per il semplice motivo che le imprese non sono enti di beneficenza. Giustamente, hanno come obiettivo il profitto, quindi mai e poi mai potrà partire da loro una redistribuzione monetaria verso i cittadini. Il profitto viene in parte reinvestito in attività produttive e in parte patrimonializzato (cioè sottratto alla circolazione monetaria). In pratica, se nessuna politica monetaria altera la quantità di moneta, l’arricchimento (la patrimonializzazione della moneta) determina una riduzione della moneta circolante e di conseguenza una riduzione degli scambi.
    Ti rinnovo quindi nuovamente la domanda: “come si rimedia a questa perdita di moneta disponibile per gli scambi all’interno del circuito?”.

  84. John

    @Giuseppe Cernuto
    Le imprese hanno come obiettivo la massimalizzazione dei profitti, siamo tutti d’accordo.
    Compra lavoro a prezzo di mercato aggravato dal cuneo fiscale, che ne fa aumentare il prezzo e ridurre il reddito del lavoratore (non cittadino), anche qui credo non ci sia nulla da eccepire.
    Le imprese sono un “agente forte”, non sempre ma prendiamolo come assioma. Questo, però, è un problema di contrattazione del lavoro, non di intervento dello Stato nell’economia.
    I lavoratori, per ridurre questo “rapporto di forza asimmetrico”, dovrebbero unirsi in gruppi d’interesse (chiamarli lobby o sindacati non cambia) per avere più potere contrattuale. Qui c’è da dire che i sindacati italiani hanno fatto un pessimo lavoro, sarebbe ora e tempo che cominciassero a trattare con le imprese sui contratti direttamente. Superando il contratto nazionale, smettendo di chiedere interventi distorsivi alla politica, che portano ad “uno Stato che anziché agire nell’interesse pubblico, agisce nell’interesse di forti lobby che sono in grado di condizionare la politica” e che lo Stato si limiti a dare le regole generali e imprescindibili, per lasciare il resto alla contrattazione.

  85. Giuseppe Cernuto

    @John,
    tu dici che i lavoratori dovrebbero unirsi in gruppi d’interesse per fare lobbying a loro favore. E potrei anche darti ragione. Ma non tieni conto proprio dell’asimmetricità del rapporto di forza.
    In uno scontro duro, l’impresa può sopportare il rallentamento o il blocco della produzione per un periodo anche medio-lungo, pur di non essere penalizzata in termini di maggiori costi che poi diventano permanenti. Quello che perde è una parte della redditività del capitale investito ma la trattativa non incide sul tenore di vita dell’imprenditore. I lavoratori, invece, usano i redditi per vivere. Uno scontro duro di medio-lungo periodo, per loro significa avere delle retribuzioni ridotte e potenzialmente un tenore di vita fortemente a rischio (rate di mutuo che saltano, difficoltà ad arrivare a fine mese, ecc.).
    Qualsiasi sistema finanziario, che sia una banca o una famiglia, deve gestire la solvibilità ma anche la liquidità, cioè il cash flow. E un imprenditore ha un buffer moooolto più ampio di un lavoratore. Se si arriva al muro contro muro, non c’è speranza per un lavoratore.
    E tutto questo riguarda un contesto in cui il lavoro è regolamentato.
    Se immaginiamo un sistema economico veramente liberista, con zero vincoli per le imprese e Stato praticamente assente nella trattativa, le imprese sono ancora più forti. Perché in caso di sciopero, l’impresa può dare un bel calcione nel sedere a chi protesta e sostituirli con altrettanti disoccupati, magari anche a condizioni più favorevoli (per l’impresa).
    Ecco l’altro fattore condizionante, quindi: il rapporto fra domanda e offerta.
    Se ci troviamo in recessione, il potere contrattuale dell’impresa si fa più forte, poiché è molto più facile sostituire dei lavoratori ingaggiati precedentemente a stipendi di mercato maggiori con nuovi lavoratori a stipendi di mercato inferiori. Non ci può essere alcuna lotta in questo caso, perché chi è disoccupato e ha bisogno di pagarsi cibo e un tetto, accetta di tutto. E nessuna lobby dei lavoratori può impedire a queste persone di accettare un lavoro a condizioni peggiorative, perché per loro fa la differenza fra vivere e non vivere. L’effetto macroeconomico però è che il prezzo di mercato dei lavoratori scende. E con i salari più bassi il potere d’acquisto diminuisce, riducendo anche la domanda aggregata e quindi il volume di beni acquistato. Questo significa ridurre la produzione, quindi tagliare la forza lavoro e così si entra in una spirale recessione-disoccupazione.
    Quindi, abbiamo due soggetti nel sistema economico, uno forte e uno debole e nessun meccanismo anticiclico. Anzi, il meccanismo è prociclico. Cioè quando i rapporti di forza si sbilanciano verso il soggetto già naturalmente forte, quello debole perde forza contrattuale e diventa sempre più debole, accelerando il drenaggio di moneta verso il soggetto forte.
    Allora, pongo di nuovo la domanda: un sistema liberalista puro cosa può fare per evitare questo drenaggio costante di moneta dal sistema economico, dal momento che…
    1) le imprese non sono gli agenti preposti a redistribuire moneta, anzi hanno come mission quella di patrimonializzarla (profitti)
    2) i lavoratori sono un soggetto la cui forza contrattuale diminuisce prociclicamente man mano che si indebolisce
    3) allo Stato viene chiesto di non impicciarsi. Ossia, non esiste un soggetto terzo, in grado di spostare i rapporti di forza verso l’equilibrio.

