13
Mar
2014

Cari sindacati, ve lo richiediamo: per il 1° maggio pubblicate un bilancio consolidato

E’ molto interessante, la lettera che i tre segretari dei sindacato confederale hanno indirizzato al Messaggero in replica all’inchiesta  “Un miliardo dallo Stato: ecco il conto dei sindacati”, a firma di Osvaldo De Paolini. Perché contesta tignosamente molti dati dell’inchiesta, e questo è più che legittimo. Perché li attribuisce a un intento malevolo verso il sindacato e le sue funzioni, e qui occorre capirsi. E, infine e soprattutto, perché non entra davvero nel merito che tutti noi ci saremmo aspettati, cioè la smentita o la contro argomentazione sul miliardo pubblico annuo ricevuto dal sindacato. Roba da far apparire noccioline il finanziamento ai partiti.

Una “contro cifra” non c’è, nella pseudo-smentita di Cgil, Cisl e Uil. Ed è esattamente questo il punto fondamentale che l’inchiesta intende sollevare. E sul quale vale la pena di tornare. Non c’è perché la natura giuridica del sindacato in Italia è rimasta notoriamente “incompleta”. L’articolo 39 della Costituzione prevedeva una legge attuativa in materia di libertà sindacale riconosciuta, e con la “registrazione” sarebbe stato possibile codificare un quadro preciso di responsabilità-controlli pubblici senza alcuna lesione delle sacrosante libertà sindacali. Ma quella legge non è mai stata approvata. E così i sindacati restano di fatto libere associazioni non riconosciute, soggette ai magri articoli del codice civile che disciplinavano nel 1942 tale forma di libera organizzazione dei corpi intermedi.

La legge ha sorvolato su tale mancanza di piena personalità giuridica in materia di rispetto dei contratti collettivi e di diritto di sciopero e relativa proclamazione. Spesso, per questa stessa ragione, la magistratura ha imboccato strade opposte in relazione alla tutela delle “libertà interne” al sindacato, garantite da ciascuno statuto. Di fatto, mancando la piena personalità giuridica, non c’è mai stato l’obbligo a bilanci consolidati, completi nel conto economico e in quello patrimoniale.

Di questa mancanza parla l’inchiesta del Messaggero. E forse non è un caso che i tre segretari confederali non vi facciano cenno. Quando citano – ed è una risposta di routine – i rendiconti economici annui pubblicati da Cgil, Cisl e Uil, essi per primi sanno benissimo la differenza tra un mero rendiconto di cassa, e un bilancio analiticamente completo di centro  e periferia, di ogni spesa e ogni trasferimento ricevuto, dell’ammontare degli attivi mobiliari e immobiliari nonché delle passività di ogni genere.

In assenza di bilanci consolidati resi pubblici, purtroppo, l’informazione deve tentare per forza di cose di ricostruire il complesso delle fonti e dell’ammontare dei finanziamenti sindacali  sommando le maggiori  poste desumibili. E’ lo stesso metodo seguito qualche anno fa da Stefano Livadiotti, ottimo collega giornalista, in un suo libro dedicato proprio ai conti veri e verosimili dei sindacati: a prescindere dai finanziamenti diretti, tramite le ritenute salariali, si tratta di sommare i finanziamenti indiretti, tramite l’attività degli enti parasindacali, come patronati, CAF ed enti bilaterali, e infine i finanziamenti percepiti tramite la retribuzione percepita dai lavoratori per lo svolgimento di attività di natura sindacale durante l’orario di lavoro, in forza dei diritti sindacali sanciti dallo statuto dei lavoratori e dalla contrattazione collettiva.

Rispetto al miliardo, che dei circa 12 milioni di iscritti ai sindacati  i pensionati siano comunque poco meno della metà e dunque gli attivi – 6 milioni – solo poco più di un quarto degli occupati complessivi  italiani, è questione che riguarda la rappresentanza rispetto all’intero mondo del lavoro. Rispetto al miliardo, che per la compilazione dei modelli 730 il corrispettivo pubblico incassato dai Caf sia di 14 euro a testa e non di 26 aggiunge precisione, ma non cambia le cose. Il problema del miliardo è che tutto ciò che incassano Caf e Patronati deriva da norme di legge. Non si tratta di negare la funzione che essi svolgono. Bensì, visto che finalmente stiamo piano riuscendo a rendere trasparenti poco a poco almeno parte degli euro spesi in costi della politica, si tratta di compiere un’operazione analoga per gli euro spesi e incassati dai sindacati.

