8
Mag
2010

Freddie H’s birthday!

Centoundici anni fa nasceva Friedrich August von Hayek, uno dei più importanti economisti della storia della Scuola austriaca di economia, e in generale. Possiamo considerarlo il simbolo della Scuola austriaca, sia perché ne è il rappresentante più famoso, tanto da vincere addirittura il Nobel (e influenzando almeno in parte una decina di altri vincitori del Premio), sia perché i suoi contributi rappresentano ancora oggi “l’ultima parola” che gli austriaci hanno detto in moltissimi campi.

La cosa più straordinaria, però, è che Hayek, pur parte di una Scuola minoritaria e pur in larga parte incomprensibile agli economisti odierni,  è probabilmente, dopo Keynes, l’economista che è stato più spesso tirato in ballo durante la crisi.

Come fa notare Mario Rizzo su Think Markets, il blog austriaco della New York University, Keynes e Hayek sono in pratica gli idealtipi di due visioni opposte e inconciliabili dell’economia: per superare la crisi, occorre perseverare negli errori degli ultimi decenni su scala ancora più grande (seguendo Keynes) o bisogna liberare il mercato dai dannosi interventi pubblici che impediscono il coordinamento e l’equilibrio economico?

Questa è la domanda più importante di tutte, che ho ovviamente posto in maniera molto biased perché sono convinto della risposta.

Possiamo concepire un mercato dove gli agenti economici sono sistematicamente difesi dalle conseguenze delle loro azioni dalla rete di sicurezza e dalle politiche anticicliche dei governi? Se la vostra risposta a questa domanda è sì, non lamentatevi che stiamo nei guai. Una tale risposta è l’essenza di tutta la politica macroeconomica degli ultimi decenni: discrezione & moral hazard a livelli sistemici. Freddie knew better.

PS il titolo è preso da questo rap: Keynes vs Hayek.

8 Responses

  1. Pietro M.

    Ahah. 🙂

    No, temo che Hayek sia incomprensibile anche se gli rifai la sintassi da capo.

    Nei Nuovi Studi, ad esempio, scrisse che lui aveva un tipo di mente diverso da quella degli altri: non era sistematico, era intuitivo. E’ vero. Serve infatti qualcuno che trasformi gli scritti di Hayek in teoria economica essoterica, traducendoli dall’hayekiese (che non è tedesco) all’inglese.

    😀

  2. Giacomo

    é sempre molto bello salire sul carro dei perdenti (o anche solo su quello degli accusati) e quindi in un blog di austriaci proverò a difendere JMK.
    Sono d’accordo che stimolare la domanda aggregata in momenti di ciclo negativo abbia effetti negativi per le micro-fondazioni dei mercati (che tenderanno a spostarsi dalla massimizzazione dell’utilità sotto il vincolo di bilancio a modelli principal-agent che incorporano il moral hazard e l’adverse selection), rendendo di fatto inutilizzabili i new-neokeynesian models.
    Tuttavia JMK prevedeva nel suo framework teorico anche una diversa funzione dei mercati monetari.
    Se infatti definiamo il capitalismo come quella economia di mercato che oltre ad avere tutti i mercati ne ha anche uno in più, ossia il mercato della moneta (merce che ha come prezzo il tasso di interesse); l’analisi cambia.
    Forse se alla moneta venisse tolto il tratto della merce e quindi il bias positivo (bias di liquidità) rispetto a tutte le altre merci (come proposto da JMK a Bretton Woods) i cicli monetari che vengono creati non solo, come sostiene la scuola austriaca, dalle politiche delle banche centrali, ma anche e soprattutto dalla struttura stessa della moneta, che per suo natura in una fase espansiva tende ad essere mezzo di scambio e quindi pro-cilclica, mentre in una fase recessiva tende ad essere riserva di valore e a svolgere quindi sempre una funzione pro-ciclica ma questa volta in una fase recessiva, verrebbero di molto ridotti.
    La domanda è quindi meglio il moral hazard o la natura di merce della moneta moderna.
    Forse si potrebbe pensare una economia reale che vada incontro ai sui trend e ai suoi cycle senza aiuti di nessun tipo (nessuna politica keynesiana) e a mercati monetari che siano soltanto unità di conto che non diano motivo di costruire interessi per il solo possesso della merce-moneta (clearing house in puro stile keynesiano).

  3. Pietro M.

    L’offerta di moneta è anticiclica solo se le banche vogliono suicidarsi. Il problema è proprio spiegare per quale motivo le banche emettono passività ed elargiscono prestiti che poi non tornano indietro e non consentono di ripagare le passività. Ovviamente è possibile concepire le banche come un insieme di masochisti, e la cosa non è molto lontana dalla realtà, però spiegare perché il masochismo non è punito è tutto un altro paio di maniche.