  86. John

    Sul ciclo economico rimando al link che ho postato prima.
    Sulle imprese che riuscirebbero a sopportare un blocco della produzione medio/lungo ho dei seri dubbi, soprattutto se parliamo di PMI, ma nel lungo periodo anche le grandi imprese hanno serie difficoltà a non poter onorare commesse e appalti.
    Riguardo l’intervento dello Stato, avevo postulato che lo Stato avrebbe dovuto garantire il rispetto delle regole, una delle regole è la garanzia al diritto di sciopero. Un sistema liberista non è senza regole, ma senza intervento diretto dello Stato nell’economia.
    Il problema non sta nelle indennità che vengono pagate ai lavoratori disoccupati, ma a tutto ciò che lo Stato sociale gestisce direttamente. Lo Stato non si limita a pagare il conto dell’ospedale a chi non se lo può permettere, ma costruisce la struttura, compra le attrezzature, paga i medici, etc… Non c’è concorrenza, la crescita deriva da scelte politiche, non da meccanismi economici che fanno fallire le scelte sbagliate. Quando lo Stato interviene le scelte sbagliate vengono comunque sovvenzionate, nessuno può capire che le scelte che hanno portato a risultati negativi sono sbagliate (al contrario di quanto accade in un sistema di mercato concorrenziale), lo sviluppo e l’innovazione si riducono e sono comunque appannaggio di scelte politiche.
    Chi ha voglia di innovare realizzando nuove imprese, si vede limitato da un deficit informativo grave, da settori che sono completamente monopolizzati e da una tassazione ai limiti del sopportabile, che finanzia gli interventi statali.
    È lo statalismo bellezza.

    (Mi scuso per possibili refusi, scrivo col telefono)

  87. Marco O.

    @Giuseppe Cernuto

    Vi sono due begli esempi che dimostrano quanto le cose che dici siano sbagliate. Nell’Index of economic freedom, un indicatore che tiene conto delle libertà economiche e della assenza di Stato nell’economia (due cose che evidentemente consideri il male), i primi due paesi sono Hong Kong e Singapore. Due “inferni” liberisti, per la tua visione del mondo.

    Ebbene:
    Hong-Kong: Reddito medio 50.000$ PPP, disoccupazione circa al 3%, persone al di sotto della soglia di povertà: 20% (In Italia sono il 30%);
    Singapore: Reddito medio 62.000$ PPP, disoccupazione circa al 2%.