Se i trasferimenti pubblici per CAF e Patronati fossero del tutto equivalenti a ciò che i lavoratori – anch’essi non liberamente per altro, ma per legge – pagano a tal fine, le loro cifre non sarebbero comprese nel rendiconto generale della spesa dello Stato, sotto la voce “contributo pubblico al finanziamento degli istituti di patronato e di assistenza sociale”. Né Giuliano Amato avrebbe ricevuto dal governo Monti l’incarico di redigere un rapporto sul finanziamento diretto e indiretto dei sindacati, dalle cui cifre l’inchiesta del Messaggero ha tratto le mosse.  Né la spending review montiana avrebbe disposto la riduzione del 20% dei compensi per i Caf derivanti dalle dichiarazioni fatte per conto dell’Inps. Vuol dire che un problema c’è eccome, di congruità dei trasferimenti.

Sappiamo anche noi, che lo Stato assegna ai patronati lo 0,226 dei contributi obbligatori incassati dall’Inps, dall’Inpdap e dall’Inail. Ma la legge istitutiva dei patronati, il decreto legislativo 804 del 1947,  poi modificato per le aliquote relative, prevede che ogni anno il Ministero del Lavoro valuti le esigenze finanziarie dei Patronati  in relazione alla attività concretamente svolta  ma anche alla loro organizzazione. Su queste basi  il Ministero decide  quale percentuale dei contributi sociali che sono stati incassati dagli enti di previdenza deve essere girata su di un apposito capitolo del bilancio dello Stato. E da qui, poi, il ministero eroga ai Patronato prima l’anticipo e poi il conguaglio. Il problema è che, in assenza di obbligo di bilancio consolidato, noi dell’organizzazione e dei relativi costi nonché efficienza dei patronati sappiamo troppo poco. E per questo ci interroghiamo sulla congruità di trasferimenti per centinaia di milioni.

Un altro esempio. In materia di distacchi sindacali, alcune migliaia in Italia, è certo una garanzia conservare presso il sindacato lo stipendio precedente a carico del pubblico, e comprensivo dei “premi produttività” che non sono su base individuale. Ma  i sindacati devono capire che l’obbligo sin qui osservato all’anonimato delle loro liste, per motivi di privacy confermati dopo attento esame anche dalla stessa Autorità Garante, non è esattamente un pilastro e presidio di trasparenza agli occhi dell’opinione pubblica.

Anche le centinaia di milioni che l’INPS garantisce al sindacato per le quote associative dei pensionati, trattenute direttamente sulle pensioni con il meccanismo della delega di carattere permanente (salvo revoca), nonché a titolo di ritenute sulle prestazioni, costituiscono un ammontare che occorre comprendere a che cosa va parametrato.  Lo Statuto dei lavoratori riconosce infatti ai sindacati ampie prerogative – assemblee retribuite, permessi per partecipare alle riunioni degli organi dirigenti, sedi, diritto di affissione – in base alle quali l’attività sindacale si svolge pressoché integralmente a carico dei datori di lavoro. Ed è troppo, sapere il preciso ammontare dei patrimonio immobiliari sindacali, esente da tassazione immobiliare?

Conclusione: chi qui scrive è per un modello di sindacato finanziato da soli contributi liberi e volontari, senza ritenute alla fonte obbligatorie per legge e con propri fondi previdenziali integrativi, in modo che ciascuno possa essere giudicato sulla gestione più efficiente. Ma non mi perdo dietro a questo che, nell’Italia di oggi, è un sogno. Siamo però sicuri che per primi i dirigenti sindacali guadagnerebbero molti consensi, tra i loro iscritti e soprattutto tra i molti milioni in più di lavoratori che non lo sono, se il prossimo primo maggio ci facessero intanto un regalo. Anche se non obbligati per legge, decidete da soli di redigere e pubblicare un bel bilancio consolidato. Così finiranno le polemiche. E darete una prova di non essere come la politica: tanto chiusa alla trasparenza, che alla fine sotto la pressione popolare tra  tre anni dovrà rinunciare al vecchio finanziamento pubblico diretto. Non dovrebbe essere così anche per voi?

4 Responses

  1. Lamberto

    Giannino ha ragione da vendere. La nostra società è opaca in tutte le sue manifestazioni; legittime e non legittime. L’opacità è la caratteristiche che sembra assimilarle. Ma quale poderoso salto culturale sarà necessario per superare tale stato di fatto?

  2. roberto

    Egregio,

    niente da eccepire al suo commento. Comunque oltre al fatto descritto secondo me “grave” anche se oramai siamo assuefatti al peggio, il sindacato stà perdendo pezzi ma non molla l’osso dei danari..Speriamo che il 1° Maggio succeda quello che lei auspica,purtroppo ci sono due ragioni che non permetteranno ciò: la presunzione personale, e la convenienza sempre personale.
    Saluti
    RG

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