16
Nov
2010

Federalismo fiscale e debito pubblico. Live blogging

Ore 12,30. Finito il primo giro di interventi la parola passa alle repliche dei relatori (5 minuti a testa). Per Reviglio gli immobili sono oggetti complessi e dispersi. Il rischio è quello di fare una colossale svendita. Per Giarda, il federalismo fiscale tratta di questioni semplici (le regioni devono essere assistite dallo Stato?) ma non di tante cose di cui il paese avrebbe bisogno di occuparsi (cosa fare con il nostro Mezzogiorno?). Questi ultimi temi devono essere trattati in modo autonomo. Tutta la discussione sul rapporto tra federalismo fiscale e Mezzogiorno non c’entra niente. Il grande problema del Mezzogiorno è la scuola, ma di scuola se ne occupa lo Stato (cosa c’entra con questo il federalismo fiscale? Il federalismo fiscale avrà rilevanza il giorno in cui daremo la competenza della istruzione alle regioni, ma di questo non si parla). Per Costato, il debito dei giapponesi è finanziato dai giapponesi (in Italia non è così). La tentazione è quella di dividersi i debiti (modello cecoslovacco). Per Franco, molti asset pubblici sono gestiti male. Ci sono margini di buona amministrazione, anche se la strada è quella di avere margini diversi nell’avanzo primario. La crescita è il problema più serio di questo paese, compresa la dimensione delle nostre imprese. A questo si aggiunge una pressione fiscale più alta della media europea e una erogazione dei servizi pubblici non efficiente. Un po’ di regole, che vanno nella direzione auspicata da Ricolfi, già ci sono: ad esempio, il patto di stabilità interno. Il debito commerciale verso fornitori della pubblica amministrazione italiana è di circa 4 punti di PIL. Questo pesa sui conti delle imprese. Per Ricolfi è necessario soffermarsi su un punto: dal suo punto di vista il federalismo fiscale abortirà completamente (tempi lunghissimi – 2018 -, meccanismi poco definiti e farraginosi – sui costi standard non c’è nulla): “l’idea non era cattiva ma si concluderà in un nulla di fatto”. Il federalismo, se attuato in altro modo (con meccanismi automatici), avrebbe avuto attinenza con la crescita e il Mezzogiorno (a differenza di quanto sostenuto dal professor Giarda). Uno degli obiettivi del federalismo – prosegue Ricolfi – è la riduzione della pressione fiscale (e la pressione fiscale influisce sulla crescita). Inoltre il federalismo avrebbe ricadute sulla qualità dei servizi erogati (migliorando quelli offerti nel sud). Per Ricolfi, se Reviglio ha smorzato i nostri entusiasmi in termini di vendita del patrimonio pubblico, la carta che dobbiamo giocare è quella della crescita economica (nonostante da più parti si dica che la descrescita sia la strada maestra da seguire).

