3
Set
2012

Carbosulcis, il teatro dell’assurdo – di GB Zorzoli

Ripubblichiamo questo articolo di GB Zorzoli, comparso sull’edizione odierna della Staffetta Quotidiana .

Non fosse per il dramma di 463 lavoratori (e delle loro famiglie) che vedono a rischio il posto di lavoro, la vicenda della Carbosulcis potrebbe essere assimilata a una piéce del teatro dell’assurdo o, per quanto riguarda la mia esperienza professionale, anche a un remake di un film di successo, “Ritorno al futuro”.

Infatti, è come se fossi stato proiettato indietro agli anni ’80, quando fui coinvolto in discussioni sulla crisi della miniera sarda, dove per tenerla in vita venivano avanzate proposte che, salvo qualche aggiornamento, sono le stesse sul tappeto in questi giorni. E il paradossale, oggi come allora, nasce dal fatto che nei progetti per mantenere aperta la miniera si continua a sorvolare su un dato inoppugnabile: il carbone del Sulcis non è assimilabile a quello normalmente utilizzato come combustibile. Quest’ultimo ha infatti un contenuto sia di zolfo, sia di ceneri compreso nell’antracite all’incirca fra 0,5% e 2%, con il limite superiore che sale intorno al 4% nel litantrace, mentre dalle miniere del Sulcis esce un prodotto, non a caso definito “carbone sub-bituminoso a lunga fiamma”, che ha più del 6% di zolfo e circa il 20% di ceneri. Per avere un’idea di cosa ciò significhi in termini di inquinamento ambientale, una legge del 1966, quando la sensibilità in materia era assai inferiore all’attuale, prescriveva un limite dell’1% al contenuto di zolfo nel carbone da utilizzare nelle centrali termoelettriche.

Rispetto al 1966, disponiamo oggi di desolforatori efficienti, che consentono di bruciare carboni con un tenore di zolfo superiore all’1%, ma quelli esistenti sono stati progettati tenendo conto di tassi di impurità comunque simili a quelli sopra indicati. Non sono quindi in grado di depurare in modo efficiente fumi con un contenuto di anidride solforosa così elevato come quelli in uscita da una caldaia in cui si bruciasse soltanto carbone del Sulcis. Non a caso Enel può utilizzarne solo una frazione, miscelata con carboni di normale qualità. Del teatro dell’assurdo fa anche parte l’accusa a Enel di preferire carbone cinese, perché meno costoso. Non so dove faccia i suoi acquisti Enel, ma, poiché per il maggiore contenuto di impurità il prodotto del Sulcis ha un potere calorifico pari al 75%-80% di quello estratto di norma da altre miniere, anche se il costo di estrazione in euro, dollari o yuan per tonnellata fosse lo stesso, come valore energetico il carbone del Sulcis costerebbe pur sempre fra un quarto e un terzo in più.

Già negli anni ‘80 questi incontrovertibili dati di fatto indussero i più realistici sostenitori della Carbosulcis a proporre la gassificazione del carbone, un processo che consente di separare agevolmente le impurità e mette a disposizione una miscela di ossido di carbonio, anidride carbonica, idrogeno, metano. Anche per i gassificatori si ripresenta però, aggravato, un problema analogo a quello dei desolforatori: gli impianti in commercio non sono in grado di gestire una materia prima che ha un contenuto di ceneri dieci-venti volte superiore a quello dei normali carboni. Bisognerebbe sviluppare ex-novo un gassificatore ad hoc che, a parte le spese per il suo sviluppo, sarebbe certamente molto più costoso di uno tradizionale. Infatti non se ne fece nulla trent’anni fa e si continua a non farne nulla anche oggi.

Per dare un tocco di modernità a questo assurdo, si è aggiunta la proposta di realizzare in situ il sequestro dell’anidride carbonica presente nel gas in uscita dal gassificatore e il suo successivo stoccaggio nella miniera. In realtà si tratta di una soluzione di ripiego, perché inizialmente il progetto prevedeva che l’anidride carbonica fosse iniettata nel carbone per estrarne il cosiddetto metano “embedded”; solo che in misura significativa il metano finora non è stato trovato. Sul progetto CCS in sé, non si può che sottoscrivere la dichiarazione del sottosegretario De Vincenti (v. Staffetta 30/08): “non sta in piedi”, costerebbe 200.000 euro l’anno per otto anni e per ogni minatore.

