15
Giu
2010

Fiat e FIOM: benvenuti in Italia

Il rifiuto della FIOM all’accordo con Fiat per lo sviluppo di Pomigliano d’Arco è un clamoroso autogol da parte del sindacato e la dimostrazione che, in Italia, investire è molto difficile.

Lo stesso Guglielmo Epifani, leader della CGIL, non aveva chiuso tutti gli spiragli ad un eventuale accordo tra la casa automobilistica torinese e la FIOM; tuttavia le lotte clandestine interne alla CGIL hanno complicato una partita che in realtá non era impossibile da portare a casa tranquillamente.

La successione ad Epifani è forse stato il maggiore elemento di disturbo per raggiungere un accordo, come giustamente ricordato da Oscar Giannino su queste pagine, dove tutti i player sarebbero usciti vincitori. Non è un caso che sia la UIL che la CISL hanno firmato separatamente con Marchionne il piano di rilancio di Pomigliano.

Lo stabilimento campano, che impiega circa 5000 persone direttamente, avrebbe dovuto vedere l’investimento di centinaia di milioni di euro per lo sviluppo della Panda, prima prodotta nello stabilimento FIAT polacco. In cambio di questo investimento, l’azienda automobilistica chiedeva una maggiore flessibilitá.

Tale proposta faceva parte di un piano piú ampio di FIAT, il cosiddetto “Fabbrica Italia”, presentato lo scorso 23 aprile.

Tale piano prevedeva un rilancio della produzione italiana di autoveicoli, dopo che in un decennio si era in concreto dimezzata.

Lo scorso anno, delle poco piú seicento mila automobili prodotte in Italia, seicento mila erano state prodotte da Fiat.

Questo dato è la conclusione di un lungo processo d’incapacitá italiana di saper attrarre investimenti stranieri. Era stato il caso di Telecom Italia con Carlos Slim e poi quello di Alitalia con la prima compagnia europea, AirFrance-KLM.

Nel settore automotive l’incapacitá italiana di attrarre o semplicemente accettare investimenti stranieri si è tradotta in una totale produzione nazionale di automobili da parte di FIAT. Non è quindi un caso se la Repubblica Ceca produce piú automobili dell’Italia o se la Gran Breatgna, senza nessun produttore nazionale, produce tre volte il numero di veicoli prodotti in Italia.

La posizione del sindacato ed il “no” della FIOM è una delle cause per le quali l’Italia non è stata in grado di sviluppare la produzione di autoveicoli. La cecitá sindacale è un elemento importante di perdita di competitivitá.

Questo “no” avviene inoltre in un momento estremamente delicato per la casa torinese. L’avventura americana impegna sempre piú il management guidato da Sergio Marchionne e la situazione Oltreoceano, seppur in leggero miglioramento, non è facile da recuperare. La quota di mercato di Chrysler è sostanzialmente stabile rispetto ad un anno fa, nonostante il numero di veicoli venduti sia aumentato notevolmente, grazie all’espansione del mercato statunitense.

In Europa, il principale mercato di Fiat, la situazione è tragica. Dopo aver dopato le vendite di veicoli nuovi, i Governi Europei hanno chiuso i rubinetti degli aiuti ed il mercato ha iniziato una profonda caduta.

Fiat, che lo scorso anno aveva beneficiato maggiormente degli aiuti, sta soffrendo maggiormente rispetto alle altre case automobilistiche. In Maggio, la quota di mercato europea è scesa sotto l’8 per cento e le vendite sono crollate del 23 per cento.

L’Italia, il primo mercato di Fiat, ha visto una contrazione che nella seconda parte dell’anno potrebbe diventare davvero preoccupante, con tassi di decrescita superiori al 20 per cento.

In questo scenario delicato, la FIOM ha deciso di guadagnare almeno 100 iscritti nell’impianto di Pomigliano d’Arco con il suo “no”, chiudendo gli occhi di fronte alla possibilitá di perdere cinquemila dipendenti nella stessa fabbrica.