Ore 12,15. Intervento di Luca Ricolfi (Università di Torino). “Per Tremonti è di 700 miliardi di euro il patrimonio pubblico vendibile (collocabile sul mercato), ed è rappresentato dal patrimonio ‘fruttifero’. La sua idea è quella di fare un grande patto fra centro e periferia. Il 95% del debito pubblico è in capo allo Stato ma solo 1/3 del patrimonio è detenuto dallo Stato. In questi anni poco però è stato fatto”. Per Ricolfi, “le regioni hanno un patrimonio che è dello stesso ordine di grandezza del loro debito, per le province il patrimonio è 3 volte il proprio debito, per i comuni è 5 volte. Vi è un rapporto inverso fra patrimonio e debito. Gli unici enti che sono in grado di fare qualcosa con il loro patrimonio sono i comuni. Dal centro dovrebbe esserci un obbligo per le amministrazioni con debiti di ripianarli attraverso le dismissioni. Invece nei decreti attuativi si stabiliscono sanzioni solo per i deficit sanitari delle regioni. Noi siamo già nel modello giapponese (stagnazione, debito che non diminuisce, squilibri territoriali). Lo squilibro tra le regioni del nord e il resto del paese è dell’ordine di 50 miliardi di euro (se invece vigesse il principio di corrispondenza, di cui ha parlato il professor Giarda, sarebbe di 83 miliardi). Se l’efficienza dei servizi e l’evasione fiscale fossero omogenei, il nord avrebbe 40 miliardi in più. Se inoltre la spesa discrezionale fosse la medesima si avrebbero altri 10 miliardi (in totale lo squilibrio è di 50 miliardi). Con i 50 miliardi derivanti dagli squilibri territoriali si potrebbe abolire l’Irap e l’Ires. Il grosso del nostro problema è l’evasione fiscale differenziale (su questo punto il federalismo fiscale così come si sta realizzando non interviene) e l’efficienza dei servizi. La frase più frequente che si sente dire è che l’Italia senza il Mezzogiorno fa registrare performance uguali a quelle dei paesi europei più virtuosi e sviluppati. Questo non è vero: anche il nord è già dentro il modello giapponese. Il nord e il sud sono perfettamente allineati sul tasso di crescita. Il problema della crescita economica è spalmato su tutto il territorio nazionale. Dopo le cose che ha detto Reviglio non so come sia possibile risolvere il problema del debito pubblico. Il problema del debito pubblico è la sua vulnerabilità (la fluttuazione del tasso di interesse). Se i tassi dovessero diventare il 7% dovremmo pagare 40 miliardi in più di debito all’anno”.

Ore 12,10. Reviglio conclude affermando che “dalla dismissione del patrimonio pubblico si è fatto molto nel passato, meno si potrà fare nel futuro. Il ‘progetto Guarino’ era molto bello e immaginifico. La sua idea era quella di creare una grande società per azioni. Fu studiata dal Tesoro. Allora non ci furono le condizioni per poterla realizzare”.

Ore 11,55. Intervento di Edoardo Reviglio (Cassa Depositi e Prestiti). “Il riordino del patrimonio deve essere fatto. Sarà un processo di lunga durata. Nei prossimi dieci anni, secondo il FMI, bisognerà tagliare la spesa o aumentare le tasse dell’1% per i prossimi 10 anni per riportare il livello del rapporto debito/PIL nell’Eurozona ai livelli pre-crisi. Per andare in tale direzione, in Italia il patrimonio pubblico può giocare un ruolo importante. In questi anni sono stati venduti parecchi immobili. Il patrimonio è valutato il 140% del PIL (non si conta il patrimonio storico-culturale). Il patrimonio ‘fruttifero’ (partecipazioni, immobili, crediti, ecc.) vale circa 700 miliardi di euro. Per l’80% è in mano agli enti locali. Le partecipazioni dello Stato valgono 70 miliardi (è difficile pensare che lo Stato esca dalle nostre grandi imprese). Dal punto di vista delle privatizzazioni è probabilmente stato fatto quasi tutto. Sono circa 4000 le Spa pubbliche a livello locale (sono valutate circa 17 miliardi). Dalle partecipazioni non potrebbe venire granchè per la riduzione del debito. Gli immobili rappresentano il 41% del totale del patrimonio fruttifero. In tutto ha un valore di mercato pari a 420 miliardi di euro (350 miliardi di proprietà delle amministrazioni territoriali). Circa il 56% del patrimonio immobiliare è in uso dalle amministrazioni pubbliche. Gli enti locali hanno dismesso (nel periodo 2000-2005) un patrimonio immobiliare che ha reso poco più di un miliardo di euro totale. Per quanto riguarda le concessioni (autostrade, aeroporti, porti, ecc.) il flusso di cassa annuale è di circa 2,8 miliardi di euro. Il loro valore attuale è di circa 70 miliardi di euro. Con la vendira dello spettro delle frequenze si potrebbero ottenere soldi importanti. Circa 2,3 miliardi di euro potrebbero essere incassati dallo Stato dalla vendita dello spettro delle frequenze”.