Morale della favola: da decenni si illudono i minatori della Carbosulcis, sostenendo che esistono soluzioni sostenibili per mantenere in esercizio la miniera. Con meno di quanto nel frattempo si è speso per tenere in piedi questo teatro dell’assurdo, sarebbe stato possibile avviare e consolidare attività alternative, certamente in grado di assorbirne le risorse umane, probabilmente di creare altre opportunità di lavoro. Di essere stati presi in giro, i minatori se ne rendono conto, e questo spiega la durezza delle loro iniziative e la minaccia di metterne in atto altre, più radicali. Purtroppo i responsabili della situazione in cui si trovano non sono quelli, Enel in testa, da loro individuati.

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10 Responses

  1. francine

    I responsabili credo di sapere quali siano..invece gli sponsor degli aiuti a fondo VERAMENTE perduto sono sicura di sapere chi siano:noi contribuenti!!!Finche’ dura..speriamo che duri ancora per poco..

  2. DDPP

    Qualche domanda:
    Quanto carbone viene estratto?
    Chi lo acquista?
    Come lo utilizza chi lo acquista?
    Quanti sono i veri minatori di Carbosulcis?
    Quanti sono gli impiegati e quanti i dirigenti?
    Qual’è l’anzianità media dei dipendenti?
    Qual’è il rapporto tra dipendenti e quantità estratta confrontato con altre miniere?

  3. giorgio andretta

    DDPP :Qualche domanda:Quanto carbone viene estratto?Chi lo acquista?Come lo utilizza chi lo acquista?Quanti sono i veri minatori di Carbosulcis?Quanti sono gli impiegati e quanti i dirigenti?Qual’è l’anzianità media dei dipendenti?Qual’è il rapporto tra dipendenti e quantità estratta confrontato con altre miniere?

    sono convinto che le risposte le conosce tutte!
    Ce le anticipi, gliene saremo grati, anche perchè lei, eventualmente, continuerà a riproporcele.
    Con simpatia.

  4. marco

    Questo è il vero problema italiano: i colpevoli non si individuano mai (perchè sono cordiali e talora simpatici contatori di favole), in compenso si colpevolizzano soltanto medici professionali che anzichè favole dicono la “verità” o quanto ragionevole. Per questo non siamo nemmeno capaci di imparare dai nostri errori.