    Ah, ma per fortuna noi viviamo in quel paradisto statalista redistributivo che ti piace tanto chiamato Italia…

  88. Giuseppe Cernuto

    @John,
    stiamo discutendo del meccanismo generale, ossia del flusso circolare e sull’opportunità (o meno) di avere un agente che si preoccupi di mantenere in equilibrio il sistema. Mantenerlo in equilibrio significa trovare un modo per compensare il ‘leakage’ derivante dalla patrimonializzazione della moneta, ovunque si verifichi. Ossia, garantire che nel circuito resti una quantità di “liquido” sufficiente.
    Per me lo Stato non deve offrire i servizi che il privato può offrire ma deve fare qualcosa di più importante: governare il sistema per mantenerlo in equilibrio. Sulla questione dei servizi offerti dallo Stato, quindi sono anche d’accordo con te. In molti casi potrebbe essere evitato. Ma è una questione marginale ai fini della nostra discussione.
    L’importante però è capire che se lo Stato fa da agente che ha il compito di garantire che esista una sufficiente quantità di moneta nel circuito e spendibile da parte di entrambi i principali soggetti coinvolto (consumatori e imprese), deve avere gli strumenti necessari per agire sulla moneta e sui meccanismi di distribuzione. Ora volti a favorire una domanda in sofferenza, ora a favorire investimenti asfittici.
    Per come la vedo io, oggi vanno fatte entrambe le cose: sostenere una domanda in caduta libera indirizzandola verso una produzione domestica (e non estera), incentivando la produzione locale, mediante una detassazione significativa sulle imprese.

    @Marco,
    gli esempi che citi sono entrambi paesi in via di sviluppo, che hanno naturalmente un trend di industrializzazione molto alto, che assorbe buona parte dell’occupazione. E’ successo anche da noi nel dopoguerra, quando tutto era da ricostruire. I confronti andrebbero fatti fra paesi omogenei. Ma soprattutto vanno fatti nel tempo. Perché io sto parlando di immaginare un sistema che sia stabile nel tempo. Per questo vi chiedo di ragionare in termini più astratti e di meccanismo, non di prendere il singolo esempio.

  89. Giuseppe Cernuto

    @John,
    avevo già letto il tuo link. Ci sono cose che condivido e altre meno. Ma fai uno sforzo di sintesi e spiegami cosa trovi di sbagliato in quello che ho detto io.
    Se non concordi con le politiche anticicliche nel senso che non le consideri desiderabili, significa che ti va bene che la ricchezza tenda a distribuirsi in maniera squilibrata al punto da fare bloccare ciclicamente ed implodere il sistema.
    Se invece pensi che ciò non avvenga, devi spiegarmi cosa sposta la ricchezza verso il potere di acquisto delle famiglie. Non credo che esistano altre vie ma resto in attesa delle tue spiegazioni.

  90. John

    Quello che trovo sbagliato è che “l’approccio (nessun intervento di nessun tipo sul mercato) tende a distribuire la ricchezza in maniera molto inefficiente, tutta schiacciata verso le fasce più ricche che si arricchiscono ancora di più (le rendite di capitale eccedono di molte volte i redditi) e alla fine innescano una depressione”.
    Qualche spiegazione:
    http://noisefromamerika.org/recensione/fundamental-laws-of-capitalism-dio-mio (in inglese)
    http://www.leoniblog.it/2014/04/25/tre-ragioni-per-respingere-il-presunto-capolavoro-di-piketty-sul-capitale/
    http://www.leoniblog.it/2014/05/12/lironica-passione-della-sinistra-americana-per-thomas-piketty-di-guy-sorman/

    Nel link dell’associazione “Ludwig Von Mises Italia”, è spiegato perché, secondo la teoria austriaca, le fasi di depressione sono causate da interventi esterni al mercato.