Ore 11,45. Franco prosegue mettendo in evidenza la differenza nella qualità dei servizi. Per quanto riguarda la sanità, i pazienti preferiscono curarsi al centro nord, mentre la spesa corrente pro capite è più elevata al sud. In altri casi i servizi sono meno buoni ma a fronte di una minor spesa. In conclusione, per Franco, “sarà cruciale passare da una spesa storica ai costi standard; accrescere l’autonomia impositiva degli enti territoriali, collegando decisioni di spesa e di prelievo; definire un vincolo di bilancio stringente (evitare trasferimenti ex post). A fianco di tutto questo bisogna rendere più approfonditi e sistematici gli indicatori riguardanti la qualità dei servizi. Una questione aperta riguarda la possibile differenziazione del costo del lavoro nel settore pubblico fra le varie aree del paese”.

Ore 11,30. Intervento di Daniele Franco (Servizio Studi, Banca d’Italia). Franco delinea lo scenario generale: “Il livello debito/PIL è quasi tornato al livello dei primi anni ’90. Dal 1990 al 1994 il debito pubblico ha subito una impennata che lo ha portato dal 95% del PIL ad oltre il 120%. Oggi siamo poco oltre il 115%. Le previsioni dicono che salirà nel 2011 ed avrà una lieve flessione nel 2012. Serve un forte rallentamento della dinamica della spesa primaria. Purtroppo, come sosteneve il professor Giarda, questa è aumentata negli ultimi nove anni del 2% annuo. In uno scenario di crescita del PIL dell’1% annuo la spesa primaria in termini reali dovrebbe scendere del 5% entro il 2016. Le entrate pubbliche di ciascuna regione sono molto differenziate. Come prevedibile, le entrate delle regioni del centro-nord sono molto più elevate di quelle del sud. La spesa pubblica primaria in ciascuna regione è invece più omogenea. Si forniscono gli stessi servizi più o meno in tutte le regioni. Le regioni a statuto speciale sono invece un mondo a parte. Le differenze fra entrate e spesa dicono che ci sono regioni che contribuiscono al salvadanaio comune mentre altre attingono da questo salvadanaio. La Lombardia dà, la Calabria riceve. La spesa pubblica pro-capite è uguale in tutto il paese. Le entrate invece sono molto diverse. L’afflusso netto verso il Sud di risorse intermediate dall’operatore pubblico è pari al 15,6% del prodotto del Mezzogiorno (5,7% in Abruzzo; 23,7% in Calabria); il 3,5 % di quello nazionale”.

Ore 11,20. Il professor Giarda conclude affermando che “in Italia non si attuerà il principio di corrispondenza perchè ci sono forti differenze fra le basi imponibili delle nazioni ricche del nord. L’essenza del federalismo fiscale è che ogni regione debba diventare indipendente dai finanziamenti del centro. Non ci dovrebbero essere più negoziazioni a Roma. La perequazione non dovrebbe avvenire, soprattutto fra i ricchi. Purtroppo le ragioni ricche vogliono essere tutte perequate (ovvero andare a Roma e spartirsi le risorse”.

Ore 11,10. Intervento di Piero Giarda (Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano). “Il tasso di crescita della spesa pubblica è stato dello 0% (dal 1990 al 2000). Negli ultimi 9 anni la spesa ha ricominciato a crescere, a un tasso del 2% annuo. Questa è una cosa drammatica. La prima volta che il termine ‘federalismo fiscale’ compare è nella finanziaria attuata dal governo Dini. Da allora l’iter non si è ancora concluso. Il federalismo fiscale ha poco a che fare con il debito pubblico ma invece riguarda i rapporti fra centro e periferia. La prima esigenza riguarda quali beni e servizi devono essere prodotti a livello decentrato. Inoltre, dobbiamo stabilire come si pagano questi beni e servizi. Deve esserci principio di corrispondenza (bisogna fare con quello che si ha). Nel 1907 ogni comune spendeva i soldi che prelevava dai propri cittadini. Questa soluzione arriva fino al 1952. I comuni della Calabria avevano un terzo delle risorse delle regioni del Nord, e spendevano in base alle risorse che raccoglievano (non c’era indebitamento). Nella teora del federalismo fiscale subentra allora il problema della perequazione. Questa può essere fatta in tanti modi. Per la Costituzione italiana lo Stato fissa i livelli essenziali delle prestazioni; inoltre all’art. 118 si parla esplicitamente di perequazione (dare i soldi ai comuni più poveri). Ma la Costituzione non dice se la prequazione debba essere completa oppure no (le differenze vanno eliminate del tutto?). La struttura attuale è il ‘caos’ (non c’è regola nel finanziamento dei comuni). C’è bisogno di un assetto chiaro e stabile. Purtroppo non si può tornare al 1907. I progetti attuali (costi standard) sono roba da centralismo democratico”.