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4 Responses

  1. Benvenuti negli USA, dove si fa un’analisi statistica dei fattori di attrazione delle multinazionali; in particolare, di quei fattori che fanno dire ai CEO di tutto il mondo:”Noi, il nostro prossimo laboratorio di ricerca e sviluppo, lo mettiamo qua piuttosto che là.”.

    Ne ho fatto un piccolo sunto qua: http://ht.ly/1Z86I, dove è possibile anche scaricare il documento completo.
    In poche parole:
    -l’argomento è molto complesso e i fattori decisionali sono molteplici. I governi avranno quindi sempre più un bel da fare, nel redirigere le loro politiche di attrazione.
    -il punto non è scegliere in quale nazioni andare, ma se andare in un paese emergente (tendenzialmente quello con il mercato in maggior espansione) o in uno avanzato (in genere quello dove c’è più abbondanza di personale R&D qualificato).

    Poi certo, noi abbiamo problemi di successione all’interno della CGIL, ma come glielo vai a spiegare agli americani, canadesi, tedeschi, francesi, indiani, cinesi…?

  2. C.la

    Buongiorno,
    visto che reputa l’accordo in maniera non tanto negativa, mi aspetto a breve una sua assunzione a Pomigliano.

    Oppure non poter scioperare *per contratto* non le piace?

    Purtroppo chi sta dietro una scrivania scrive su cose di cui non conosce le realtà e le difficoltà.

  3. Beppe

    Temo che non esista possibilità di transizione morbida dal mondo impossibile dove il lavoro è un diritto natural/divino e il mondo reale dove il lavoro è un servizio che viene pagato solo se desiderato da qualcuno.
    Sono 2 anni che i governi si dibattono fra allargamento della CIG, quantitative easing, megagaranzie, abbattimenti di tassi di sconto già stupidamente bassi e chi più ne ha più ne metta, pur di diluire nel tempo lo shock provocato da 30 anni di lavoro sussidiato e da 15 anni di acquisti a credito coi soldi dei nipoti. Tutto questo ovviamente ci costerà complessivamente ben di più di quanto ci sarebbe costato un crollo rapido con successivo recupero fino a livelli ragionevoli, ma avrebbe anche potuto avere un senso: evitare qualche milione di persone con (dal loro punto di vista) buone ragioni per andare in piazza per qualche mese, con tutti i rischi che ciò avrebbe comportato.
    Però quando leggo che dopo 2 anni come questi c’è ancora gente che dà per scontato che *tutti* desiderino scioperare contro un contratto che hanno firmato, penso che sia stato tutto inutile. Esiste purtroppo una minoranza che crede davvero di avere diritto al lavoro e crede davvero che, se si accorge di aver firmato qualcosa che poi non le piace più, sia onorevole, anzi, sacrosanto scendere in sciopero. E sono maggiorenni…
    Se non hanno ancora capito che le proposte si accettano o si rifiutano all’atto della firma assumendosene le conseguenze fino a scadenza del contratto e che nessuno ha il *dovere* di fargli proposte (tantomeno proposte gradevoli…), non lo capiranno mai. Continueranno a ritenersi (giustamente) in diritto di cambiare pizzeria quando il pizzaiolo non soddisfa pienamente il loro gusto, ma chissà perché non vedono il diritto dell’imprenditore di cambiare collaboratore nelle medesime condizioni.

  4. luca

    I signori della Fiom quando presidiano e scioperano e picchettano sono così simpatici da montare su delle sirene da inquinamento acustico peggio di quelle dei mondiali anche per settimane rompendo le orecchie e l’anima a poveri cittadini non coinvolti nella vicenda.
    Periodicamente ogni qualche ora un Vigile intima di smettere (non essendo l’inquinamento acustico delle sirene un diritto ma bensì una violazione della legge).
    Loro poco inclini al rispetto della legalità dopo 10 minuti che il vigile se ne è andato ricominciano imperterriti a violare la legge e i diritti altrui.
    Un piccolo esempio che può aiutare a capire la differenza tra un onesto e legittimo sciopero ed uno furbo e non corretto (come nel caso delle malattie ecc).

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