  91. Giuseppe Cernuto

    @John,
    il tempo che abbiamo a disposizione è limitato. Non costringermi a leggere lunghi articoli per cercare poi di estrapolare cosa intendevi.
    Io ti ho chiesto di spiegarmi non cosa pensa Von Mises ma cosa pensi tu di quello che ho descritto io. Trovi contraddizioni? Se ne trovi, spiegamele. Ma se non ne trovi, devi trarre le stesse conclusioni che traggo io.
    Il motivo per cui la ricchezza di schiaccia verso le fasce più ricche è semplice e te lo rispiego in poche righe:
    A è sistema produttivo, B sono i cittadini che dispongono di 100 monete.
    B spende 100 monete per acquistare i prodotti.
    A restituisce a B 80 monete sotto forma di redditi e 20 diventano profitto. Una parte del profitto viene reinvestito (e quindi reimmesso nel circuito monetario sotto forma di acquisti di macchinari, tecnologie, brevetti, ecc.), un’altra parte, facciamo 10 monete, viene capitalizzato e diventa patrimonio personale degli imprenditori (ricchezza).
    B ora possiede 90 monete (le 80 dei redditi e i 10 degli investimenti).
    Secondo ciclo…
    B spende 90 monete per acquistare i prodotti.
    A restituisce 70 monete sotto forma di redditi e 20 diventano profitto, di cui 10 capitalizzati come ricchezza.
    E così via.
    Naturalmente ho semplificato molto. Una parte della moneta viene sottratta dal circuito da parte degli stessi cittadini sotto forma di risparmio.
    Ma ogni volta che la quantità di moneta si riduce, la quantità degli scambi commerciali si riduce anch’essa. La patrimonializzazione della moneta riduce la disponibiltà della stessa per gli scambi. O qualcuno integra la quantità di moneta disponibile oppure c’è un drenaggio costante.
    E riducendosi gli scambi diminuisce la produzione. E riducendosi la produzione diminuisce il numero di lavoratori occupati. E riducendosi gli occupati diminuisce il potere di acquisto. E quindi si riducono gli scambi e così via.
    Allora metti da parte le teorie di Von Hayek e spiegami come si reintegra la moneta nel circuito se nessuno interviene.

  92. Giuseppe Cernuto

    Devo correggere un’imprecisione: gli investimenti sono trasferimenti da A ad A (cioè dal sistema produttivo verso sé stesso, non verso i cittadini).
    Quindi ciò che ritorna verso B, i cittadini, sono solo i redditi, non anche gli investimenti.
    Per cui gli investimenti restano nel circuito ma solo nella disponibilità del sistema produttivo. Possono quindi stimolare la produzione ma non il potere di acquisto, creando un surplus produttivo cui si contrappone un deficit del potere di acquisto. E questo velocizza la spirale recessiva.
    Cosa crea allora la fase di espansione? L’espansione monetaria dovuta al credito. Il credito crea un potere di acquisto artificiale che cresce fino al punto in cui qualcuno dice “oh oh… mi sono esposto troppo e rischio di non rivedere più i miei soldi”. Allora il denaro disponibile dev’essere impiegato per saldare i debiti e non viene più compensato dalla creazione di nuovo credito, perché si teme per la solvibilità. Ne consegue un deficit di capacità di spesa che inverte la china e causa la recessione.
    Espansione e contrazione del credito causano i cicli macroeconomici e l’insufficienza della disponibilità di moneta causa la necessità del ricorso al credito (prima) e l’impossibilità di ripagare i debiti (poi).

  93. sergio

    come dice anche il titolo, il “capolavoro” di piketty e’ l'”adattamento” moderno delle teorie marxiste su capitale/lavoro e come tale non dovrebbe essere ne’ preso in considerazione ne’ tantomeno commentato. se qualcuno scrivesse un “adattamento” moderno del mein kampf, cioe’ con dati scientifici sulla superiorita’ della razza bianca, verrebbe letteralmente distrutto se non addirittura messo in carcere. purtroppo ancora non abbiamo raggiunto un livello di civilta’ tale da rifiutare TUTTI i fanatismi ideologici

    http://www.project-syndicate.org/commentary/kenneth-rogoff-says-that-thomas-piketty-is-right-about-rich-countries–but-wrong-about-the-world
    “Much of the cultural groundswell surrounding his book has come from people who view themselves as middle class within their own countries, but who are upper middle class or even rich by global standards”
    come scrive rogoff il successo del libro risiede nel fatto che tutti pensano di essere classe media, mentre guardando l’intero mondo e non solo quello occidentale, sarebbero nella classe alta e sarebbero quindi loro a dover “redistribuire” ai paesi in via di sviluppo
    chissa’ se gli vai a spiegare che invece di mangiare 2 pasti al giorno, 1 lo devono dare a un povero africano, cosa direbbero i seguaci di piketty.
    insomma fondamentalmente non sono diventati tutti improvvisamente neo-marxisti ma seguono la famosissima teoria economica detta “sono tutti froci col culo degli altri”