  5. roberto Vallocchia

    Quanto esposto nell’articolo è pienamente condivisibile. I numeri non si possono tirare di quà o di là, sono oggettivi. Resta il fatto che, tra occupati della miniera e indotto, la chiusura si porta via un migliaio di posti di lavoro con altrettante famiglie. Ma, più in generale, la questione riguarda la desertificazione non solo del Sulcis ma della Sardegna intera. La chimica, l’alluminio (e Alcoa? altri centinaia di disoccupati), Ottana, zona industriale nel centro dell’Isola fuori dal mondo, senza collegamenti autostradali, ferroviari, lontana dai porti e senza infrastrutture tecnologiche. Come in un’infinità di luoghi d’Italia da sviluppare, anche la Sardegna è stata la nuova frontiera di chi ambiva a fare razzia di fondi pubblici nazionali e comunitari. Ritengo, però, che per la mia conoscenza e frequentazione, non certo da turista, della Sardegna essa soffra di un male che è alla radice di tutti gli altri: lo strangolamento dato dai collegamenti,aerei e marittimi, in mano a società che non hanno alcun interesse ad una presenza costante e di accompagnamento allo sviluppo ma intendono ottenere, invece, il massimo profitto in poche settimane di operatività. E, se possibile, ora la situazione è ancora più grave. Di fatto i collegamenti marittimi principali, sono in capo ad un soggetto unico anche se, formalmente, la Tirrenia è della CIN. Ma, la CIN, è partecipata da Vincenzo Onorato, proprietario di Moby. E dov’è la concorrenza? Collegamenti aerei per il continente? Meridiana ha il monopolio da Olbia e, così, Alitalia lo ha da Alghero. Morale della storia: si possono immaginare i progetti più arditi di riconversione delle zone minerarie (mitico Parco Geominerario), con minatori che si trasformano in guide turistiche, si possono creare alberghi, campeggi, piste ciclabili infinite, porticcioli turistici, risanare l’ambiente e aprire musei… Lo hanno fatto i tedeschi (sempre loro!) con i bacini minerari della Rhur che attirano milioni di visitatori ogni anno. E così, in mille altri parti della Sardegna, abbandonate e isolate. Vere isole nell’Isola! Ma, parafrasando Oscar Giannino che, proprio stamattina su Radio 24 descriveva lo Stato come il gabelliere che, a seconda del proprio interesse, ti fà o no attraversare il ponte decidendo arbitrariamente la gabella da pagare, appunto, così per la Sardegna i gabellieri sono coloro che detengono il monopolio per arrivarci. Essi stessi sono il ponte e, la loro gabella,varia a seconda della stagione, del giorno in quella data stagione e, perfino, da un momento all’altro. Dunque, fintanto che non verrà sciolto il nodo della concorrenza, quella vera, per trasportare merci e passeggeri, ogni ipotesi di sviluppo non potrà che naufragare od essere assistenziale. Il turismo è crollato verticalmente perchè, per una famiglia, imbarcarsi costa quanto e più di una vacanza ovunque, dalla Croazia alla Puglia a dove volete voi. E’ stato benemerito il tentativo di calmierare le tariffe con la costituzione di una flotta della regione Sardegna. Ostacolata in ogni modo, ovviamente, dalle altre compagnie. Ma è troppo, troppo poco, per invertire la rotta. In parallelo, poi, come non trattare della questione del costo dell’energia, causa principale, tra l’altro, della volontà di Alcoa di chiudere? Ma, questo, è davvero un’altro capitolo.

  6. angelo leonelli

    Analisi e commento completamente condivisibili. L’unico neo è che continuiamo a raccontarcelo tra noi, in un ambiente un po’ ristretto, quasi autoreferenziale.

  7. luka

    E dei consorzi industriali della Sardegna, quale quello del Sulcis, ne vogliamo parlare ???E di tutte quelle “aziende” che hanno goduto della cassa del mezzogiorno prima e di interventi per la riconversione delle aree minerarie ???? E del porto canale di Cagliari che se ne dice ?????
    Sarebbe salutare un’indagine conoscitiva a tappeto; magari con l’obiettivo di far restituire il fiume di denari pubblici elargiti a pioggia a personaggi crsciuti all’ombra delle ciminiere di Sarroch che compravano le mazze da golf per tutta la famiglia

  8. Bepi Toea

    Facendo 4 conti ogni posto di lavoro Carbosulcis è già costato ai contribuenti circa 2 milioni di Euro. Vivere di sogni costa.

  9. giuseppe 1

    Per esser più chiaro ed evidenziarlo, riporto un estratto del link citato:

    Ma è proprio davvero chiusa la tecnologia della trasformazione del carbone ? La combustione diretta del carbone comporta l’inquinamento dell’atmosfera a causa dei derivati dello zolfo, delle polveri, delle sostanze cancerogene, dei metalli tossici. Le leggi sempre più rigorose per la lotta all’inquinamento atmosferico hanno perciò indotto gli scienziati a studiare nuovi metodi di trattamento del carbone in modo da ottenere combustibili meno inquinanti. A maggior ragione le norme antinquinamento impediscono di utilizzare i carboni più ricchi di zolfo e di ceneri che sono molto abbondanti sulla Terra. Anche in Italia, nel bacino sardo del Sulcis, si trovano carboni di qualità merceologica scadente, che contengono dal 6 all’8 per cento di zolfo e circa il 20 per cento di ceneri; tali carboni praticamente non possono essere bruciati direttamente, benché le loro riserve siano molto grandi: un miliardo di tonnellate, equivalente, come valore energetico, a 400 milioni di tonnellate di petrolio. Le tecniche di idrogenazione consentirebbero di trasformare in combustibili liquidi o gassosi, non inquinanti, questa risorsa carbonifera sarda, inutilizzata da trenta anni.

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