    Empiricamente, non si è mai visto un sistema bancario che paga i costi dei propri errori, visto che nel Novecento è stato sistematizzato il sistema delle banche centrali, e nell’Ottocento era già all’opera quasi ovunque (tranne negli USA, che avevano banche regolamentate dai vari stati e quindi ogni stati fa storia a sé: c’erano stati con banche stabili e stati con banche instabili, e da nessuna parte c’erano grosse holding bancarie diversificate perché era illegale – e ciò aumentava la rischiosità del sistema).

    Teoricamente, è sempre possibile assumere ad hoc che le banche siano masochiste, però una spiegazione economica di questo masochismo è teoricamente più convincente, altrimenti è una spiegazione “question begging”.

    Il problema del sistema teorico keynesiano, problema che si ripropone in quelli neokeynesiani, è che tutto ciò che va spiegato è assunto come fattore esogeno e non viene spiegato. Se gli investimenti calano, è uno shock sul rendimenti del capitale (che però non fa parte del modello teorico), se invece crescono, sono gli spiriti animali (spiegazione psicologica estranea al modello economico). Nel modello austriaco i movimenti degli investimenti e dei rendimenti sno invece endogenamente determinati dal processo di mercato, il che ne fa una spiegazione completa.

    Tutto sommato, dire che una cosa invisibile (lo shock sui rendimenti o gli animal spirit) spiega un’altra cosa invisibile (la causa del ciclo economico) pone dei problemi metodologici.

  4. Pietro M.

    Per quanto riguarda i modelli di moral hazard e adverse selection, sono convinto che abbiano molte più prospettive dei modelli new keynesiani e real business cycle standard, che secondo me sono giochi matematici senza un vero contenuto economico.

    La letteratura sul credit channel ha molti spunti interessanti e illuminanti, cosa che non si può dire della maggioranza dei modelli macroeconomici.

    Il problema è che molti di questi modelli predicono il contrario di ciò che accade nella realtà. Secondo i modelli di adverse selection, certi mercati dovrebbero sparire per mancanza di compratori: invece il problema non è che non ci sono bidoni sul mercato, ma che durante il boom se ne formano troppi. Secondi i modelli di credit rationing il credito è insufficiente: durante il boom, al contrario, tende sempre ad essere eccessivo. Secondo la logica del moral hazard, il rischio di venir fregati dall'”agente” dopo il contratto dovrebbe prevenire la firma del contratto e ridurre l’intermediazione, e invece durante il boom l’intermediazione è eccessiva.

    In un modello di asimmetria informativa, in genere una delle parti rimane fregata (o entrambe), e quindi tende a ridurre le proprie posizioni o addirittura a sparire dal mercato. Siccome i cicli sono caratterizzati dal problema opposto, al massimo queste spiegazioni sono un dettaglio aggiuntivo sulle dinamiche del ciclo, che però hanno altre spiegazioni.

    Probabilmente esistono modelli che risolvono questi problemi, però non conosco granché bene la letteratura relativa.

    Un possibile modello che risolve il problema è: uno shock di origine ignota aumenta il valore dei collateral, questo aumento genera un aumento del lending perché riduce il credit rationing, ma successivamente un altro shock, stavolta negativo, abbatte il collateral, induce una riduzione del lending, incrementa il credit rationing. In una teoria del genere è evidente che c’è un meccanismo di accelerazione del ciclo ma non c’è un meccanismo per generar né il boom né il bust, e bisogna ricorrere a deus ex machina.

  5. Secondo me c’è una generale percezione della moneta come “motore” dell’economia, per cui basta metterne per farlo funzionare, e soprattutto metterne quando il mercato (o banche) smettono di farla girare (non prestano); tutto questo nasconde il fatto (fatto per me, possibilità in generale) che il mercato della moneta esprima una reazione ai fattori reali dell’economia (al netto deg, per cui una recessione non è indotta dalla contrazione del credito, bensì è il credito a ridursi per il formarsi di una recessione (che ha natura reale). Purtroppo la prima percezione è molto diffusa, sia nei keynesiani di qualsiasi fatta che, purtroppo, anche tra i monetaristi.

    Disquisire sul problema del ciclo come problema insito nella “natura della moneta”, a parte che non lo condivido, implica ragionare di un sistema economico con altro che la moneta, e sinceramente cosa possa significare non ne ho idea; ma se esiste la moneta ci saranno dei motivi che vanno oltre la mera volontà di una banca centrale.

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