Ore 11,05. Introduzione di Antonio Pilati (Componente, Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato). “Con i piccoli aggiustamenti anno per anno non si risolvono i problemi del debito pubblico. Occorrono politiche incisive. Ovvero la vendita del patrimonio. Attraverso la vendita di pezzi del patrimonio si potrebbe arrivare a ridurre il debito fino al 60% del debito”.

Ore 11,00. Sempre per Costato, “il rapporto fra PIL e spesa pubblica continua a salire. La spesa pubblica è oltre il 52% del PIL. Gli enti di previdenza costituiscono la spesa maggiore. L’amministrazione pubblica è sostanzialmente uno ‘stipendificio’. Se non si attua il federalismo fiscale subito, la ‘periferia’ è destinata a soccombere. Il centro ha potere di decisione e prevale sempre (per spirito naturale di conservazione). Cosa devono temere gli imprenditori? Le risorse finiranno per essere cannibalizzate (già sta succedendo: tasse, contributi, gabelle di ogni tipo). Come si uscirà dalla crisi del debito? Non seguendo l’esempio del Giappone, nemmeno quello dell’Argentina. Sta di fatto che ‘la nave va’ e la situazione dell’Italia è in continuo peggioramento”.

Ore 10,45. Segue l’introduzione al dibattito da parte di Antonio Costato (Vice-Presidente Confindustria per Federalismo e Autonomie). “Attraverso il riordino della spesa pubblica dobbiamo ridare la speranza al nostro paese. Quattro ragioni per le quali il federalismo è ineludibile: le regioni a statuto ordinario del nord pagano per le inefficienze (esiste una simmetria fra chi dà e chi riceve); le politiche centraliste sono state un fallimento; la fine della contrapposizione fra blocchi ha resuscitato matrici identitarie; la crisi del 2008 per la prima volta ha sottratto reddito ai ceti medi”.

Ore 10,30, si comincia con i saluti di Umberto Quadrino (Consigliere incaricato, Centro Studi Assolombarda). “Il vero problema del federalismo è che siamo a metà del guado (si è cominciato con la riforma Bassanini del ’97, andati avanti con la riforma del titolo V della Costitutizione, i lavori sono tuttora in corso). La conseguenza che si è avuta è l’aumento della spesa delle regioni, a fronte di un potere di ‘presa’ in mano allo Stato. Va bilanciato il potere di spesa e quello impositivo”.

Oggi, 16 novembre, incontro in Assolombarda co-organizzato dall’IBL. Tema del convegno: federalismo fiscale e debito pubblico. Intervengono Daniele Franco (Servizio Studi, Banca d’Italia), Piero Giarda (Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano), Edoardo Reviglio (Cassa Depositi e Prestiti) e Luca Ricolfi (Università di Torino).
Chicago-blog seguirà in diretta l’evento.

3 Responses

  1. Stefano

    La dismissione di patrimonio pubblico senza prima un forte contenimento della mania di spendere ci darà solo qualche anno di ossigeno, poi tutto tornerà come prima, con la differenza che non ci saranno più gioielli di famiglia da vendere. Occorre intervenire sulle CAUSE della spesa pubblica, non finanziarla ulteriormente.

  2. Carlo Martini

    Possiamo dire a voce alta una volte per tutte che non e’ possibile sconfiggere l’evasione fiscale poiche’ e’ la principale fonte di guadagno della mafia?

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