  94. John

    @Giuseppe Cernuto
    Ancoa con i cittadini, ma i capitalisti non sono cittadini (anche se vengono considerati vacche da mungere)?
    Nel modellino semplificato esposto non si considera la mobilità sociale. In un sistema liberista, dove si tenta di eliminare le barriere di ingresso al mercato, attraverso liberalizzazioni, e ad eliminare i monopoli, il lavoratore che meglio si adatta al sistema (qualcuno ha detto merito?) diventa capitalista col tempo.
    I risparmi sia di A che di B vanno a finanziare, oltre ad A, anche alcuni individui che fanno parte di B e che aspirano ad entrare in A. Inoltre, in genere i risparmi vengono investiti, non è che i soldi spariscono magicamente. Certo chi dispone di grandi capitali si arricchisce ancora di più, sarebbe strano il contrario, ma tale richezza viene investita in nuovi progetti e magari su nuove imprese che nascono da idee provenienti da individui facenti parte di B.
    Se guardiamo l’andamento storico della distribuzione della ricchezza a livello globale, scopriamo che i ricchi diventano più ricchi (ovvio), ma che il ceto medio cresce e che le persone che vivono al di sotto della soglia di povertà è in costante riduzione, questo è causato da un’economia sempre più globale, che tende a rimuovere i limiti al mercato, non certo da manovre redistributive statali.
    http://www.leoniblog.it/2013/11/14/un-nuovo-sito-per-studiare-i-progressi-dellumanita/
    Un’altra cosa di cui non tiene conto quanto esposto è la tassazione. Lo Stato toglie ad A e a B, una parte viene redistribuita a B (sempre in quantità inferirore a quanto viene sottratto), una parte viene investita (male e con logiche clientelari), ciò che rimane è finalizzato ad arricchire politici e buracrati, che hanno l’unico scopo di aumentare il loro potere e la loro ricchezza, complicando inutilmente le procedure burocratiche, limitando la libertà economica individuale, il tutto in modo coercitivo e violento.
    Su Von Hayek, l’avevo tirato in ballo solo riguardo la possibilità di avere più monete in concorrenza, cosa che sta in parte avvenendo con le nuove monete digitali.

  95. Stefano Angeli

    E’ vero non si può confrontare il PIL col bilancio famigliare perchè in effetti il PIL contiene cose che in un bilancio famigliare sarebbero voci di spesa e non guadagno, e in effetti lo sono anche per lo stato. Per questo il PIL come parametro di confronto significa poco o nulla. Vero è invece che gli stati non hanno reagito alla crisi come farebbe un padre di famiglia, riducendo la spesa, ma hanno fatto l’opposto, nonostante la crisi abbia ridotto le entrate. Per questo i debiti pubblici sono tutti aumentati in questi ultimi anni, anzi più rapidamente di prima. L’idea di combattere la crisi con la spesa pubblica è una idea errata e pericolosa, e il Quantitative Easing a cui è ricorsa la Federal Reserve americana prima, e la BCE poi, va nella direzione proprio di combattere il debito facendo altro debito in dosi massicce. Mi pare che non occorrano lauree in economia per capire che non è la strada giusta, anzi…

  96. Alessio

    solo chi non ha mai studiato economia può paragonare l’economia di una famiglia all’economia di uno stato.
    la spesa pubblica del governo, è reddito per i cittadini….tant’è che è una componente del Prodotto Interno.

    Non solo, uno stato la moneta se la può stampare….una famiglia no.
    so concetti base, ma per la disinformazione eurista va tutto bene pur di distruggere lo stato sociale.

    Grecia libera

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